Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-02-2011, n. 896 Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. In data 10 ottobre 2007, a seguito della segnalazione pervenuta, nell’agosto dello stesso anno, dalla Federconsumatori della Puglia circa un presunto accordo tra i produttori della pasta pugliesi in merito ad un aumento programmato dei prezzi pari a circa il 25%, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha avviato un procedimento istruttorio, ai sensi dell’art. 81 del tratto CE, nei confronti delle associazioni Unipi – Unione Industriali Pastai Italiani e Unionalimentri- Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Alimentare, al fine di accertare l’eventuale realizzazione di intese lesive della concorrenza nel mercato nazionale della produzione e vendita di pasta.

In ragione delle informazioni acquisite nel corso degli accertamenti ispettivi effettuati e dell’attività istruttoria svolta, l’Autorità, sul presupposto che l’intesa contestata facesse parte di un più ampio coordinamento tra le imprese operanti nel settore della pasta, in data 5 dicembre 2007, estendeva il procedimento nei confronti di 29 società (fra le quali le società odierne appellanti).

Nel corso del procedimento, sulla base di quanto previsto dall’art. 14ter legge n. 287/1990, alcune parti presentavano impegni volti a rimuovere i profili anticoncorrenziali dell’infrazione contestata.

In particolare presentavano impegni:

– la società R. S.p.A. – M.E.P., in data 14 marzo 2008;

– la società B. G. E R. Fratelli S.p.A., in data 12 marzo 2008;

– la società F.lli D.C.D.F.F.S.M. S.p.A., in data 14 marzo 2008;

– la società F. D. S.p.A., in data 14 marzo 2008;

– la società P.L.G. S.p.A., in data 14 marzo 2008;

– la società P.M. S.p.A., in data 13 marzo 2008;

– la società A.A.&.C.M.E.P. S.p.A., in data 11 marzo 2008.

2. L’Autorità, nella riunione del 27 marzo 2008, riteneva gli impegni presentati dalle parti manifestamente inidonei a far venir meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria e, pertanto, ne disponeva il rigetto.

3. In data 30 ottobre 2008, l’Autorità deliberava di prorogare il termine di conclusione del procedimento al 26 febbraio 2009, in ragione dell’ampiezza e della complessità della documentazione acquisita nello svolgimento dell’attività istruttoria, e della correlata necessità di assicurare alle parti un congruo termine per l’esercizio dei diritti di difesa. In data 4 novembre 2008 veniva inviata alla parti la comunicazione delle risultanze istruttorie, con la quale si contestava alle associazioni ed a 27 su 29 imprese parti del procedimento una violazione del’art. 81 TCE, consistente nell’aver posto in essere due intese restrittive della concorrenza, nel mercato nazionale della pasta secca di semola, volte a coordinare l’aumento dei prezzi.

4. Con provvedimento del 25 febbraio 2009 (doc. n. 116), l’Autorità concludeva l’istruttoria, deliberando:

"a) che le associazioni UNIPI – Unione Industriali Pastai Italiani e UnionAlimentari – Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Alimentare e le società A.A.&.C.M.E.P. S.p.A., B. G. E R. Fratelli S.p.A., C.M.E.P.D. S.p.A., C. S.p.A., D.M.A. S.p.A., D.I.A. S.p.A., F. D. S.p.A., F.lli D.C.D.F.F.S.M. S.p.A., L.P.D. S.p.A., N.I. Divisione Prodotti Alimentari S.p.A., P.B. S.p.A., P.Z. S.p.A., P.A.M.- G. S.r.l., P.C.R. S.p.A., P.D.M.G. & F.lli S.p.A., P.F. S.p.A., Pastificio F.lli C. S.r.l., P.G.F. S.r.l., P.L.M. S.p.A., P.L.G. S.p.A., P.M. S.p.A., P.R. F.lli M. S.p.A., R. S.p.A. – M.E.P., T.- I.A.D.C. – S.r.l., T.F. e A.F. S.p.A. e V. di F.P. S.r.l. hanno posto in essere due intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’articolo 81 del Trattato" CE, aventi per oggetto e per effetto l’incremento concertato del prezzo di cessione della pasta secca di semola sul mercato nazionale;

b) che le associazioni e le società di cui al punto a) si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;

c) che, in ragione di quanto indicato in motivazione, vengano applicate le sanzioni amministrative pecuniarie alle seguenti associazioni e società:

Parte Sanzione (Euro)

Unipi 12.990

Unionalimentari 1.000

A. 364.824

B. 5.729.630

B. 35.543

C. 34.482

C. 152.811

C. 748.002

D.C. 1.398.804

D.M. 143.360

Del verde 149.121

D.M. 21.483

D. 1.260.972

F. 26.208

F. 166.978

G. 474.401

G. 280.844

L.M. 60.252

L. 96.166

M. 60.540

N. 73.619

R. 72.324

R. 476.591

R.101.529

T. 20.401

T. 359.159

V. 49.525

Z. 124.774

5. Le società sanzionate impugnavano il provvedimento di chiusura dell’istruttoria, chiedendone l’annullamento.

6. Con sentenze nn. 12355, 12319, 12324, 12322, 12315, 12330, 12323, 12331, 12318, 12320, 12321, 12314, 12316, 12332, 12326, 12327, 12317, del 2 dicembre 2009 il Tar del Lazio respingeva tutti i ricorsi.

7. Avverso le sentenze del Tar del Lazio, le società indicate in epigrafe hanno proposto appello al Consiglio di Stato.

8. Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2010, la causa è stata trattenuta per la decisione.

9. Occorre, anzitutto, disporre la riunione degli appelli stante la connessione sia oggettiva che soggettiva.

Le sentenze impugnate, del resto, pur formalmente diverse, sono in gran parte identiche nel contenuto sostanziale. La riunione degli appelli, se da un lato soddisfa un’evidente esigenza di economia processuale, non impedisce, d’altro canto, di tenere conto delle distinte posizioni soggettive e dei diversi motivi di gravame.

10. Prima di esaminare le singole censure che le odierne appellanti muovono verso il provvedimento dell’Autorità, occorre ricostruire brevemente il contenuto del provvedimento sanzionatorio oggetto di impugnazione.

11. A conclusione di un lungo ed articolato procedimento istruttorio, l’Autorità ha accertato l’esistenza di due intese, aventi ad oggetto ed effetto aumenti concertati del prezzo di cessione della pasta secca di semola, considerate particolarmente gravi.

12. Secondo l’Autorità, una prima intesa è intervenuta tra le imprese produttrici di pasta secca di semola e l’associazione Unipi; l’altra si è realizzata in ambito esclusivamente associativo, per opera di Unionalimentari, ed ha assunto le caratteristiche di una deliberazione di un’associazione di imprese rilevante ai sensi dell’art. 81 del Trattato CE.

L’Autorità, come chiarito nel provvedimento, non ha individuato l’oggetto di tali comportamenti nella fissazione di un prezzo concordato, unitario ed omogeneo; ma ha, piuttosto, accertato l’esistenza di condotte volte, nel loro complesso, a realizzare aumenti concordati del prezzo della pasta secca di semola, la cui entità sarebbe poi stata definita da ciascuna impresa, secondo le proprie caratteristiche di posizionamento sul mercato ed in base alla propria struttura dei costi, tenendo comunque conto degli aumenti focali concordati.

Relativamente alla prima intesa, la strategia di fissazione concordata degli aumenti dei prezzi sarebbe stata resa possibile grazie ad alcune riunioni, svoltesi in sede Unipi, nel corso delle quali erano state discusse le politiche di prezzo, attuali e future, delle imprese.

Secondo l’Autorità, le informazioni che le imprese si scambiavano, e di cui discutevano durante i diversi incontri, non riguardavano dati storici (ossia aumenti di prezzi già applicati), ma per lo più aumenti ancora da determinare, oppure già annunciati ma non ancora in vigore.

Un ruolo determinante ai fini della realizzazione di questa intesa sarebbe stato svolto proprio dall’associazione Unipi, la quale, con una pluralità di mezzi diversi, ha comunicato al settore, ai clienti ed alla pubblica opinione gli aumenti prestabiliti, facilitando la realizzazione degli stessi.

13. Quanto alla seconda intesa, essa, secondo la ricostruzione dell’Autorità, si è concretizzata nella divulgazione di una determinazione di Unionalimentari, volta ad indirizzare gli associati verso un aumento uniforme di prezzo. Con la sua condotta, l’organismo associativo avrebbe così fornito agli associati un importante segnale per l’aumento del prezzo del prodotto finito, per effetto del quale le imprese hanno potuto sostituire un meccanismo di reazione autonoma ed individuale all’aumento del prezzo della materia prima con una strategia concordata ed uniforme.

14. Le due intese sono state considerate particolarmente gravi, oltre che in relazione al loro oggetto, anche in considerazione degli effetti prodotti, avendo comportato, nel loro complesso, un incremento del prezzo di cessione al canale distributivo e di quello pagato dal consumatore finale. A fronte di una crisi del settore, causata dall’aumento del costo della materia prima, i comportamenti delle parti sono stati ritenuti idonei a coordinare gli aumenti del prezzo della pasta, in misura maggiore di quanto sarebbe stato possibile laddove ciascuna impresa avesse agito individualmente.

15. Con distinte sentenze del 2 dicembre 2009 il Tar del Lazio si è pronunciato sui 23 ricorsi presentati dalle società produttrici di pasta avverso il suddetto provvedimento dell’Autorità, rigettando integralmente i ricorsi.

