T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, Sent., 08-02-2011, n. 210 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo Deliberazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 28.6.2002 la ricorrente presentava al Comune di Malo una proposta di finanza di progetto ai sensi dell’art. 37 bis della legge n. 109/94 per la ristrutturazione di Villa Clementi, di proprietà dell’ente, verso il corrispettivo della gestione trentennale dell’immobile stesso che sarebbe stato dato in locazione al Comune previo versamento di un canone.

Con deliberazione consiliare 2.9.2002 n. 48 il Comune prendeva atto della proposta ed avviava il procedimento di project financing dell’opera.

Successivamente la ricorrente, accogliendo la richiesta di alcune modifiche presentata dal Comune, integrava l’originaria proposta con i relativi elaborati, che l’Amministrazione approvava con deliberazione 29.10.2002 n. 196 con la quale, peraltro, indiceva la gara per l’individuazione della migliore offerta ai sensi dell’art. 37 quater della legge n. 109/94.

Con determinazione dirigenziale 20.3.2003 n. 150 i lavori venivano aggiudicati all’odierna ricorrente e, quindi, in data 11.9.2003 veniva stipulato il relativo contratto. L’impresa si obbligava a realizzare la ristrutturazione dei corpi A e C della Villa e a demolire i due piani f.t. del corpo B (per una spesa complessiva prevista di Euro 1.555.00,00), nonchè a realizzare le opere di urbanizzazione su un’area con una potenzialità edificatoria di mq 15.000 attigua alla Villa stessa (per un importo stimato di Euro 833.000,00): il Comune, da parte sua, avrebbe ceduto tale area all’impresa esecutrice ed avrebbe inoltre corrisposto un canone annuo di Euro 65.000,00 per la locazione trentennale della Villa, pari alla durata della concessione della sua gestione all’impresa stessa.

In prosieguo, tuttavia, avendo il Comune – a seguito delle perplessità manifestate dalla Soprintendenza – preteso una diversa localizzazione dell’intervento edilizio, la ricorrente vi si adeguava presentando un nuovo elaborato progettuale che prevedeva, in conformità con le indicazioni del Comune, la sola ristrutturazione del corpo A ed il recupero del corpo B.

Il relativo progetto definitivo, dell’identico importo complessivo di Euro 1.555.000,00, veniva approvato dal Comune con deliberazione giuntale 18.5.2004 n. 94, dalla Soprintendenza di Verona con provvedimento 1.9.2004 n. 9623 e dai Vigili del Fuoco e dall’ASL in data 9.12.2004 e, rispettivamente, in data 2.3.2005.

A fronte del successivo invito a presentare il progetto esecutivo entro 60 giorni (e cioè entro il 19.7.2005), avanzato dal Comune con nota 17.5.2005, l’impresa chiedeva – in ragione del ritardo nell’avvio dei lavori determinato dai ripensamenti del Comune e del tempo trascorso per l’acquisizione dei pareri necessari al cantieramento dell’opera – dapprima l’adeguamento dei prezzi, che però l’Amministrazione respingeva, e poi un differimento del termine, analogamente rifiutato dal Comune.

Ciò stante, con nota 19.7.2005 l’impresa trasmetteva al Comune gli elaborati della progettazione architettonica esecutiva dei lavori.

Successivamente il Comune, ove nelle more s’era insediata la nuova Amministrazione, mentre da una parte rimaneva inerte di fronte alle reiterate richieste della ricorrente di approvare gli elaborati progettuali presentati (cfr. le note 18.10 e 2.11.2005), dall’altra avviava una procedura diretta ad ottenere un finanziamento regionale per la realizzazione di un intervento che, pur riguardando la medesima Villa Clementi, aveva tuttavia un diverso oggetto, e cioè la biblioteca (cfr. la delibera giuntale 11.10.2005 n. 95), prima sempre esclusa dai lavori approvati ed affidati alla ricorrente: intervento, questo, che veniva appaltato ad un’impresa diversa dall’odierna ricorrente.

