Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-03-2011, n. 6749 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Nel 2001 il marito ed i figli di B.G. deceduta il (OMISSIS) quando era affetta da cirrosi epatica – agirono giudizialmente, anche in qualità di eredi, nei confronti della Gestione liquidatoria della Usl n. (OMISSIS) della Conca Ternana per il risarcimento dei danni conseguiti all’epatite di tipo C contratta dalla B. a seguito di due trasfusioni di sangue praticatele nel maggio 1991 dai sanitari dell’ospedale civile S.Maria di (OMISSIS), dov’era stata sottoposta ad intervento chirurgico.

La convenuta resistette e chiamò in garanzia le società assicuratrici Toro, Fondiaria Sai ed Ina Assitalia, che a loro volta resistettero.

In corso di causa gli attori rinunciarono alla domanda proposta in proprio, ferma quella formulata iure hereditario.

Il tribunale rigettò la domanda con sentenza dell’11.8.2004 per non avere gli attori provato la loro qualità di eredi.

2.- La corte d’appello di Perugia la ha, invece, parzialmente accolta con sentenza n. 138 del 21.4.2008, liquidando (in Euro 194.000,00 in valori monetari attuali) il danno biologico patito dalla B. per gli anni di sopravvivenza alla contrazione dell’infezione ed escludendo la riconoscibilità di quello morale per difetto di elementi di prova in ordine alla configurabilità degli estremi del reato di omicidio colposo, ovvero di lesioni colpose, in capo ai sanitari che avevano operato.

Ha altresì accolto le domande di garanzia proposte dalla convenuta nei confronti delle tre società assicurative in proporzione delle rispettive quote di coassicurazione.

3.- Avverso la sentenza ricorrono per cassazione B., P. ed S.A. – anche quali eredi del padre, deceduto nel (OMISSIS) – affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso la Gestione liquidatoria della Usl n. (OMISSIS) della Conca Ternana, che propone ricorso incidentale fondato su sette motivi, cui resistono con controricorso i ricorrenti principali.

Le intimate società assicuratrici non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2.- Il ricorso incidentale della Gestione liquidatoria, il cui scrutinio è logicamente preliminare, investe la decisione nella parte in la corte d’appello ha ritenuto che il marito ed i figli della defunta fossero anche i suoi eredi.

Esso muove dalla premessa che, in relazione alla domanda degli attori anche quali eredi della defunta B., la Gestione liquidatoria aveva dedotto che "non può non evidenziarsi la necessità che gli attori precisino le modalità di apertura della successione (depositando anche copia della denuncia di successione con la menzione del credito dedotto in giudizio). Poichè, com’è noto, debiti e crediti si trasferiscono direttamente ed individualmente in capo agli eredi non sussiste alcuna solidarietà attiva, in relazione ai crediti oggetto di causa, ed è indispensabile che i S. precisino la quota di loro spettanza (ex lege o ex testamento?) così come la inesistenza di ulteriori eredi".

La ricorrente si duole dunque, deducendo violazione di norme di diritto e vizi della motivazione, che la corte d’appello:

a) abbia ritenuto che la convenuta avrebbe dovuto svolgere una più puntuale contestazione dell’affermazione (di qualità di eredi) degli attori, giacchè l’onere di contestazione previsto dall’art. 416 c.p.c. è ben più marcato e deciso di quello contemplato dall’art. 167 c.p.c.;

b) abbia dato rilievo alla qualità, affermata dagli attori, di essere il coniuge ed i figli della defunta, giacchè tanto attestava la loro qualità di chiamati all’eredità, ma non anche di eredi;

c) abbia, affermando che non poteva esigersi che essi dessero la prova negativa della mancanza di contrarie disposizioni testamentarie, implicitamente ed erroneamente ritenuto che dovesse essere la convenuta ad offrire la prova della mancanza di legittimazione degli attori a far valere i diritti di credito della defunta;

d) si sia avvalsa per la decisione di documenti (dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal comune di Terni in data 9.5.2000 e dichiarazione di successione rilasciata dall’ufficio del registro di Terni in data 10.7.2000) tardivamente prodotti in appello in quanto già nella disponibilità della parte;

e) non abbia specificamente motivato in ordine alla indispensabilità dei documenti, nel qual caso soltanto la produzione sarebbe stata consentita dall’art. 345 c.p.c., comma 3;

f) non lo abbia fatto nonostante la specifica eccezione di inammissibilità da parte della Gestione liquidatoria;

g) ritenuto i documenti indispensabili benchè avesse ritenuto (errando) che essi dovessero considerarsi eredi legittimi in relazione alla loro qualità di coniuge e di figli.

2.1.- Le censure sono manifestamente infondate.