Le sentenze sono sostanzialmente omogenee con riferimento alle parti relative alla definizione del mercato rilevante, alla valutazione dell’intesa ed alla quantificazione delle sanzioni.

16. Avverso tale sentenze le società e le associazioni indicate in epigrafe hanno proposto appello, chiedendone la riforma.

17. Occorre, anzitutto, esaminare, i motivi con cui si fanno valere censure, che, pur nella loro diversa formulazione, sono comuni a gran parte dei soggetti sanzionati.

18. Al riguardo, viene in primo luogo in considerazione, la definizione di mercato rilevante operata dall’Autorità che le appellanti contestano sotto diversi profili.

Si deve premettere che la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale applicazione delle norme ai fatti implica un’operazione di "contestualizzazione" delle fonti normative, frutto di una valutazione giuridica complessa che adatta concetti giuridici indeterminati (quali, appunto, il "mercato rilevante") al caso specifico.

Non di rado tale operazione di contestualizzazione implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di dette nozioni.

Il giudice amministrativo in relazione ai provvedimenti dell’AGCM esercita un sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto, deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate. Laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione del mercato rilevante, se questa sia, attendibile secondo la scienza economica, immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, da vizi di violazione di legge (Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, Rc Auto; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926, buoni – pasto).

Ciò premesso, il Collegio ritiene che l’individuazione del mercato rilevante operata dall’AGCM sia attendibile e immune, quanto all’accertamento dei fatti, da vizi di travisamento o di illogicità, nonché immune, quanto alle disposizioni giuridiche interpretate e applicate, da vizi di legittimità.

L’Autorità, dopo aver rilevato come, dal punto di vista merceologico, il settore potesse essere distinto nelle produzioni di "pasta secca di semola, pasta secca all’uovo, pasta fresca e pasta surgelata", ha osservato come tali categorie di prodotti si distinguessero per materie prime utilizzate, tecnologia produttiva, caratteristiche organolettiche, prezzo, modalità di conservazione e di consumo. Alla luce di tali elementi, l’Autorità ha allora definito il mercato rilevante, dal punto di vista merceologico, come quello della pasta secca di semola, in ciò tenendo conto, fra l’altro, delle diverse abitudini di consumo, nonché dei prezzi, "che per la pasta secca di semola sono significativamente più bassi rispetto agli altri prodotti".

Dal punto di vista geografico, l’Autorità ha osservato che il mercato poteva essere definito come coincidente con il territorio nazionale, in quanto abitudini e volumi di consumo della pasta valgono a differenziarne le caratteristiche rispetto all’estero. In tale analisi, pur prendendo atto delle peculiarità regionali o locali di alcune paste, l’Autorità ha concluso che queste non fossero sufficienti a consentire un’ulteriore segmentazione del mercato rilevante, in ragione della "diffusa distribuzione su tutto il territorio nazionale e delle omogenee condizioni di concorrenza".

La definizione di mercato rilevante operata dall’Autorità risulta, nel suo complesso, attendibile sotto il profilo tecnico, congruamente motivata e supportata da una adeguata istruttoria. Nella ricostruzione di mercato rilevante l’Autorità ha preso in considerazione anche studi di settore (cfr. par. 57 del provvedimento, note 26, e 27) che hanno confermato che il settore merceologico della pasta secca presenta delle peculiarità (specie per quel che rileva le abitudini di consumo) che valgono a differenziarlo dagli altri settori.

Inoltre, l’Autorità ha dato correttamente rilievo alla circostanza che nel caso di specie l’intesa contestata aveva proprio ad oggetto il prezzo della pasta secca di semola.

Deve, rilevarsi, a tale proposito che nell’ipotesi di intese restrittive, la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso: vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito.

Correttamente, quindi, l’AGCM ha definito il mercato rilevante prendendo le mosse dall’oggetto del comportamento contestato che ha avuto incidenza nel settore della pasta secca di semola ed ha riguardato l’intero territorio nazionale.

19. Parimenti infondate sono le censure con cui si sostiene che non sarebbe stata raggiunta la prova circa l’esistenza di una intesa tra le imprese.

Al contrario di quanto sostenuto negli appelli, numerosi sono gli elementi probatori da cui si desume l’esistenza dell’intesa. Dai documenti raccolti in istruttoria, si evince chiaramente l’esistenza di una concertazione tra le imprese finalizzata a definire, nel corso di ripetute riunioni in sede associativa, politiche di aumenti di prezzo della pasta secca di semola, da proporre ai principali clienti ed in particolare alla grande distribuzione organizzata (GDO).

Tali riunioni, diversamente da quanto sostenuto dalle parti, non risultano finalizzate esclusivamente al confronto sulle modalità con cui affrontare la crisi del settore, ma hanno un chiaro oggetto anticoncorrenziale. Le imprese si riunivano per discutere di prezzi e, in particolare, per concordare le strategie da seguire nella loro fissazione, confrontandosi sull’entità degli aumenti da attuare, fissando, oltre alla misura percentuale, anche la data a partire dalla quale tali aumenti avrebbero dovuto essere comunicati alla GDO.

Si è trattato, in altri termini, di incontri indubbiamente idonei ad influenzare le scelte strategiche di ciascuna impresa, alterandone l’autonomia decisionale. Obiettivo di tali riunioni era, infatti, di eliminare ogni ragionevole incertezza in merito alla politica di prezzo di tutti i partecipanti alle stesse, coniugando la politica di aumenti dei prezzi con la ragionevole tranquillità che l’applicazione di tali aumenti non avrebbe comportato l’esclusione dal mercato delle imprese o la perdita di significative quote di mercato, data l’esistenza di generale consenso.

Le informazioni che le imprese si scambiavano, e di cui discutevano durante i diversi incontri, non riguardavano dati storici (ossia aumenti di prezzi già applicati), ma per lo più aumenti ancora da determinare, oppure già annunciati ma non ancora in vigore.

Un ruolo determinante ai fini della realizzazione di questa intesa è stato svolto proprio dall’associazione Unipi, la quale, con una pluralità di mezzi diversi, ha comunicato al settore, ai clienti ed alla pubblica opinione gli aumenti prestabiliti, facilitando la realizzazione degli stessi.

20. L’intesa, in particolare, come risulta provato documentalmente, si è svolta in più fasi.

Nella prima fase dell’intesa (riunioni ottobre e novembre 2006), le imprese avevano stabilito di chiedere ai loro principali clienti aumenti di prezzo della pasta secca di semola per un valore focale di 6 centesimi al chilogrammo; nella fase successiva (da luglio 2007 a ottobre 2007), il riferimento di massima stabilito era di circa 20 centesimi al chilogrammo; mentre nel 2008 si prevedeva un aumento di prezzo generalizzato da modulare in base alla struttura di costi di ciascuna impresa.

21. In particolare le risultanze istruttorie confermano che:

a) in data 5 ottobre 2006 si è svolta una riunione tra le imprese in sede Unipi che – come desumibile da un documento acquisito presso la sede di G. consistente in una minuta firmata, scritta a mano – che ha avuto quale oggetto di discussione la politica commerciale delle imprese. A tale riunione hanno partecipato, oltre alla stessa Unipi, 12 società (A., B., C., D.C., D., Felicetti, G., G., N., R., R. e Z.); B. è stata considerata assente giustificata. Dal documento si evince che nel corso della riunione si sia discusso di aumenti dei prezzi della pasta, con l’auspicio di azioni convergenti e con scambi di informazioni sulle future strategie di prezzo, nonché sugli aumenti già praticati dalle imprese.

b) in data 28 novembre 2006 si è svolta a Roma, un’altra riunione presso la sede dell’Unipi, in cui, come desumibile sempre dall’appunto scritto a mano reperito presso G., le imprese hanno continuato la discussione già avviata con la precedente riunione, scambiandosi informazioni sull’aumento del prezzo della pasta, e concordando strategie in merito. A questa riunione, hanno preso parte, oltre alla stessa Unipi, 13 società (A., B., B., C., Delverde, D., G., G., N., R., R. T. e Z.). Le dichiarazioni riportate nel provvedimento impugnato (par. 83) testimoniano che l’oggetto della riunione era di concordare l’aumento dei prezzi della pasta.

c) in data 18 luglio 2007 si è svolta a Roma, presso la sede dell’Unipi un’ulteriore riunione, a cui hanno partecipato, oltre a Unipi, 26 imprese. Dalle risultanze istruttorie (cfr. doc. 3.222; doc. 1.63, doc. 2.158) emerge chiaramente che l’oggetto della riunione era ancora quello di concordare l’aumento del prezzo della pasta.

d) In data 26 settembre 2007 si è svolta un’ulteriore riunione (a cui partecipano, oltre a quelli di Unipi, i rappresentanti di 22 imprese, in gran parte le stesse già intervenute nella riunione del 18 luglio). Oggetto della riunione era di nuovo lo scambio di informazioni circa gli aumenti che le imprese intendono effettuare.

e) in data 8 novembre 2007, in vista della riunione del giorno successivo del consiglio direttivo di Unipi, viene convocata una riunione ristretta, detta del G8, alla quale avrebbero dovuto partecipare i rappresentanti di 8 imprese (B., C., D.C., D., G., N., R., Z.). In vista di questo incontro del G8, le imprese coinvolte hanno organizzato di scambiarsi per posta elettronica dati puntuali sugli aumenti di prezzo della pasta effettuati e programmati da ciascuna di esse.