Con nota 2.11.2007, pertanto, il Comune, avendo evidentemente "ripensato" l’utilizzazione della Villa e, conseguentemente i lavori da effettuarvi e le relative modalità – non risulta, infatti, che l’Amministrazione abbia preteso e/o intimato all’impresa di dare esecuzione ai lavori concordati (né poteva farlo, non avendo approvato il progetto esecutivo!), ovvero dato corso al procedimento di risoluzione per inadempimento dell’affidatario (atteso che il Comune parrebbe imputare i ritardi all’inerzia della ditta ricorrente) -, comunicava l’avvio del procedimento preordinato all’annullamento in autotutela della procedura di finanza di progetto sulla base di asseriti vizi di legittimità da cui la procedura stessa sarebbe risultata inficiata.

Donde il presente ricorso con il quale l’interessata, deducendo la palese infondatezza delle giustificazioni addotte dal Comune, censura il disposto annullamento per carenza di presupposti, evidenziando che, semmai, l’adottato provvedimento ablatorio doveva correttamente qualificarsi come revoca dell’approvata procedura (di project financing), in quanto effetto di una nuova valutazione dell’interesse pubblico: con conseguente applicazione del ristoro economico previsto dall’art. 158 del DLgs, che la ricorrente appunto invoca.

Resisteva in giudizio il Comune di Malo rilevando l’infondatezza del proposto gravame, del quale, pertanto, chiedeva la reiezione.

La causa è passata in decisione all’udienza del 19 gennaio 2011.
Motivi della decisione

Censura, in buona sostanza, la ricorrente la pretestuosità delle giustificazioni addotte dal Comune per recedere dagli impegni conseguenti al contratto stipulato, giustificazioni che invece maschererebbero – assume l’interessata – una rinnovata interpretazione dell’interesse pubblico ostativa alla realizzazione delle opere previste dal predetto contratto.

Ai fini della decisione si deve, dunque, analizzare i motivi di annullamento dedotti dall’Amministrazione, onde valutarne la fondatezza o meno.

a.- Il primo rilievo formulato dal Comune per corroborare l’illegittimità della procedura riguarda un’asserita mancanza dell’asseverazione bancaria, da parte di Unicredit BancaCassamarca spa Fonte, del piano economicofinanziario contenuto nella proposta di finanza di progetto, in violazione dell’art. 37 bis della legge n. 109/94.

Il rilievo, come osservato dalla ricorrente, è privo di fondamento.

A prescindere, invero, dalla considerazione che non vi è adeguata chiarezza sull’entità minima necessaria che deve assumere l’asseverazione bancaria, né sul modello (assai generico e indeterminato) prefigurato dalla legge, nel caso di specie è indubbio che Unicredit BancaCassamarca spa Fonte abbia asseverato – lo afferma lo stesso Comune riportando per esteso il contenuto dell’asseverazione nel controricorso, ove la contesta soltanto sotto i profili della insufficienza e dell’inidoneità – il piano economico prodotto dall’impresa ricorrente.

Ora, se è vero che il piano economicofinanziario – che è l’elemento principale delle proposte di project financing, essendo da esso desumibili tanto le modalità ed i criteri di gestione dell’opera, quanto l’attendibilità dei risultati economici – deve essere vagliato da un soggetto terzo, munito di una competenza specifica, che lo "asseveri", garantendo così l’Amministrazione della sua coerenza e della sua bontà, è altresì vero che, data la strategicità del PEF nell’ambito della procedura di finanza di progetto, l’Amministrazione procedente deve, a sua volta, procedere autonomamente all’esame del piano economicofinanziario valutando la sostenibilità del progetto sotto il profilo dell’equilibrio del predetto piano, valutazione questa che non può identificarsi o risolversi nell’asseverazione bancaria, poichè quest’ultima non sostituisce, ma tutt’al più integra, la valutazione amministrativa (cfr. CdS, V, 17.11.2006 n. 6727).