E’ del tutto corretta in diritto, assorbente di ogni altra considerazione ed assolutamente risolutiva nel contesto dato, l’affermazione della corte d’appello che, pacifico essendo che gli attori fossero chiamati all’eredità nelle non contestate qualità da loro esposte (coniuge e figli della defunta), "la stessa introduzione del giudizio per conseguire il risarcimento dei danni in base ad un diritto che si asserisce già entrato nel patrimonio del de cuius, … comporta in ogni caso accettazione tacita dell’eredità", sicchè "la prova della qualità di eredi sussiste … a prescindere dalla documentazione che gli appellanti hanno chiesto di produrre" (pag. 20 della sentenza impugnata, primo e secondo capoverso).

Le eventualità, dalla ricorrente prospettate nell’illustrazione del secondo motivo, che potesse esistere un testamento, che la scheda testamentaria potesse (se esistente) aver leso le quote di riserva dei legittimari e che, in tale ipotetico caso, questi avrebbero dovuto impugnare il testamento per diventare eredi, non incidono in alcun modo, in totale assenza di allegazioni sul fatto che tanto fosse accaduto, sulla (ovvia) conclusione della corte territoriale.

3.- I ricorrenti in via principale, con i quattro motivi di ricorso prospettano gli errori di diritto e la contraddittorietà della motivazione sentenza per avere riconosciuto il danno biologico e, sulla base degli stessi dati fattuali, escluso il danno morale.

3.1.- Le censure – che possono essere congiuntamente esaminate per la connessione che le connota – sono manifestamente fondate.

Dopo aver ritenuto che l’infezione da HCV che aveva determinato l’epatite a causa della quale era avvenuto il decesso fosse stata contratta attraverso le trasfusioni di sangue ed aver affermato che essa era imputabile alla Gestione liquidatoria (della ex Usl, cui faceva capo l’azienda ospedaliera) sia sotto il profilo contrattuale che extracontrattuale (ex art. 2043 e più ancora ex art. 2050 c.c.), la corte d’appello ha, per un verso, liquidato il danno biologico per il tempo (nove anni) trascorso tra la contrazione della malattia ed il decesso; e, per altro verso, ha testualmente ritenuto: Non può essere, invece, ravvisato il danno morale dal momento che, mentre la ripartizione dell’onere della prova consente di pervenire a ravvisare la responsabilità della struttura sanitaria, non vi sono elementi di prova per ravvisare in concreto gli estremi del reato di omicidio colposo (o anche soltanto di lesioni colpose) in capo ai sanitari che hanno operato in quanto, cosi come osservato dallo stesso c.t.u., "l’esistenza della epatite C nella signora B. non prova la negligenza dei medici trasfusionisti poichè, ammesso che la ricerca sia stata effettuata sul sangue del donatore, questi poteva trovarsi nella fase in cui, pur infermo, non aveva prodotto gli anticorpi, e quindi il test sarebbe comunque risultato negativo".

L’errore è evidente.

Una volta ravvisati i presupposti della responsabilità civile e ritenuto che il danno non patrimoniale dovesse essere risarcito in riferimento ai pregiudizi che la corte d’appello ha sussunto nel danno "biologico", l’esclusione della risarcibilità del danno "morale" per difetto di elementi di prova in ordine alla configurabilità in concreto di una fattispecie di reato si pone in contrasto con tutti gli approdi giurisprudenziali cui questa corte di legittimità è pervenuta nell’ultimo decennio; approdi che sono analiticamente illustrati alle pagine da 42 a 70 del ricorso e che è del tutto superfluo ripercorrere.

Basti dire che, una volta ravvisata la responsabilità di un soggetto per i danni derivati dalla lesione di un diritto inviolabile della persona, qual è la salute, la risarcibilità di un tipo di pregiudizio non patrimoniale ( art. 2059 c.c.) che sia conseguenza della lesione di quel diritto ( art. 1223 c.c.) non può essere affermata o esclusa in riferimento ad una qualificazione che concerna il comportamento dell’autore della condotta, in quanto il danno risarcibile va individuato sul piano degli effetti e non delle modalità della lesione dell’interesse protetto.

Se poi, nel caso in esame, il tipo di pregiudizio consistente nella sofferenza (tradizionalmente definito come "morale soggettivo") possa considerarsi, in tutto o in parte, già ricompreso nella liquidazione operata dalla corte d’appello in riferimento al danno individuato come "biologico" è quaestio facti, che il giudice del rinvio apprezzerà nel rispetto dei principi sanciti da Cass., sez. un., n. 26972/08 (e coeve, ulteriori pronunce), dove è stato chiarito che le voci di danno non patrimoniale hanno una funzione meramente descrittiva e che occorre bensì garantire il risarcimento di ogni tipo di pregiudizio, ma anche evitare duplicazioni risarcitorie.

Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Perugia in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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