Tali riunioni periodiche, come rileva l’Autorità, avendo ad oggetto la discussione circa le politiche di prezzo attuali e future delle imprese erano certamente suscettibili di influenzare le scelte strategiche di ciascuna impresa, alterandone l’autonomia decisionale. Risulta, inoltre, provato che, per rafforzare la tenuta del coordinamento raggiunto, le decisioni assunte durante le riunioni erano ulteriormente diffuse da parte di Unipi attraverso l’invio di dettagliate circolari e attraverso comunicati stampa: ciò sia al fine di favorire la partecipazione anche da parte di imprese pastaie di piccole dimensioni non presenti alla riunione, sia per facilitare il compito di far accettare alla GDO i prezzi più alti che le imprese si preparavano a chiedere.

Ad esempio, il 12 settembre 2007 (due settimane prima della riunione), il Presidente Unipi rendeva nota la sequenza temporale dei ritocchi dei prezzi: "parte di questi aumenti sono già stati applicati, (…), i restanti aumenti saranno graduati per arrivare ad un aumento finale di 1214 centesimi".

Ugualmente, il 7 luglio, (alcuni giorni prima) della riunione, il Presidente Unipi, nel corso di una intervista all’agenzia di stampa Ansa, aveva preannunciato l’arrivo di aumenti concordati, affermando: "c’è bisogno di un ritocco dei listini del 20%, riscontrabile tra gli scaffali di vendita da settembre".

Il quadro probatorio qui descritto, e ampiamente documentato nel provvedimento impugnato, dimostra, quindi, l’esistenza di un’intesa unica e complessa, realizzatasi con una pluralità di condotte (quali la partecipazione sistematica alle riunioni in sede Unipi per la determinazione della percentuale di aumento dei prezzi, la comunicazione dell’esito delle riunioni alle associate mediante l’emanazione di delibere associative e comunicati stampa), che, valutate nel loro insieme, evidenziano un unico illecito anticoncorrenziale consistente in un coordinamento "fondato non su scelte autonome attuate in un contesto realmente competitivo, ma su interessi coordinati, volti ad evitare pressioni concorrenziali tra potenziali concorrenti, attraverso un’artificiosa politica di prezzo determinata congiuntamente" (par. 182 del provvedimento).

In altri termini, le imprese hanno posto in essere un sistema finalizzato a sostituire la concorrenza con un meccanismo di concertazione delle rispettive politiche di prezzo. L’intesa era funzionale sia agli interessi delle grandi imprese pastaie (che potevano così aumentare il prezzo della pasta senza rischiare di perdere quote di mercato) sia a quello delle piccole imprese (che, in assenza di aumenti generalizzati, difficilmente sarebbero riuscite a far accettare alla GDO gli incrementi di prezzo).

22. Va ancora evidenziato, a confutazione di specifici motivi di doglianza fatti valere dalle odierne appellanti, che gli elementi probatori da cui l’Autorità ha desunto l’esistenza dell’intesa risultano, nel loro complesso, pienamente attendibili.

In particolare, quanto alla contestazione della parti circa l’attendibilità delle minute su cui si base parte della ricostruzione operata dall’Autorità, si deve osservare che agli atti del fascicolo risultano molteplici minute, acquisite presso soggetti diversi, i cui contenuti sono tra loro coerenti, a dimostrazione dell’attendibilità delle stesse.

Ciò vale anche per i documenti rinvenuti presso una sola impresa, che, come questo Consiglio ha già avuto modo di rilevare, ben possono essere utilizzati per sostenere la condotta anticoncorrenziale anche nei confronti di altre imprese.

La giurisprudenza di questo Consiglio e la giurisprudenza comunitaria hanno del resto già più volte affermato che i documenti di cui è accertata l’attendibilità esplicano la loro rilevanza probatoria anche nei confronti di società diverse da quelle presso le quali sono stati materialmente reperiti, o alle quali sono attribuibili (Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 4017; Id. 2 marzo 2001, n. 1191).

L’utilizzo come prova a carico di documenti provenienti da terzi è stato ammesso dalla Corte di giustizia Ce (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1975, cause riunite 4048, 50, 5456, 111, 113 e 114/73, Suiker Unie, par. 159 ss.), che ha ritenuto che sia difficile ammettere che un’impresa possa avere assolutamente inventato il contenuto di uno scritto relativo ad un comportamento che possa esporla a sanzioni.

Nulla vieta, quindi, di ammettere, come prova del comportamento di un’impresa, documenti provenienti da terzi, purché il contenuto degli stessi sia attendibile per quanto si riferisce al comportamento stesso.

Inoltre, non è rilevante il ruolo svolto all’interno dell’impresa dai soggetti che materialmente hanno posto in essere i comportamenti vietati o hanno predisposto i documenti rinvenuti durante le ispezioni, ma anzi deve ritenersi che la condotta da parte del singolo dipendente, accompagnata dal conseguente comportamento della società, sia sufficiente per rendere gli impegni assunti o gli atti rinvenuti riferibili alla società (cfr. Corte giust. 21 febbraio 1984, causa 86/82, Hasselblad).

Pertanto, sono riferibili alle imprese anche documenti redatti da soggetti privi del potere di rappresentanza (Cons. Stato, sez. VI, n. 1191/2001).

23. Risulta corretta anche l’applicazione che l’Autorità ha fatto del principio della c.d. partecipazione passiva, del principio, cioè, secondo cui, ove risulti provato che un’impresa abbia partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni era priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro. Diversamente, il fatto stesso di approvare tacitamente una iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi rappresenta una modalità di partecipazione all’intesa, idonea a far sorgere la responsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo, anche qualora l’impresa non abbia dato seguito ai risultati di una riunione avente un oggetto anticoncorrenziale. Ed è proprio in forza di tale principio, che può ritenersi provata la partecipazione all’intesa contestata di tutte le imprese che hanno preso parte alle riunioni in ambito Unipi.

24. Le società appellanti lamentano l’assenza di parallelismo tra le condotte delle imprese, evidenziando che gli aumenti applicati dalle imprese sarebbero stati sensibilmente divergenti per tempistica ed importi.

Anche tale censura è infondata.

In primo luogo, a fronte della prova dell’esistenza di un accordo teso alla comune definizione delle strategie di prezzo, l’ulteriore dimostrazione del parallelismo di comportamenti risulta superfluo, atteso che l’illiceità della condotta già discende dalla oggettiva idoneità della stessa ad alterare la concorrenza.

In ogni caso, si deve rilevare che le parti hanno comunque posto in essere un parallelismo di comportamenti, consistente nell’aver adottato una comune politica di incremento dei prezzi.

Nell’ambiti delle riunioni Unipi, le imprese, infatti, hanno fissato aumenti "focali" (pari, come si è già detto, a 6 e 20 centesimi al chilogrammo) per orientare la strategia di incremento dei prezzi.

I livelli di incremento fissati erano, quindi livelli tendenziali, che dovevano poi essere modulati da ciascuna impresa in relazione alla propria struttura di costi e alle proprie caratteristiche di posizionamento sul mercato.

E allora del tutto normale che, in un mercato come quello della pasta, composto da un numero elevato di imprese con caratteristiche significativamente diverse, la collusione conduca a variazioni di prezzo non assolutamente parallele ed omogenee sotto il profilo temporale e quantitative, ma rispettose delle specificità delle singole imprese.

Questa circostanza, tuttavia, non basta ad escludere l’illiceità dell’intesa. A tale riguardo, con particolare riferimento al parallelismo in materia di prezzi, deve rilevarsi che la particolare importanza del prezzo come strumento di competizione (si tratta della principale arma di concorrenza tra le imprese) induce a ritenere vietata ogni forma di condotta collusiva mediante la quale le imprese ne alterino il meccanismo di formazione, gonfiandolo a proprio vantaggio e al di sopra del livello che esso avrebbe raggiunto dall’incontro della domanda e dell’offerta (in tal senso cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 102)..

Sono per conseguenza vietate non solo le intese tramite le quali le imprese fissano i prezzi a livelli esattamente determinati o stabiliscono esattamente prezzi minimi al di sotto dei quali esse si impegnano a non vendere, ma, più in generale, tutte le intese che mirino o abbiano ad effetto di limitare la libera determinazione individuale del prezzo e, quindi, la sua naturale flessibilità.

Incorrono nel divieto, pertanto, non solo le pattuizioni esplicite sul prezzo finale da praticare o sul tetto minimo da rispettare, ma pure le forme di concertazione che permettono alle imprese di praticare prezzi che, pur differenziati per entità e per andamenti, sono comunque notevolmente ed ingiustificatamente superiori rispetto quelli che verrebbero praticati in assenza di condotte concordate.

Non assume rilievo nemmeno la circostanza che qualche impresa abbia modificato al ribasso, invece che al rialzo, i propri prezzi di cessione della pasta (è il caso di N. che, a seguito delle riunioni della fine del 2006, avrebbe modificato al ribasso, invece che al rialzo, i propri prezzi di cessione della pasta).

Come correttamente rileva il provvedimento impugnato (par. 196), in ogni cartello esiste un incentivo per le imprese che vi partecipano a fingere di aderire all’intesa per poi sfruttare le politiche di prezzi elevati dei concorrenti per conquistare quote di mercato. In ogni caso, anche l’impresa "deviante" ha un interesse a che l’intesa si realizzi ed agisca efficacemente, perché solo così sarà in grado di accrescere le proprie vendite, oppure, come nel caso di N., di tentare di contenerne il declino.