Ebbene, nel caso di specie il Comune di Malo ha correttamente adempiuto allo specifico onere di accertare la coerenza e la sostenibilità economica dell’offerta procedendo all’esame del piano economico e finanziario, se è vero, come è vero, che con deliberazione 29.10.2002 n. 196, accogliendo la proposta di finanza di progetto presentata dalla ricorrente, ha dato atto di ritenere, "previa analisi dettagliata di tutti gli elaborati presentati, che la proposta, così come formulata dal promotore, presenti le caratteristiche di fattibilità richieste dall’art. 37 ter della… legge n. 109/94": norma che, nello specifico ambito dei rapporti fra Amministrazione e promotore, prevede che la fattibilità del progetto debba essere considerata anche nel quadro del "valore economico e finanziario del piano e del contenuto della bozza di convenzione".

Avendo dunque il Comune valutato approfonditamente – come espressamente affermato – la fattibilità del progetto anche, fra l’altro, sotto il profilo della coerenza e dell’equilibrio del PEF, non può ora il Comune contestare l’idoneità dell’asseverazione bancaria del predetto piano, essendo la valutazione dell’Istituto di credito confluita nel ed assorbita dal proprio giudizio.

b.- Altro asserito vizio che inficerebbe la procedura di project financing sarebbe l’assenza di qualsiasi fattore di rischio dell’impresa assuntrice dei lavori.

Il rilievo è, francamente, inconcepibile: a prescindere dalla considerazione che la mancanza di rischio costituirebbe, per vero, garanzia assoluta di fattibilità dell’opera, conformemente alle previsioni di cui all’art. 37 ter della legge n. 109/94, va da sé che nel caso di specie – ove oggetto del procedimento è l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un immobile verso il corrispettivo della gestione temporanea dell’immobile stesso – l’accordo presenta tutti i caratteri del rischio imprenditoriale tipici del contratto d’appalto secondo lo schema negoziale di cui all’art. 1655 c.c., in quanto con il contratto stipulato tra le parti l’impresa concessionaria si è obbligata, contro un corrispettivo, ad eseguire l’opera richiestagli, provvedendo all’organizzazione dei mezzi necessari e assumendo il relativo rischio d’impresa.

c.- Ulteriore vizio sarebbe ravvisabile, secondo il Comune, nell’omessa considerazione che Villa Clementi è un immobile vincolato come "bene culturale" ai sensi della legge n. 1089 del 1939: dunque, l’alienazione – nel caso di specie il contratto prevedeva, a favore del concessionario, il diritto di superficie sul bene, diritto questo assimilabile alla proprietà – avrebbe dovuto essere previamente autorizzata dalla Soprintendenza ai sensi dell’art. 55 del DLgs n. 490/99 e, ad ogni buon conto, il trasferimento della detenzione del bene necessitava comunque della denuncia di cui all’art. 58, I comma del medesimo Dlgs n. 490/99.

L’argomento non ha pregio.

Stabilisce l’art. 55, I comma, lett. a) del DLgs n. 490/99 che "è soggetta ad autorizzazione del Ministero l’alienazione…dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni che non facciano parte del demanio storico e artistico"; i successivi artt. 58, I comma e 59, I comma prevedono, a loro volta, che "gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero" e, rispettivamente, che "il Ministero ha facoltà di acquistare i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione".

Oggetto dell’autorizzazione così come del diritto di prelazione è, quindi, il trasferimento della proprietà o della detenzione del bene culturale, ossia l’alienazione del bene stesso. Siffatta situazione non si è verificata nel caso in esame ove non era previsto alcun trasferimento del bene, ma soltanto l’impegno del Comune a cedere al concessionario il diritto di superficie trentennale sulle opere realizzate a Villa Clementi "a fronte del diritto di riscuotere i proventi della gestione" (cfr. l’art. 2 del contratto) mediante la locazione dei locali all’Amministrazione per un determinato importo annuo (indicato nell’art. 7 del contratto stesso): sicchè il Comune, come prima così dopo l’effettuazione dei lavori, avrebbe continuato ad essere il proprietario e il detentore del bene culturale, con l’unica differenza che avrebbe pagato (temporaneamente) un canone per la sua utilizzazione a fronte dei lavori commissionati.

