Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-01-2011) 11-02-2011, n. 5302 Concorso di circostanze eterogeneo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.G. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro la sentenza 30 ottobre 2009 della Corte di appello di Torino, la quale, in parziale riforma della sentenza 14 dicembre 2005 del G.U.P. del Tribunale di Torino, ritenuta la continuazione tra i reati contestati, ed affermata la prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sulla contestata recidiva, ha ridotto la pena a mesi 6 di reclusione, sostituiti con la pena pecuniaria di Euro 6.840, condonata, per il reato di resistenza.

La resistenza sarebbe stata posta in essere mediante più condotte esecutive dello stesso disegno criminoso, nei confronti di una Pattuglia della Polizia, e risulterebbe aggravata dal fine di assicurarsi l’impunità dei reati di: lesione, aggravata per aver commesso il fatto contro pubblico ufficiale; danneggiamento, aggravato dall’aver commesso il fatto con minaccia; minaccia, con raggravante di averla commessa con un bastone, inteso come arma agli effetti della legge penale; porto d’armi per aver portato un bastone di legno di 93 cm al di fuori della propria abitazione senza motivo alcuno.

Fatti commessi il (OMISSIS).
Motivi della decisione

Il ricorso ha avuto riguardo alla affermazione di responsabilità per la sola resistenza ed ha altresì interessato il giudizio di comparazione tra circostanze di cui all’art. 69 c.p.. Pertanto va subito precisato che non può procedersi all’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza in ordine alla contravvenzione, come chiesto dal Procuratore generale, in quanto sul punto non vi è impugnazione.

1.) i motivi di impugnazione.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo dell’affermata sussistenza del delitto di resistenza, di cui difetterebbero sia l’azione esecutiva che il profilo soggettivo, considerato che l’imputato, dopo aver danneggiato con un bastone il veicolo di proprietà di M. e minacciato il detto conducente, all’arrivo della Polizia giudiziaria si sarebbe solo rifiutato di consegnare il bastone, usato nella circostanza, e che aveva nel frattempo chiuso a chiave nel bagagliaio dell’auto, con ciò realizzando una mera condotta passiva.

Per il difensore, la Polizia, una volta identificato il G. ed avuta da lui notizia dell’avvenuta collocazione del bastone, doveva nella specie limitarsi a sottoporre a sequestro il veicolo al fine di ottenere la disponibilità dell’arma impropria ivi custodita e la cui consegna era negata dall’accusato, il quale al massimo poteva rispondere della contravvenzione ex art. 650 c.p.. In tale quadro il ricorso contesta il valore di minaccia attribuito dai giudici di merito all’espressione "parlate con la voce bassa altrimenti mi fate arrabbiare e poi non sapete cosa può succedere", locuzioni ascrivibili al massimo a spacconeria.

Su tali premesse l’impugnazione, partendo dall’affermazione della inesistenza della minaccia, deduce: a) l’illegittimità della successiva perquisizione personale, dato che l’arma usata si trovava nel veicolo e non sulla persona del giovane; b) l’arbitrarietà dell’accompagnamento (caricamento sull’auto di servizio) in questura e la non adeguatezza della giustificazione, addotta per l’elezione di domicilio ex art. 161 c.p.p., non essendo tale atto previsto come obbligatorio e potendo lo stesso essere comunque compiuto sul posto;

c) l’illegittimità della custodia del ricorrente in camera di sicurezza in ragione delle sue condizioni di agitazione, con applicazione delle manette, e con riferimento ad atti di autolesionismo di cui non vi è traccia nel verbale di arresto obbligatorio; d) la legittimità della reazione violenta dell’imputato.

Con un secondo motivo si lamenta l’omessa applicazione della esimente D.Lgs. n. 288 del 1944, ex art. 4, (abrogata con L. n. 94 del 2009) considerata l’oggettiva percezione da parte dell’accusato di un comportamento aggressivo degli agenti ed esorbitante dalle loro funzioni.

I primi due motivi per la loro stretta connessione vanno congiuntamente esaminati.

Dalle decisioni di merito emerge che lo sviluppo dei fatti, nei termini valutati con la doppia conforme decisione di responsabilità, è in linea con la prospettazione accusatoria e che del pari ben motivata è la giustificazione che ha supportato la pronuncia di colpevolezza.

Nessuna illegittimità od arbitrarietà è infatti desumibile nella condotta della Polizia giudiziaria la quale ha agito nell’ambito dei suoi poteri – doveri di assicurazione delle fonti di prova nei termini indicati dall’art. 55 c.p.p..

Corretto quindi appare l’accompagnamento dell’imputato in Questura, per il completamento degli atti necessari per l’assicurazione della prova e per la successiva attività, delegata dal P.M. di turno, di acquisizione delle chiavi della vettura del ricorrente per effettuare la perquisizione della stessa al fine di sequestrare il bastone, usato per il danneggiamento e le minacce nei confronti di M..

Il comportamento agitato ed irrequieto del G., persona di robusta complessione e con a carico "vari precedenti di polizia", non solo indusse gli agenti della Questura, intervenuti sul posto dell’aggressione al M., a chiedere anche l’aiuto dei Carabinieri, ma si protrasse dopo l’accompagnamento e diede giusta causa alla sua collocazione in camera di sicurezza con applicazione delle manette, a fronte dei suoi manifestati propositi autolesionistici e minacciosi.

Successivamente, avuto il consenso del ricorrente e prelevate le chiavi della vettura, il G., non appena liberato delle manette, reagì ancora contro gli agenti sferrando calci e testate a tutti gli operanti, con lesioni al sovrintendente Gr., posto che l’imputato voleva condizionare l’operazione dell’apertura del veicolo e del sequestro del bastone alla immediata presenza di un maresciallo oppure di un magistrato.

E’ del tutto evidente che in tale contesto non vi è spazio di sorta per prospettare la legittimità di tale reazione violenta nei termini indicati nell’impugnazione, con conseguente conferma della decisione sul punto.

Con un terzo motivo si prospetta l’insussistenza dell’aggravante dell’aver commesso la resistenza del capo A, al fine di assicurarsi l’impunità dei reati di cui ai capi C, D, ed E (danneggiamento, minaccia e porto d’armi), per i quali vi era stata piena confessione.

Da ciò secondo il ricorrente la necessità di un annullamento della decisione di equivalenza ex art. 69 c.p..

Il motivo è inaccoglibile in quanto le circostanze attenuanti generiche sono state da sole ritenute prevalenti sulle aggravanti: la Corte di appello ha omesso solo nel dispositivo di considerare la presenza anche dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 6, ma di ciò ha tenuto esatto conto nella determinazione della sanzione con l’esito di prevalenza sulla contestata recidiva.

Con un quarto motivo si evidenzia l’insussistenza dell’aggravante della minaccia nel danneggiamento.

Il motivo è palesemente infondato: nella fattispecie minaccia e danneggiamento sono espressione pressocchè simultanea della stessa intenzionalità criminosa e bene pertanto il giudice ne ha ritenuto la contestualità.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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