Va rilevato, peraltro, che N. ha tenuto un comportamento "deviante" rispetto all’intesa solo nella prima fase della stessa; al contrario, dopo la seconda riunione Unipi del luglio 2007, N. ha richiesto due aumenti uniformi di listino: il primo per una misura di 10 centesimi al chilogrammo è stato comunicato in data 27 luglio 2007, il secondo, per una misura di 9 centesimi al chilogrammo. è stato comunicato il 31 ottobre 2007.

25. Le società appellanti sostengono, ancora, che l’Autorità non avrebbe tenuto conto del contesto di crisi del settore determinato dall’aumento del costo della materia prima, e, dunque, della conseguente inevitabilità degli aumenti del prezzo della pasta.

Anche tali censure non hanno pregio.

26. In primo luogo, si osserva che dalle risultanze istruttorie è emerso che la frequenza degli aumenti dei prezzi della pasta, più che dall’andamento del costo della materia prima, era determinata dall’esito dello svolgimento degli incontri in sede associativa.

La concertazione, infatti, è cominciata ben prima che l’incremento del costo della materia raggiungesse valori allarmanti per le imprese pastaie (ovvero la primavera del 2007) ed era previsto dovesse proseguire anche in caso di eventuali riduzioni del costo della semola (cfr., sul punto, provv. par. 67).

A sostegno di tale ricostruzione, rileva anche quanto affermato dalla stessa società B. che, nell’esporre la strategia di cartello da seguire, con tono perentorio segnalava alle imprese associate il pericolo di "legare" il prezzo della pasta all’andamento della materia prima, per evitare di trovarsi costrette successivamente a doverlo ridurre qualora esso avesse cominciato a scendere (doc. n. 40 – 3.217).

Deve, quindi, essere ribadito che, contrariamente a quanto le società appellanti tentano di sostenere, l’Autorità non ha stigmatizzato una autonoma decisione, da parte di ciascuna impresa, in ordine alle modalità con cui riversare sui prezzi di vendita gli aumenti dei costi – condotta, questa, che sarebbe stata, come rilevato anche dal giudice di prime cure, del tutto legittima dal punto di vista antitrust – ma ha accertato una intesa tra le imprese pastaie tesa ad individuare in concerto modalità e misura per procedere in maniera concordata a tali aumenti: condotta, questa, che integra senza alcun dubbio gli estremi di uno dei più gravi illeciti rilevanti per il diritto della concorrenza.

Questo Consiglio, del resto, ha già avuto modo di affermare che, sebbene risponda ad una ordinaria regola di condotta delle imprese aumentare i prezzi in conseguenza degli aumenti dei costi della materia prima, traslandoli sui consumatori, tuttavia in un mercato concorrenziale non è lecito che "siffatto aumento dei prezzi sia frutto di una decisione concertata tra le imprese concorrenti, anziché di una scelta individuale, che potrebbe anche essere diversa dalla rigida traslazione dell’aumento dei costi" (decisione del 23 giugno 2006, n. 4017, Imballaggi metallici).

Non può essere condivisa nemmeno l’affermazione delle appellanti, secondo cui vi sarebbe incompatibilità tra le caratteristiche e l’andamento del mercato e la sussistenza di un intesa.

Al contrario, l’Autorità ha rilevato che proprio il contesto economico nel quale si sono realizzate le condotte, in ragione delle sue peculiarità – in particolare per la presenza di numerosi operatori, l’eccessiva capacità produttiva inutilizzata e la situazione di calo della domanda – rendeva particolarmente necessario per le singole imprese trovare un generale consenso sulla politica di incremento prezzi da seguire. In particolare, l’eccesso di capacità produttiva potenziava il rischio per le singole imprese di programmare autonomamente una strategia di aumento dei prezzi. Senza eliminare talune incertezze in merito al comportamento previsto dalle concorrenti in relazione alla tempistica, la portata nonché la modalità con cui effettuare gli aumenti, infatti, si sarebbe senz’altro verificato uno spostamento più significativo delle quote di mercato, idoneo a condizionare anche i principali operatori del mercato.

La frammentarietà del mercato, contrariamente a quanto eccepito dalle ricorrenti, rendeva indispensabile ai fini di una concertazione volta ad ottenere un aumento generale dei prezzi avvalersi dell’attività di coordinamento dell’associazione e organizzare riunioni ampiamente pubblicizzate per assicurare la più ampia partecipazione delle imprese del settore.

Né in tale contesto va trascurato di considerare che l’elevato potere di mercato della GDO, e la conseguente estrema difficoltà per le piccole imprese di far accettare i propri aumenti di prezzo hanno costituito la motivazione principale dell’adesione all’intesa, nonché del coinvolgimento – soprattutto nella seconda fase dell’intesa – degli operatori c.d. terzisti o private label.

Sulla base di tali considerazioni, pertanto, correttamente l’Autorità ha escluso che l’incremento del costo della materia prima o il particolare contesto nell’ambito del quale l’intesa si era realizzata cambiassero la valutazione dei comportamenti in questione.

27. Le considerazioni che precedono consentono anche di respingere le censure con cui le imprese sostengono che l’intesa non avrebbe comunque avuto effetti sul mercato.

In disparte la considerazione secondo cui affinché un’intesa avente un oggetto anticoncorrenziale sia giudicata illecita non è necessario che produca anche l’effetto concreto di impedire, restringere o falsare la concorrenza (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 424), nel caso di specie, comunque, le evidenze acquisite nel corso del procedimento hanno evidenziato come essa abbia avuto anche un effetto significativo sul mercato, determinando un aumento del prezzo della pasta riguardante sia il prezzo di cessione al canale distributivo, sia quello praticato ai consumatori finali: gli aumenti dei prezzi hanno registrato, infatti, un andamento anomalo, anche tenuto conto dell’incremento del prezzo della materia prima, perché si sono realizzati con una tempistica simile da parte delle imprese partecipanti all’intesa, e risultano essere stati realizzati a seguito delle riunioni nelle quali, come accertato dall’Autorità, tali aumenti erano stati discussi e concordati dalle imprese.

28. Anche le doglianze sollevate da alcune società in merito alla mancata applicazione dell’art. 81.3 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE) non sono fondate.

La posizione dell’Autorità risulta, infatti, in linea con quanto espresso dalla Commissione nella Comunicazione recante "Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato" ( Comunicazione del 27 aprile 2004, n. 2004/C101/08, pt. 46), dove peraltro si afferma espressamente che "ad esempio, un accordo orizzontale per la fissazione dei prezzi determina una limitazione della produzione ed una cattiva allocazione delle risorse. Esso trasferisce inoltre valore dagli utilizzatori ai produttori, in quanto conduce a prezzi più elevati senza generare una compensazione per gli utilizzatori all’interno del mercato rilevante. Di norma, inoltre, questi tipi di accordi non soddisfano il criterio del carattere di indispensabilità di cui alla terza condizione".

Né in senso contrario può essere invocata l’esistenza della crisi nel settore della pasta, atteso che la presenza della crisi non può certo comportare l’applicazione automatica dell’esenzione, in mancanza delle condizioni previste cumulativamente dall’art. 81.3 del Trattato.

30. Alcune delle società appellanti ripropongono anche la censure relative all’applicazione, da parte dell’Autorità, dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE), lamentando che, nel caso di specie, l’intesa accertata non avrebbe comportato alcun pregiudizio al commercio tra Stati membri.

Anche tali censure non meritano accoglimento.

In primo luogo, deve ribadirsi quanto affermato da questo Consiglio con la sentenza 17 gennaio 2008, n. 102 circa la carenza di un reale interesse delle ricorrenti a sollevare tale censura. Come si legge, nella decisione appena citata, infatti, "aver applicato la disciplina comunitaria, anziché quella nazionale, non determina l’illegittimità del provvedimento impugnato, perché l’eventuale errore (…) non avrebbe in alcun modo leso il diritto di difesa delle società coinvolte, avendo, anzi, l’effetto (…) di comportare delle garanzie procedimentali aggiuntive per tutte le società coinvolte",.

Anche nel merito, comunque, le censure non colgono nel segno. Il provvedimento dell’Autorità è perfettamente in linea con gli orientamenti comunitari, nonché con i principi ripetutamente espressi da questo Consiglio.

L’intesa accertata ha interessato l’intero territorio nazionale ed ha coinvolto i produttori rappresentativi della stragrande maggioranza del mercato nazionale della pasta, nonché le loro associazioni di categoria. In proposito, la Corte di Giustizia ha più volte ricordato che un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato (Corte di Giustizia, sentenze 19 febbraio 2002, causa C309/99, Wouters, pt. 95; 17 ottobre 1972, causa 8/72, Vereeniging van Cementhandelaren/Commissione, pt. 29; 11 luglio 1985, causa C42/84, Remia e a./Commissione, pt. 22; 18 giugno 1998, Commissione/Italia, pt. 48). Inoltre, secondo la Comunicazione della Commissione recante le Linee direttrici sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (in GUCE C101 del 27 aprile 2004), anche accordi di ben minore rilevanza ed estensione, vale a dire di portata subnazionale (ed anche solo regionale) possono soddisfare il requisito del pregiudizio al commercio tra Stati membri.