Ad ogni buon conto, la mancata denuncia alla Soprintendenza territorialmente competente del negozio traslativo della proprietà o della detenzione di un bene sottoposto a vincolo comporta che la PA ha la possibilità di esercitare in ogni tempo il diritto di prelazione per il permanere dell’obiettiva condizione di assoluta inefficacia del negozio conseguente alla sua mancata notifica nei modi e termini previsti dall’art. art. 58 del DLgs 29 n. 490/99: notifica che, dunque, può avvenire anche successivamente alla conclusione del negozio, atteso che essa ha lo scopo di costituire in mora l’Amministrazione al fine del tempestivo esercizio del diritto di prelazione.

d.- Quanto all’affermata, omessa inclusione dei lavori di ristrutturazione della Villa nella programmazione triennale di cui all’art. 14, II comma della legge n. 109/94, l’affermazione risulta smentita dalla delibera consiliare 2.9.2002 n. 48 (concernente la definizione delle modalità di effettuazione dei lavori di ristrutturazione di Villa Clementi) ove, nelle premesse, si legge che "il programma di mandato presentato dal gruppo di maggioranza….approvato con deliberazione di consiglio comunale n. 38 del 28.6.1999, prevedeva in modo inequivocabile di intervenire sul complesso immobiliare di Villa Clementi con lavori vari di ristrutturazione" e che tali previsioni "hanno sempre trovato riscontro negli atti di programmazione politica e amministrativa di questo ente, come si può evincere anche dall’ultimo programma triennale approvato".

Ma, in disparte quanto precede, va osservato che la mancata inclusione di un’opera in uno strumento programmatorio è comunque suscettibile di sanatoria, sicchè nella fattispecie il Comune, dando atto della priorità dei lavori in questione (cfr. l’art. 14, III comma della legge n. 109/94), avrebbe potuto disporne l’inserimento con effetto retroattivo: fermo restando, peraltro, che l’attivazione del procedimento preordinato alla realizzazione di un’opera pubblica che deve essere inclusa in un programma comporta automaticamente la sua immissione nel programma, qualora risultino rispettate le condizioni dettate dalla legge.

e.- Con un ulteriore rilievo il Comune evidenzia che il contratto di concessione non contiene tutti gli elementi prescritti dall’art. 87, II comma del DPR n. 554/99, norma quest’ultima che prevede che "all’offerta è inoltre allegato un dettagliato piano economico finanziario dell’investimento e della connessa gestione per tutto l’arco temporale prescelto".

L’infondatezza di tale assunto è conseguente alla considerazione che, come si è accennato innanzi (cfr. il punto "a."), il piano economicofinanziario è stato correttamente presentato dalla ditta proponente al Comune, il quale, come risulta dalla deliberazione giuntale 29.10.2002 n. 196, ha dato atto, analizzando dettagliatamente tutti gli elaborati costituenti l’offerta, della coerenza e della sostenibilità economica della proposta, presentando essa "le caratteristiche di fattibilità richieste dall’art. 37 ter della medesima legge n. 109/94".

Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.Par.

Da quanto precede risulta inequivocabilmente, dunque, l’inidoneità delle giustificazioni formulate dall’Amministrazione per procedere all’annullamento dell’assentita procedura di project financing, in quanto i dedotti vizi o sono inesistenti, o erano emendabili: inidoneità che, peraltro, non poteva non essere evidente anche all’Amministrazione, avendo essa affermato, in palese contrasto con l’interesse che sosteneva l’originaria scelta (alla stregua della quale una parte dell’immobile avrebbe dovuto essere adibito a ristorante/bar), che "la destinazione a polo culturale è senz’altro la soluzione ottimale" (cfr. l’intervento del Sindaco in risposta alle perplessità manifestate dal consigliere Federico Spillare, riportate nella delibera consiliare n. 32/08): ma, tuttavia, ha ugualmente cercato di far passare un recesso contrattuale per mutato interesse (confermato anche dalla riferita impossibilità di far fronte alle obbligazioni nascenti dal contratto per sopravvenuta carenza di fondi, dirottati altrove: cfr. l’ultimo "considerato" della medesima delibera n. 32/08) per un recesso per illegittimità degli atti procedurali.

Dal complesso della delibera giuntale n. 32/08, dunque, pur essendo evidenziati alcuni profili di illegittimità dell’affidamento – profili che, come sopra argomentato, sono privi di pregio -, emergono, tuttavia, altri aspetti riguardanti una nuova valutazione dell’interesse pubblico alla non realizzabilità dell’opera, valutazione che la ricorrente non solo non ha contestato, ma che anzi ha invocato quale elemento fondante dell’atto adottato.

