Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-03-2011, n. 6740 Danno

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Pordenone con sentenza del 21 febbraio 2001 accoglieva parzialmente la domanda dispiegata da B.M. G. nei confronti di L.C. onde ottenere il risarcimento da lui subiti nell’esercizio di attività professionale di difensore del L. in un processo penale, al termine del quale, espletata la fase di primo grado, l’avvocato non propose appello, per cui ebbe ad espiare un periodo di carcerazione per la pena cui era stato condannato.

Su gravame del B. la Corte di appello di Trieste confermava integralmente quella decisione con sentenza del 28 maggio 2004.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il B., affidandosi a tre motivi.

L’intimato L. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo (violazione degli artt. 1453, 2236 e 2237 c.c.) il ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe respinto la domanda di risoluzione contrattuale, posto che egli si era avvalso della facoltà di recedere dal contratto d’opera professionale stipulato con il L., avendogli revocato il mandato.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

In punto di fatto, il B. lamentava di essere stato arrestato a seguito di sentenza, con cui il Pretore di Spilimbergo nel procedimento penale a suo carico per falsa testimonianza, lo aveva condannato alla pena di sei mesi di reclusione senza sospensione condizionale.

Contrariamente agli accordi intercorsi la sentenza non fu appellata dal professionista.

Il Tribunale evidenziava che il difensore effettivamente era incorso in colpa grave, non avendo depositato appello e accoglieva la domanda risarcitoria in via equitativa.

Ciò posto, essendo pacifico che il contratto d’opera era già stato risolto ad iniziativa del B. prima di instaurare la controversia risarcitoria e che già il Tribunale aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno senza che in appello vi fosse controversia sul punto, il Collegio ritiene che correttamente il giudice del gravame abbia dichiarato la carenza di interesse dell’attuale ricorrente alla chiesta risoluzione (Cass. n. 13079/04).

Non solo, ma il giudice dell’appello ha anche chiarito che il B. non ha provato che non avrebbe scontato un periodo di detenzione e ciò sulla base del certificato penale dal quale risultavano numerosi precedenti penali per delitti e che egli aveva fruito per altre due volte della sospensione condizionale.

Non essendoci prova che la privazione della libertà cui andò incontro il B., per il mancato appello, fosse ingiusta il giudice dell’appello ha, inoltre, riconosciuto solo il pregiudizio psicologico, rappresentato dall’indubbio stato di agitazione ansiosa in dipendenza della carcerazione e della vita carceraria che non creò postumi permanenti, che, peraltro, il B. non ebbe a provare.

2.- Nè convince quanto afferma il ricorrente nel secondo motivo (violazione degli artt. 2043, 2056, 2057, 1223, 1224, 1225, 1226, 1227, 2697 c.c. e artt. 24 e 27 Cost., con motivazione carente, illogica e incoerente, con travisamento dei fatti).

Al riguardo, il ricorrente assume che pur essendo corretto che egli fu incarcerato legittimamente, la motivazione adottata dal giudice dell’appello, ovvero "perchè riconosciuto colpevole di falsa testimonianza ai fini di presente giudizio" (p. 8 ricorso) non sarebbe pertinente.

Di vero, se è da condividere la deduzione del B., secondo cui il danno creato dal L. per non aver proposto appello sarebbe sussistente in thesi anche se il egli fosse stato reo – confesso, è d’altra parte da osservare che in punto di fatto il giudice del merito ha ritenuto non sussistere in concreto tale interesse, in quanto dalla documentazione versata in atti l’attuale ricorrente non avrebbe potuto beneficiare della sospensione.

Sul punto, per il vero, egli si limita solo a parlare di modesti precedenti senza trascrivere il certificato penale di cui tratta e ha tenuto conto la sentenza impugnata (v. p. 6 ricorso).

Quindi, sotto il profilo della violazione delle norme indicate nel motivo la censura va disattesa, mentre sotto il profilo del vizio di motivazione, così come prospettato, essa non coglie nel segno e sotto quello del travisamento dei fatti prospetta un errore revocatorio, che non è ammissibile in questa sede e che, peraltro, non si rinviene.

In merito poi e sempre circa il secondo motivo, lì dove si prospetta la perdita di chances, va precisato che il giudice dell’appello ha respinto la richiesta sulla considerazione che non fosse stata introdotta una prova adeguata (v. p. 11 – 12 sentenza impugnata).

Sul punto nulla deduce il ricorrente, limitandosi solo ad affermazioni generiche e in questa sede ne chiede una determinazione sulla base di un " documento prodotto", di cui si ignora, anche in questa sede, ogni elemento identificativo (v. p. 10 sentenza impugnata).

3.- Il terzo motivo del ricorso sul governo delle spese è inammissibile, non potendosi in questa sede sindacare la decisione del merito, attesa la congrua motivazione che si rinviene sul capo nella sentenza impugnata (p. 12 – 13).

Conclusivamente, il ricorso va respinto, ma nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla dispone per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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