Nel caso di specie, quindi, non vi è alcuna contraddizione tra la definizione del mercato geografico come mercato nazionale e l’applicazione dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE). A voler in ipotesi seguire le tesi sostenute da alcune delle società appellanti, si giungerebbe all’assurda conseguenza per cui un’intesa può reputarsi idonea a pregiudicare il commercio intracomunitario solo se il mercato da essa interessato è di dimensione sopranazionale.

Vale peraltro ricordare, in merito, come la questione sia stata affrontata anche da questo Consiglio il quale, facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha ribadito che: i) l’idoneità di un’intesa ad incidere sul commercio tra Stati membri, ossia il suo effetto potenziale, è sufficiente perché essa rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE)., non occorrendo dimostrare l’esistenza di un pregiudizio effettivo; ii) un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro può, per sua natura, consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato; iii) non vi è alcuna contraddizione tra la definizione del mercato geografico come mercato nazionale e l’applicazione dell’art. 81 del Trattato CE (Cons. Stato, sez. VI 17 gennaio 2008, n. 102).

Alla luce di tali considerazioni, le censure delle società appellanti devono essere respinte.

Per le stesse ragioni la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sollevata nel corso della discussione orale dalla società Z. si rivela inammissibile: tale richiesta mira, infatti, a rimettere alla Corte di giustizia una questione che, alla luce della stessa giurisprudenza comunitaria, non presenta alcuna incertezza interpretativa. Si ricorda, a tal proposito, che anche i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se questa non è pertinente (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite), se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso, o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (cfr, Corte Giust, CE, 61082, C 283/81, Cilfit).

31. Le ricorrenti contestano la legittimità delle valutazioni relative alla determinazione delle sanzioni con particolare riferimento alla gravità e alla durata dell’infrazione nonché al metodo di calcolo applicato dall’Autorità.

Anche tali censure, con le sole eccezioni di cui si dirà in seguito, sono infondate.

In linea generale le sanzioni irrogate trovano piena giustificazione nella gravità dell’illecito accertato. Sotto tale profilo, la valutazione di gravità compiuta dall’Autorità è ampiamente motivata e in linea con gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria, risultando fondata sulla natura dell’infrazione, sull’importanza degli operatori coinvolti, sul contesto nel quale i comportamenti sono stati attuati nonché sugli effetti restrittivi determinati dalla concertazione.

Nel caso di specie, infatti, sono state accertate due intese (l’intesa Unipi e l’intesa Unionalimentare) volte a porre in essere un aumento concertato del prezzo di cessione della pasta secca di semola in Italia. Le intese si sono manifestate attraverso la divulgazione, da parte delle associazioni di categoria, in svariate riunioni, assemblee nonché tramite i principali mezzi di comunicazione, di indicazioni circa i prezzi da adottare in relazione alla vendita di tutte le tipologie di pasta.

Tali infrazioni sono state, inoltre, poste in essere con riferimento ad un bene essenziale, quale la pasta.

Si è trattato, in altri termini, di intese orizzontali di prezzo che sono considerate dalla Comunicazione della Commissione "Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 23, par. 2, lett. a), del Regolamento CE n.1/2003" (2006/C 210/02) tra le restrizioni più gravi della concorrenza.

In tal senso, si è già espressa anche la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui tali intese sono molto gravi per la concorrenza "poiché ne ostacolano la capacità di garantire l’efficienza allocativa e di mantenere il livello dei prezzi il più basso possibile" (ex multis si cfr. Cons. Stato, sez. VI, dec. 102/08).

Ai fini della gravità dei comportamenti, è stata altresì ritenuta rilevante l’ampiezza della diffusione data alle indicazioni di prezzo e l’effetto che hanno prodotto sul mercato in termini di aumento medio dei prezzi di cessione alla GDO e, conseguentemente, del prezzo finale praticato dai distributori ai consumatori, come emerge ampiamente nei paragrafi da 241 a 246 del provvedimento impugnato.

Con particolare riferimento agli effetti, si è già avuto modo di precisare come le evidenze e la documentazione raccolte dall’Autorità smentiscono la tesi delle imprese secondo cui non sarebbe stato provato l’impatto della loro condotta sul mercato, dimostrando al contrario che le intese, ed in particolare quella realizzata in sede Unipi, si sono tradotte nel loro complesso in un incremento del prezzo di cessione al canale distributivo e di quello pagato dal consumatore finale.

Alla luce di tali risultanze, tenendo conto anche del danno determinatosi in capo ai consumatori, deve essere condivisa la valutazione di gravità effettuata dall’Autorità.

32. Le valutazioni dell’Autorità risultano corrette anche per quel che attiene alla durata dell’intesa.

In base alle evidenze documentali in atti, è infatti risultato che l’intesa posta in essere in sede Unipi si è protratta dall’ottobre 2006 al 1° marzo 2008; l’intesa Unionalimentari si è realizzata il 31 agosto 2007.

Per quel che attiene all’intesa in sede Unipi, per ogni singola impresa nel provvedimento è stato analiticamente indicato il periodo specifico di partecipazione all’infrazione, come si evince dai paragrafi 314 -315 e dalla tabella n. 14 del provvedimento.

Sempre relativamente a tale intesa si è ritenuto, facendo anche in tal caso applicazione di principi noti alla giurisprudenza nazionale e comunitaria, che "la durata dell’infrazione non deve essere valutata in funzione del periodo durante cui un accordo è in vigore, ma in funzione di quello durante il quale le imprese incolpate hanno adottato un comportamento vietato dall’articolo 81 CE’ (Tribunale di primo grado, sent. 12 dicembre 2007, T101/05 e T11/05- Basf, punto 187).

Applicato al caso di specie, tale principio ha comportato che, venendo in considerazione un’intesa complessa, avente ad oggetto ed effetto la determinazione concordata della politica di prezzo delle imprese nel mercato rilevante, si tenesse conto della persistente applicazione delle politiche di prezzo coerentemente determinate dalle imprese a seguito della concertazione tra di esse intercorsa nel periodo oggetto di osservazione. La durata dell’infrazione realizzata in sede Unipi è stata comunque arrestata al momento in cui, in base alla documentazione acquisita agli atti del fascicolo istruttorio, vi era certezza in merito ai prezzi di listino praticati dalle parti.

33. Non possono essere accolte, quindi, le censure, sollevate da alcuni ricorrenti, (B., D.M.) secondo cui la durata dell’intesa avrebbe dovuto essere fissata tenendo conto della data di partecipazione alle diverse riunioni, oppure del fatto che alcuni aumenti erano stati annunciati prima della riunione dell’ottobre 2006 o, ancora, secondo cui la durata della partecipazione all’intesa sarebbe dovuta decorrere dal momento in cui l’impresa ha applicato i primi aumenti di prezzo (T.). Alla luce della sopra citata giurisprudenza, infatti, la durata delle intese va apprezzata avendo riguardo a tutte le condotte delle imprese che risultino connotate da anticoncorrenzialità.

Inoltre, in presenza di un’intesa unitaria e complessa, le condotte delle singole imprese devono essere inquadrate e collocate nel contesto complessivo della concertazione, dovendo essere considerate come "tasselli di un mosaico, i cui elementi non sono significativi di per sé, ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della concorrenza"(Cons. St., sez. VI, dec. 8 febbraio 2008, n. 421 Rifornimenti aeroportuali; in tal senso si cfr. anche Cons.Stato, sez. VI, dec. 17 dicembre 2007, n. 6469, Sisal/Lottomatica). Ciò soprattutto se, come nel caso di specie, nessuna delle imprese ricorrenti non solo non si è mai dissociata dall’oggetto delle riunioni, ma ha tenuto condotte conformi a quanto in esse emerso.

34. Anche il fatto che le manovre sui prezzi fossero state annunciate prima delle riunioni non è di per sé rilevante poiché, come peraltro indicato nel provvedimento, un mero annuncio non rappresenta un impegno irrevocabile ad aumentare il prezzo, data la possibilità frequente nel settore di revocare, modificare o procrastinare l’aumento, anche modulando gli sconti. Sicché tale circostanza è del tutto irrilevante ai fini dell’individuazione del momento in cui le imprese hanno aderito all’intesa.

Sono, pertanto, prive di pregio, salvo quanto si dirà in seguito con specifico riferimento a C., tutte le argomentazioni con cui le parti tentano di ridurre la durata della loro partecipazione all’intesa.

35. Nella determinazione dell’importo delle sanzioni da comminare sono state correttamente prese in considerazione anche le circostanze attenuanti ed aggravanti.

In particolare, partendo dalla corretta premessa secondo cui il grado di partecipazione all’intesa non va misurato e valutato in ragione della quota di mercato detenuta da ciascuna impresa, ma in ragione del ruolo da essa concretamente svolto, l’Autorità ha considerato come circostanza aggravante il ruolo organizzativo e di promozione dell’accordo, nonché di monitoraggio degli effetti dello stesso, imputabile alle società facenti parte del c.d. G8 (B., D., G., A., R. e Z.).

Per le altre imprese, nessuna differenziazione ulteriore è stata operata, posto che dalle risultanze istruttorie è emerso che esse hanno partecipato in misura uguale all’attuazione dell’intesa.

Per converso, le iniziative assunte dalle società B., D.C., D., G., A. e R., in corso di istruttoria, risultando idonee ad attenuare le conseguenze dell’infrazione commessa, in quanto finalizzate a limitare l’incremento del prezzo di cessione della pasta, sono state valutate quale circostanza attenuante nell’applicazione della sanzione.