Tale motivazione pertanto, ancorchè non chiaramente esplicitata, rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta rispetto a quelle derivanti dall’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente qualificazione del provvedimento in termini di revoca.

Al riguardo, peraltro, si osserva che con l’entrata in vigore dell’art. 21 quinques della legge n. 241/90 il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: 1) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; 2) per mutamento della situazione di fatto; 3) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi).

La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (cfr. CdS, VI, 17.3.2010 n. 1554).

Nel caso di specie, la motivazione del provvedimento di revoca è costituita essenzialmente da una nuova valutazione dell’interesse pubblico rivolto a conferire una diversa destinazione alla Villa..

Considerato che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, non può ritenersi inadeguata la motivazione posta a fondamento, in via desuntiva, della revoca in esame.

Va aggiunto, per completezza, che la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo (cfr. CdS, V, 21.4.2010 n. 2244), come in concreto avvenuto in questo caso.

Per le considerazioni che precedono, dunque, il ricorso è fondato e va accolto, nel senso, appunto, che l’impugnato provvedimento si qualifica come atto di revoca, e non già di annullamento, della procedura di project financing.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

Devono, a questo punto, essere esaminate le questioni patrimoniali.

Sovviene, a tal proposito, l’art. 158 del Dlgs n. 163/06 (che va applicato in ragione della specificità dell’istituto del project financing: sicchè non si ritiene di poter aderire a CdS, V,. 6.10.2010 n. 7334 che ha, invece, individuato la fonte regolamentare dell’indennizzo nell’art. 21 quinquies, comma 1 bis della legge n. 241/90) che, riproponendo pedissequamente l’art. 37 septies della legge n. 109/94, detta i criteri di calcolo di quanto spettante al concessionario – la disposizione è chiaramente tesa a porre il concessionario al riparo degli effetti conseguenti ad una possibile rivalutazione dell’interesse pubblico, prevedendo a suo favore un obbligo di tipo strettamente indennitario (nel senso che a questa espressione è comunemente assegnato dalla dottrina civilistica, di "responsabilità da atto lecito") -per l’ipotesi in cui l’Amministrazione "revochi la concessione per motivi di pubblico interesse".

Orbene, atteso che la ricorrente non aveva iniziato i lavori, nulla va riconosciuto ai sensi del I comma, lett. a) della predetta norma.

La ricorrente va, invece, ristorata dei costi sostenuti in conseguenza della risoluzione del rapporto, come previsto dalla successiva lett. b): costi che, come dimostrato, assommano a Euro 20.160,00 per la predisposizione del progetto (cfr. doc. 20 della ricorrente) e a Euro 5.209,48 per la registrazione del contratto, e così complessivamente a Euro 25.369,48.

All’impresa ricorrente andrà poi attribuito, in applicazione alla lett. c), "un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero della parte del servizio ancora da gestire valutata sulla base del piano economicofinanziario": e poiché nella fattispecie deve farsi riferimento all’utile rappresentato dalla prevista gestione trentennale dell’immobile (che avrebbe comportato un ricavo pari a Euro 1.950.000,00, in quanto sarebbe stato ceduto in locazione al Comune verso il corrispettivo di un canone annuo di Euro 65.000,00), e non al valore delle opere da eseguire (che costituisce un mero costo), all’impresa andrà riconosciuta, a tale titolo, la somma di Euro 195.000,00, da cui però andrà detratto un importo forfetario pari al 10% (Euro 19.500,00) per spese di gestione e manutenzione dell’immobile.

Conclusivamente, dunque, alla ricorrente spettano le seguenti somme:

– Euro 25.369,48 per spese documentate;

– Euro 175.500,00 per mancato guadagno;

e così complessivamente Euro 200.869,48.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nel senso di cui in motivazione.

Condanna l’Amministrazione a corrispondere l’indennizzo a favore della ricorrente come in motivazione.

Spese rifuse, a carico del Comune, nella misura di Euro 5.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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