Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-02-2011, n. 892

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con la decisione "breve" in epigrafe appellata, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma- ha respinto il ricorso di primo grado con il quale era stato chiesto dall’odierna parte appellante l’annullamento del provvedimento con cui questi era stato escluso dal concorso indetto per la "stabilizzazione" del personale volontario del Corpo Nazionale dei VV.FF.

Il Tribunale amministrativo regionale ha rilevato che il provvedimento impugnato era la naturale conseguenza del giudizio di inidoneità fisica, formulato a seguito degli accertamenti sanitari ai quali l’interessato era stato sottoposto ai sensi della vigente normativa di settore.

Peraltro gli esiti di tali accertamenti avevano trovato sostanziale conferma in occasione della "revisione" appositamente disposta dal Tribunale amministrativo regionale medesimo con l’ordinanza 4 marzo 2009. n. 308.

L’odierna parte appellante ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima.

La lex generalis della selezione ( DM 11 marzo 2008 n. 78) prevedeva che i candidati dovessero essere di statura almeno pari a metri 1,65.

In sede di visita disposta dalla commissione, parte appellante era risultato di altezza inferiore (mt 1,61)

L’appellante nel giudizio di primo grado aveva prodotto un certificato rilasciato dall’azienda USL, comprovante che era alto metri 1,65.

Il primo giudice aveva disposto la ripetizione della visita medica, demandandola al medesimo organo (Commissione medica) dell’amministrazione: l’appellante era risultato di altezza sì inferiore al parametro fissato dal bando (cm 162,6), ma superiore a quella accertata in sede di prima visita.

La contraddittorietà dei dati emersi avrebbe imposto o almeno giustificato un ulteriore accertamento, demandato ad un organo terzo, e ciò tanto più che l’appellante aveva in passato svolto attività come vigile volontario e che dal foglio matricolare risultava che egli era in possesso del requisito fisico in parola.

In ogni caso, solo che si fossero valutate serenamente le risultanze (anche) processuali sarebbe emerso che l’azione giudiziaria intentata da parte appellante non era pretestuosa e, pertanto, la condanna alle spese del giudizio resa in primo grado si appalesava del tutto immotivata.

L’appellata amministrazione si è costituita, depositando una articolata memoria e chiedendo la reiezione del gravame: in entrambe le visite la statura dell’appellante era risultata inferiore a mt.1,65; di nessun rilievo appariva la circostanza che il medesimo aveva svolto la funzione di vigile del fuoco volontario, posto che i requisiti fisici di questi ultimi si rinvengono nel decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 2004, n. 76, e, in particolare, per costoro è prevista l’altezza minima di mt 1,62, anziché quella minima di mt 1,65 prevista per i vigili del fuoco permanenti.
Motivi della decisione

1.La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza dell’appello.

2.Quanto alle censure di merito, deve premettersi alla disamina del caso in oggetto che il Collegio ritiene di dovere riaffermare la validità dell’orientamento ermeneutico alla stregua del quale in sede di giudizio di idoneità di un soggetto a prestare servizio nel Corpo Nazionale dei VV.FF., l’unico momento accertativo dell’idoneità dei candidati è quello contestuale all’effettuazione delle fasi concorsuali ad opera della competente Commissione per gli accertamenti psicofisici, il cui giudizio è riferito ad un preciso momento temporale (il giorno della visita concorsuale) e che le valutazioni compiute, avendo carattere eminentemente tecnico – discrezionale, non sono sindacabili in quanto tali, se non per macroscopici vizii attinenti alla logica ed alla razionalità delle determinazioni assunte, ovvero agli eventuali errori materiali eventualmente commessi (cfr. Sez. III, 4 maggio 1999, n. 31; Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1465 e 12 aprile 2001, n. 2254).

Il giudice amministrativo, per verificare se sussistano errori materiali o altri profili di eccesso di potere, ben può tenere conto – nella sua valutazione necessariamente unitaria – anche degli accertamenti nel complesso effettuati, anche in tempi diversi rispetto alle prove medesime ed anche in ragione della natura del requisito (o della patologia) oggetto di accertamento (v. Cons. St., IV, 27 ottobre 2003, n. 6669), e può anche tenere conto di ogni elementi che induca a ritenere inattendibili i già effettuati accertamenti tecnici, basati su dati oggettivi e non opinabili, come la statura, da porre a base di atti autoritativi (cfr. Cons. St., IV, 30 giugno 2004, n. 4811).

Ora, nella fattispecie in esame il dato tecnico appare condurre ad esiti univoci e non appare né necessario, né opportuno procedere ad un ulteriore accertamento sui requisiti, siccome richiesto dall’appellante

Infatti, entrambe le misurazioni cui è stato sottoposto l’appellante, sebbene tra loro lievemente divergenti, hanno dato un esito univoco, attribuendo al medesimo una statura ben al di sotto del minimo di mt 1,65 richiesto dal bando: la congruenza probatoria del dato in oggetto è elevatissima e non appaiono al Collegio fondati i dubbi in proposito espressi in forma ipotetica dall’appellante.

3.Anche la censura relativa alla condanna alle spese resa nel giudizio di primo grado non merita accoglimento.

Per il pacifico orientamento di questo Consiglio, il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio, ovvero disporre una condanna in misura con evidenza abnorme (Consiglio Stato, sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798; Consiglio Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471).

Nel caso di specie tale discrezionalità è stata esercitata in modo corretto e conseguenziale alla soccombenza affermata in primo grado (anche per il quantum della condanna, contenuta nella misura di mille euro), di tal che la doglianza è infondata.

4. Conclusivamente la sentenza impugnata resiste alle censure di cui all’appello che deve essere, pertanto, respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore di parte appellata, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in Euro cinquecento (Euro 500/00) oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 805 del 2010 come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro cinquecento (Euro 500/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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