Per cui, priva di fondamento è la censura della società A., secondo cui l’Autorità non avrebbe tenuto conto ai fini della riduzione della sanzione del comportamento di estrema collaborazione, nonché dell’attuazione degli impegni presentati ex art. 14 ter, l. n. 287/1990.

36. Ai fini della riduzione della sanzione, non può, invece, ritenersi rilevante quanto fatto dalle imprese in attuazione di obblighi legislativamente previsti, quali l’obbligo sanzionato di fornire le informazioni richieste o di fornire la documentazione nel corso degli accertamenti ispettivi (in tal senso si cfr. i ricorsi di R., C.).

Né tra le attenuanti doveva essere presa in considerazione, come invece pretendono alcune ricorrenti (R.), la quota marginale da esse detenute nel mercato rilevante. Tale elemento, infatti, non solo non rientra tra quelli di cui si deve tenere conto ai fini della riduzione dell’importo della sanzione, ma nel caso di specie è stato addirittura già valutato nella determinazione dell’importo base che, conformemente a quanto prescritto nel punto 12 dei nuovi orientamenti per il calcolo delle ammende, è stato fissato tenendo conto del valore delle vendite dei beni oggetto dell’infrazione.

37. In sede di quantificazione della sanzione, alla società B. è stata applicata un’ulteriore attenuante per il comportamento tenuto in sede di audizione finale, nel corso della quale ha dimostrato di voler attenuare ulteriormente le conseguenze dell’infrazione commessa, attraverso l’attuazione di nuove politiche commerciali.

Legittimamente tale attenuante non è stata applicata alla società D.M., la quale, come risulta dalla lettura dell’allegato 10 al verbale dell’audizione finale del 13 gennaio 2009, non ha attuato né si è impegnata ad attuare alcuna riduzione dei prezzi, ma semplicemente, nel rigettare gli addebiti formulati nei suoi confronti, si è limitata a ribadire la sua estraneità all’intesa facendo presente che sin dall’estate del 2008 avrebbe abbassato i suoi prezzi e che aveva in atto riposizionamenti dei suoi listini (si cfr. doc. 100 – doc. 20.803). Tuttavia, al di là di mere petizioni di principio, nessuna prova concreta circa l’attuazione di tali condotte è stata fornita all’Autorità. Per cui, non potendosi ravvisare gli estremi di un ravvedimento operoso, nessuna attenuante andava presa in considerazione.

38. In ragione, poi, delle situazioni di perdita in bilancio è stata applicata una riduzione all’importo base della sanzione per tutte quelle società (A., B., C., C., D.M., F., F., L.M., L., N., R., R., R., T. e V.) che nell’ultimo triennio hanno registrato perdite d’esercizio, suscettibili di pregiudicare irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa.

Le società F. e R. non possono quindi dolersi del fatto che non sia stata presa in considerazione la loro situazione di difficoltà.

Tale attenuante non è stata coerentemente applicata alle società come Del Verde e D.M. che hanno registrato perdite relativamente ad un unico esercizio.

Si consideri altresì che la prassi consolidata dell’Autorità di prendere in considerazione, ai fini della concessione di una riduzione della sanzione solo una situazione deficitaria risultante dall’aver registrato perdite ingenti per almeno tre esercizi, ha già superato il vaglio della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. VI, n. 2207/09)

39. Irrilevante è, comunque, anche la pretesa avanzata da alcune imprese che l’Autorità non consideri positivo un risultato di esercizio solo perché l’utile in esso registrato è frutto di una plusvalenza derivante dall’alienazione di un immobile (D.M.). Alla ricorrente che lamenta tale vizio non sarebbe stata infatti in nessun caso concessa l’attenuante per perdita d’esercizio, poiché – anche là dove per assurdo si fosse accolta al sua tesi – l’ipotetica perdita avrebbe riguardato solo uno dei tre anni presi in considerazione.

Il procedimento di quantificazione appare, in definitiva, pienamente legittimo, in quanto conforme ai Nuovi Orientamenti, nonché ampiamente motivato e privo di vizi di disparità di trattamento, dal momento che per ogni impresa si è analiticamente tenuto conto degli specifici elementi che la riguardavano.

40. Altrettanto infondate appaiono altresì le eccezioni relative ad un asserito difetto di proporzionalità delle sanzioni irrogate, salvo quanto si dirò nel prosieguo con riferimento specifico a T..

Nel caso di specie le sanzioni comminate dall’Autorità, nell’esercizio del suo potere discrezionale, sono proporzionate sia alla gravità della condotta (intesa orizzontale di prezzo posta in essere dalla quasi totalità degli operatori attivi nel mercato), sia alle dimensioni delle singole imprese. Nel provvedimento oggetto di ricorso, infatti, le sanzioni variano da un minimo dello 0,01% ad un massimo dell’ 1,23% del fatturato complessivo dell’ultimo esercizio.

Quindi, per ognuna delle imprese sanzionate si tratta di una sanzione lontanissima dal massimo edittale, che – come noto – è pari al 10% del fatturato complessivo dell’ultimo esercizio (art. 15, della legge n. 287/90). Ancora, l’importo delle sanzioni comminate è stato assai modesto anche con riferimento al fatturato realizzato dalle imprese nel mercato della pasta secca di semola, variando da un minimo dello 0,35% ad un massimo del 2% di tale fatturato del prodotto.

In conclusione, le sanzioni fissate nel provvedimento sono proporzionate, ben lontane dal massimo edittale e dai valori previsti nei Nuovi Orientamenti della Commissione per infrazioni del tipo di quella accertata.

Per cui, certamente infondate sono le censure delle ricorrenti volte a far valere un asserito difetto di proporzionalità nella quantificazione delle sanzioni irrogate.

41. Alcune ricorrenti contestano che l’Autorità nel quantificare la sanzione avrebbe considerato anche il fatturato derivante dalla produzione di pasta secca di semola per conto terzi.

Anche tali censure non hanno pregio. Non si vede, infatti, per quale ragione l’Autorità non avrebbe dovuto considerare nel fatturato anche i ricavi derivanti da tale tipologia di produzione, atteso che si tratta pur sempre di attività di produzione e commercializzazione di pasta secca di semola.

42. Molte ricorrenti (D.C., R., D., D.M.) contestano la sussistenza dell’elemento soggettivo sostenendo che l’infrazione sarebbe stata commessa per negligenza, avendo esse partecipato in funzione meramente passiva alle riunioni.

Come si è giù precisato, tuttavia, in virtù del c.d. principio della partecipazione passiva, spettava, alle imprese l’onere di fornire la prova che la loro partecipazione alle riunioni avveniva in un’ottica diversa da quella oggetto delle riunioni stesse.

Ebbene, tale onere probatorio non è stato assolto dalle ricorrenti, che non solo non si sono mai esplicitamente dissociate dal contenuto delle riunioni, ma hanno nel concreto tenuto condotte conformi ad esso.

Ne consegue, pertanto che, non avendo le imprese fornito alcuna valida scusante del loro comportamento, non può escludersi la loro colpevolezza.

43. Quasi tutte le imprese coinvolte contestano la propria partecipazione all’attività organizzativa e/o al cosiddetto G8 e, in conseguenza di ciò, ritengono che la sanzione ad esse irrogata sia illegittima perché terrebbe conto come circostanza aggravante di tale elemento.

Si tratta di un’eccezione infondata.

Dalla documentazione istruttoria emerge con evidenza un particolare ruolo di coordinamento svolto da un numero ristretto di imprese (A., B., D., G., R. e Z.) che hanno operato in stretta connessione con Unipi, spesso fornendo indicazioni poi effettivamente seguite dall’Associazione. (cfr. doc. 5 – doc. 1.9, doc. 42 – doc. 4.266, doc. 14 – doc. 1.40, doc. 15 – doc. 1.41, doc. 16 – doc. 1.42, doc. 17 – doc. 1.43, doc. 18 – doc. 1.46, doc. 19 – doc. 1.47, doc. 21 – doc. 1.48, doc. 21 – doc. 1.61, doc. 33 – doc. 2.147, doc. 34 – doc. 2.150 e doc. 36 – doc. 3.177).

Tali società hanno partecipato più attivamente all’organizzazione delle riunioni, all’attività associativa e alla progettazione e parziale realizzazione del successivo monitoraggio degli aumenti di prezzo praticati e da praticarsi.

In particolare, la documentazione in atti evidenzia come in vista della riunione del 9 novembre 2007, alcune società avessero programmato un incontro ristretto – il cosiddetto G8 appunto – in preparazione del quale le imprese coinvolte avevano deciso di scambiarsi per posta elettronica dati puntuali sugli aumenti del prezzo della pasta effettuati e programmati da ciascuna di esse. Inoltre era stato messo a punto un quadro completo delle catene della grande distribuzione, ciascuna con il relativo produttore di paste private label, al fine di attuare un controllo dei prezzi anche su questi ultimi. Si realizzava quindi un monitoraggio strutturato degli aumenti dei prezzi dei principali operatori e dell’attività dei produttori per conto terzi.

Non vale ad inficiare l’accertamento circa l’esistenza del G8 la circostanza che sono state ritenute parte di tale gruppo ristretto solo 6 imprese (e non 8, come il nome farebbe appunto pensare). Per due società (D.C. e C.), infatti, pur presenti nel Comitato esecutivo dell’Associazione e coinvolte nella prevista riunione del G8, l’Autorità ha, alla fine, ritenuto che non vi fossero prove certe che avessero partecipato attivamente all’organizzazione del G8. I molteplici messaggi di posta elettronica acquisiti, infatti, vedono le società D.C. e C. frequentemente come destinatari e non come mittenti dei messaggi stessi (part. 238 del provvedimento). Per tale ragione, pur ritenendo provata l’esistenza del G8, l’Autorità ha correttamente ritenuto di non poter imputare a D.C. e C. la partecipazione al gruppo ristretto, malgrado la loro innegabile posizione di rilievo sia in ambito associativo sia nel mercato di riferimento.

Anche sotto questo profilo, quindi, l’accertamento compiuto dall’Autorità è privo dei vizi logici e delle contraddizioni denunciate.

44. Le considerazioni appena svolte consentono di respingere gran parte delle censure sollevate dalle società appellanti nei motivi di appello.

45. Ora, occorre, tuttavia, esaminare le doglianze specifiche relative alla posizione delle singole imprese.

46. R. lamenta che non vi sarebbe la prova della sua partecipazione all’intesa. La società lamenta, in particolare, che il suo rappresentante (la dottoressa M.) avrebbe preso parte alle riunioni non in qualità di delegato dell’impresa, ma di delegato dell’associazione industriali mugnai e pastai d’Italia: ciò si evincerebbe sia dal fatto che la dottoressa M., nel foglio firmato dai partecipanti alla riunione, avrebbe apposto il proprio nome senza indicare quello della ditta, sia dal fatto che le convocazioni alle riunioni venivano inviate al suo indirizzo email, nonostante non ricoprisse incarichi all’interno del pastificio.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, dalla documentazione in atti – della quale è stata già ampiamente dimostrata l’attendibilità – risulta inequivocabilmente che la dottoressa M. partecipava alle riunioni in qualità di rappresentante di R.: la sua presenza in rappresentanza del pastificio R., infatti, risulta confermata, sia dagli avvisi di convocazione delle riunioni sia dai verbali relativi agli incontri del 18 luglio 2007 e 26 settembre 2007.

46. Le medesime considerazioni valgono per la società C. la quale afferma che il proprio rappresentante era presente agli incontri associativi in qualità di delegato SIMEC.

47. La società Antonio A. evidenzia che le aziende partecipanti alle riunioni del Comitato direttivo Unipi del 5 ottobre 2006 e del 28 novembre 2006 non coincidono con quelle che invece hanno preso parte alle riunioni della Commissione rilevazione statistiche del 18 luglio 2007 e del Consiglio direttivo del 26 settembre 2007. A queste due ultime riunioni hanno partecipato 26 società, ossia circa il doppio di quelle che avevano preso parte agli altri due incontri, che costituirebbero le sole riunioni in cui si sarebbe discusso di prezzi. Di conseguenza, si dovrebbero ritenere estranee all’intesa quelle imprese, tra cui appunto la società A., che non hanno partecipato alle prime due riunioni.

La censura non ha pregio perché muove dalla premessa, peraltro esplicitata nell’appello, secondo cui vi sarebbe una soluzione di continuità tra gli incontri dell’ottobre 2006 e quelli svoltisi nell’estate del 2007. Tale tesi non è tuttavia condivisibile, in quanto, come si è già avuto modo di evidenziare, l’intesa realizzata in sede Unipi ha natura unitaria e complessa e, pertanto, le singole condotte riferibili alle diverse parti devono essere lette ed interpretate alla luce della strategia complessiva oggetto di concertazione. I singoli incontri non vanno, pertanto, considerati autonomamente ma unitamente agli altri elementi indiziari raccolti, i quali attestano senza ombra di dubbio l’esistenza di un accordo iniziato ad ottobre del 2006.

48. Con riferimento all’appello proposto da F., oltre alle considerazioni già svolte, appare sufficiente ribadire che il numero delle riunioni volte al coordinamento di strategie commerciali di carattere anticompetitivo,alle quali abbia preso parte il singolo imprenditore, non

rappresenta elemento di differenziazione per la individuazione della responsabilità

dell’operatore commerciale ai fini antitrust. Tale principio, peraltro, è pienamente coerente con quanto affermato, anche di recente, dalla Corte di Giustizia, la quale ha precisato che "ciò che rileva non è tanto il numero di riunioni tra gli operatori interessati, quanto il fatto di accertare se il contatto, o i contatti, che sono avvenuti abbiano consentito a questi ultimi di tenere conto delle informazioni scambiate con i concorrenti per determinare il proprio comportamento sul mercato e di sostituire scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza". Tale principio, a giudizio della Corte, "vale sempre, anche qualora la concertazione sia basata unicamente su una sola riunione tra gli operatori interessati" (Corte di Giustizia, sentenza del 4 giugno 2009, causa C8/08, T Mobile e a.).

Le caratteristiche strutturali e di mercato dell’impresa F. sono state, del resto, adeguatamente valutate dall’Autorità in sede di quantificazione della sanzione applicata che risulta, per tale società, una delle più basse in assoluto in termini di valore monetario.

49. La società R. ripropone una serie di censure relative a: a) la mancata corrispondenza tra gli aumenti citati nel provvedimento e quelli censiti nella tabella 9 relativa all’andamento dei prezzi netti praticati dalle parti alla GDO; b) l’errore del confronto di grandezze tra loro non omogenee contenuto nella tabella 11; riguardante gli aumenti di prezzo richiesti alla GDO e andamento del prezzo della semola c) la non coincidenza tra la tabella 9 e la tabella 11, la mancata realizzazione degli aumenti nel provvedimento; d) la non confrontabilità delle tabelle 12, relativa all’andamento del prezzo medio finale di vendita di una confezione di pasta e 13, concernente il prezzo finale di vendita.

Tali censure sono infondate.

In merito alla censura sub a) si osserva che le affermazioni cui la società R. fa riferimento sugli aumenti discussi e poi richiesti, infatti, si riferiscono ai prezzi di listino e sono indicativi del tentativo – non sempre del tutto riuscito – di dare attuazione all’intesa.

Diversamente, le Tabelle 8, 9, 10 e 11 del provvedimento finale, e tutte le considerazioni su di esse basate, si riferiscono ai prezzi netti praticati, che si distinguono dai listini emessi per gli eventuali sconti in fattura.

Quanto alla censura sub b), si rileva che il confronto tra le frequenze degli aumenti di prezzo della pasta e i prezzi della semola riportato nella tabella 11 è volto a comparare esclusivamente la tempististica di due diversi fenomeni: la finalità della tabella infatti era di evidenziare come l’intesa e la sua attuazione siano iniziate prima dei massicci aumenti del costo della materia prima pertanto è per tale motivo che essa censisce variabili non omogenee.

Con riguardo alle doglianze sub c), si osserva che gli aumenti citati nel provvedimento, realizzati nella prima settimana del gennaio 2007, si riferiscono ad A., B., C., D.C. e R.. Essi trovano riferimento nella Tabella 9, all’undicesima colonna intestata "28/1/07", per B., D.C. e R.. Per A. e C. l’aumento non è rilevato dalla Tabella 9, pur essendosi verificato, in quanto la Tabella 9 riporta il prezzo medio applicato durante un periodo di 4 settimane (2 settimane prima della data di intestazione e 2 settimane dopo). Inoltre, deve ancora rilevarsi che, trattandosi di un prezzo medio approssimato al centesimo di euro, eventuali aumenti di prezzo applicati ad un numero limitato di distributori sarebbero potuti emergere. In ogni caso, sia il documento n. 12.577 (che riporta l’aumento praticato da C. a Carrefour) sia il documento n. 12.588 (che riporta l’aumento praticato da A. alla centrale d’acquisto I.) dimostrano che gli aumenti di A. e C. descritti nel provvedimento finale si sono effettivamente verificati. In tale contesto, pertanto, è irrilevante la circostanza che gli aumenti di R. siano stati più cospicui in seguito, atteso che ciò che preme sottolineare nel provvedimento finale è essi che sono iniziati prima dei massicci aumenti del costo della semola.

Infine, quanto alla asserita impossibilità di confrontare le tabelle 12 e 13, in quanto conterrebbero dati disomogenei (sub d), coglie nel segno la replica dell’Autorità secondo cui la diversa suddivisione in sottoperiodi delle due Tabelle non influisce nella determinazione del prezzo di cessione della pasta al canale distributivo. Ed invero, l’aumento complessivo del prezzo della pasta secca di semola in un biennio è stato del 51,8% all’ingrosso e del 36% al dettaglio, ovvero i prezzi della GDO sono saliti meno del prezzo all’ingrosso.

50. La società B. lamenta che l’assenza di un suo rappresentante alla riunione del 5 ottobre 2006 costituirebbe prova della sua mancata partecipazione all’intesa, perlomeno dalla sua fase iniziale.

In senso contrario si deve rilevare che, sebbene non presente, B. era stata debitamente messa a conoscenza non soltanto dello svolgimento della riunione, ma soprattutto della finalità della stessa, atteso che esistono evidenze incontestabili dell’attuazione della politica comune di aumenti in tale occasione concordata. Conformemente a quanto stabilito durante l’incontro di ottobre 2006, infatti, seguendo l’indicazione delle concorrenti di "muovere il mercato per primo", B. apriva la richiesta degli aumenti applicando incrementi della medesima entità di quelli auspicati in seno alla riunione (cfr. par. 253 del provv. e doc. n. 39 -3.216 del fascicolo di primo grado).

Sulla base di tali considerazioni e tenuto conto del complesso delle risultanze istruttorie, pertanto, legittimamente l’Autorità ha ritenuto coinvolte nell’intesa accertata anche le imprese che non avessero preso parte alla totalità delle riunioni in sede Unipi.

51. Meritano, invece, parziale accoglimento, limitatamente alla quantificazione della sanzione, gli appelli proposti da T. e C..

52. T. obietta che la propria posizione marginale sul mercato renderebbe la sua posizione analoga a quella dei pastifici Mantovanelle e Felicetti per le quali non è stata accertata alcuna responsabilità e a cui conseguentemente non è stata irrogata alcuna sanzione.

La censura non ha pregio.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente la sua posizione risulta completamente differente da quella delle due citate imprese Mantovanelle e Felicetti che sono state escluse dal procedimento e non hanno subito alcuna sanzione in quanto operanti in mercati diversi rispetto a quello della pasta secca di semola.

In particolare, dalle analisi di mercato effettuate è emerso che Mantovanelle è attiva solo nella produzione di pasta all’uovo, la sua presenza ad una delle riunioni pertanto è stata considerata del tutto occasionale e non finalizzata alla partecipazione ad un’intesa; Felicetti invece è risultato essere produttore quasi esclusivamente di paste speciali e solo in minima parte – in termini di quantità assoluta e non di quote di mercato come sostenuto dalle ricorrenti – di pasta secca di semola

53. Meritano, invece, condivisione, condivisione, come si diceva, le considerazioni svolte da T. in ordine alla quantificazione della sanzione applicata nei suoi confronti.

T. deduce che la sanzione applicata nei suoi confronti, pari a Euro 359.159,00, sia manifestamente sproporzionata in relazione a quella applicata ad altre imprese, le quali, nonostante abbiano avuto un ruolo nel cartello molto più importante e attivo e/o un fatturato significativamente più elevato, sono state, invece, colpite, in proporzione, da una sanzione sensibilmente inferiore.

In particolare, T. lamenta che la sanzione applicata nei suoi confronti sia stata:

l’ottava sanzione in assoluto per entità tra quelle comminate dall’Autorità con la decisione finale;

di entità superiore (sia con riferimento all’importo base, sia alla sanzione finale) rispetto alla sanzione comminata a due aziende ritenute dalla stessa Autorità tra gli organizzatori del cartello (Z. e N.), i quali hanno realizzato nell’anno considerato un fatturato globale sensibilmente superiore a quello di T. nel mercato considerato;

di entità pari (sia con riferimento all’importo base, sia con riferimento alla sanzione finale) alla sanzione comminata nei confronti di un soggetto (A.) ritenuto dall’Autorità tra gli organizzatori dell’asserito cartello, il quale pure ha realizzato nell’anno considerato un fatturato notevolmente superiore a quello di T.;

di entità superiore (sia con riferimento all’importo base, sia alla sanzione finale), più del doppio, rispetto alla sanzione comminata ad un soggetto (Del Verde) la cui durata della partecipazione al cartello è stata riconosciuta pari a quella di T. e il cui fatturato è pressoché identico a quello di T.;

di entità superiore a quella comminata a quattro imprese (F., D.M., V., M.) che pure hanno realizzato un fatturato sensibilmente superiore a quello di T.;

di entità compresa tra oltre il doppio e oltre dieci volte rispetto alla sanzione comminata ad aziende con un fatturato simile a T..

Più in generale, T. evidenzia che da una lettura del trattamento sanzionatorio approntato dall’Autorità emerge in maniera chiara la presenza di un nucleo di otto soggetti che hanno ricevuto sanzioni molto consistenti (superiori ai 300.000 Euro) in cui sono ricompresi i principali operatori italiani per fatturato e quote di mercato nonché i membri del c.d. G8. "E poi presente un secondo gruppo di piccole e medie imprese, il cui fatturato è invece simile a quello di T., cui sono state comminate sanzioni quasi sempre inferiori a 100.000 Euro. Si duole, quindi, di essere stata collocata nella prima fascia, anziché nella seconda.

Le puntuali deduzioni svolte sotto tale profilo dalla società T. sono fondate. Ed invero, anche se la sanzioni applicata in sé considerata risulta sensibilmente inferiore al massimo edittale, la comparazione con il trattamento riservato alle altre imprese dimostra che la sanzione applicata a T. risulta sproporzionata e ingiustificata, tenuto conto del ruolo avuto nel cartello e della sua posizione di mercato. In applicazione dei poteri di cui il giudice amministrativo dispone in ordine alla quantificazione delle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato propri di una giurisdizione di merito (ora espressamente riconosciuta dall’art. 134, comma 1, lett. c) del codice del processo amministrativo) si può quindi procedere alla rideterminazione della sanzione, che, in ragione delle considerazioni sopra svolte, appare congruo ridurre del 50%: l’importo finale viene, quindi, rideterminato in complessivi Euro 179.579,50.

54. C. Molini lamenta che l’Autorità avrebbe compiuto una errata valutazione nel ritenerla impresa attiva nel mercato rilevante dal momento che l’ultima operazione di vendita di pasta effettuata alla GDO con il proprio marchio risalirebbe al 30 luglio 2008, in quanto l’intera attività molitoria sarebbe stata ceduta per svolgere unicamente attività di trasformazione per conto terzi, ovvero di lavorazione del grano (fornito e non venduto) da imprese committenti.

Con riferimento a tale eccezione, l’Autorità deduce che in data 10 novembre 2008 aveva tentato senza successo di ottenere ulteriori chiarimenti in merito alla presunta inattività di C. nel mercato di riferimento. Poiché nonostante l’asserita dismissione dell’attività, è stato accertato che i ricavi dell’impresa derivanti dalle vendite fra il 2006 e il 2007 risultavano sensibilmente cresciuti (dati Nielsen), l’Autorità, ha conseguentemente dedotto che la crescita riguardasse il settore della pasta. In particolare, l’Autorità ha ritenuto che la divergenza tra quanto dichiarato dall’impresa e quanto risultante agli atti del procedimento derivasse dall’omessa considerazione, nelle dichiarazioni rese dall’impresa nella propria memoria difensiva, della propria attività di produzione per conto terzi che – diversamente da quanto sostenuto nelle difese – era senz’altro rilevante ai fini dell’accertamento in questione.

Nel provvedimento viene ulteriormente precisato che né in occasione della risposta alla richiesta di informazioni del 18 gennaio 2008 né in occasione dell’audizione finale tenutasi il 13 gennaio 2009 la ricorrente ha provveduto a fornire i chiarimenti sull’attività di produzione (cfr. doc. n. 43 – 5.353 del fascicolo di primo grado).

Nonostante le spiegazioni fornite dall’Autorità, le doglianze delle C. sono in parte fondate. Le circostanze rappresentate, in particolare, non valgono, a giudizio del Collegio ad escludere la sua partecipazione all’intesa, che, sia pure per un periodo di tempo estremamente limitato, risulta, comunque, essersi consumata. Tali circostanze, tuttavia, devono però essere valutate favorevolmente ai fini di una riduzione della sanzione irrogata, perché evidenziano una minore durata dell’infrazione rispetto a quella inizialmente ipotizzata.

Giova, al riguardo, evidenziare che la C., al fine di dare prova delle ragioni per le quali non ha fornito all’AGCM gli elementi informativi che le erano stati in data 10 novembre 2008, ha dedotto di non avere mai ricevuto alcuna richiesta di informazioni, precisando che, trattandosi di una richiesta operata solamente via telefax (come emerge dal doc. n. 14.661, richiamato alla nota 311 del provvedimento impugnato), risulta in atti che quella trasmissione non ebbe successo. Risulta, infatti, comprovata l’inesistenza agli atti di un attestato di ricevimento di quel fax da parte della C. e, al contrario, è stata prodotta una dichiarazione rilasciata dall’Enel (doc. n. 9 del fascicolo di primo grado) con cui è stata attestata l’interruzione del servizio elettrico sofferta dalla C. dal 13 ottobre 2008 al 5 dicembre 2008, interruzione resasi necessaria per consentire all’Enel di eseguire, durante quel periodo, i c.d. lavori di sezionamento della fornitura", a seguito di un gravissimo guasto della cabina di trasformazione prodotta dalla umidità eccessiva dovuta alla mancanza di attività produttiva (che, appunto, nel frattempo era cessata).

La sanzione applicata va, pertanto, sensibilmente ridotta, in proporzione alla minore durata della partecipazione all’intesa, e deve essere rideterminata nella misura di complessivi Euro 10.000,00.

55. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, vanno respinti tutti gli appelli proposti, con la sola eccezione degli appelli proposti da T. e C. che devono essere accolti in parte, limitatamente alla quantificazione della sanzione applicata.

La complessità delle questioni esaminate impone la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:

a) ne dispone la riunione;

b) respinge gli appelli n. 01818/2010, 00707/2010, 03016/2010, 03019/2010, 03026/2010, 03183/2010, 03184/2010, 03210/2010, 03221/2010, 03233/2010, 03257/2010, 03403/2010;

c) accoglie in parte, ai soli fini della quantificazione della sanzione, gli appelli n. 3042/2010 e n. 3223/2010 e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, ridetermina la sanzione applicata alle società C.M.E.P.D. s.p.a. e T.F. e A.F. s.p.a. rispettivamente in Euro 10.000,00 ed Euro 179.579,50.

d) compensa le spese del giudizio fra tutte le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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