Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-02-2011, n. 875

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza gravata il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti, conduttori di unità immobiliari facenti parte di fabbricati di proprietà dell’INAIL siti in Napoli, via A. Manzoni e via Scipione Capece, n. 12, avverso i provvedimenti con cui gli stessi fabbricati sono stati ricompresi tra gli immobili di pregio, in quanto tali sottratti dall’ambito di operatività dell’art. 3, co. 8, l. 23 novembre 2001, n. 410, laddove riconosce ai conduttori interessati all’acquisto nella procedura di dismissione, in uno al diritto di opzione, uno sconto del 30%.

Nel dettaglio, il primo giudice ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le censure con cui si è dedotto:

o la mancata comunicazione di avvio del procedimento concluso con i provvedimenti impugnati;

o l’omesso confronto con le organizzazioni sindacali prescritto dalla Circolare del Ministero del Lavoro 27 gennaio 2000, n. 6;

o il difetto di motivazione;

o l’errata applicazione del criterio in forza del quale sono da considerare di pregio gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico;

o l’illegittimità del suddetto criterio se inteso come volto a comportare la qualificazione come immobili di pregio di tutti gli immobili comunque ricadenti in area sottoposta a vincolo;

o il mancato riconoscimento della situazione di degrado dell’immobile.

Il primo giudice ha ancora dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta con riguardo all’art. 3, co. 8, 13 e 20, l. 23 novembre 2001, n. 410.

Propongono gravame i ricorrente, ritenendo l’erroneità della sentenza impugnata di cui chiedono l’annullamento.

All’udienza del 3 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto.

Va disatteso il primo motivo di gravame con cui si ribadisce la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento concluso con i provvedimenti impugnati in primo grado.

Non può il Collegio che condividere, invero, quanto sostenuto dal primo giudice allorché ha ritenuto di poter fare applicazione della regola dettata dall’art. 21opties, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241.

Invero, tanto sulla questione relativa alla ricomprensione dell’immobile in contestazione tra quelli "di pregio" quanto su quella relativa alla esclusione dello stesso dal novero di quelli che si trovano in stato di degrado, pare al Collegio dimostrato che l’Amministrazione non sarebbe comunque giunta ad un risultato diverso da quello trasfuso nei provvedimenti contestati in primo grado,

Quanto, in specie, al profilo concernente la qualificazione dell’immobile come "di pregio", ritiene il Collegio che ben abbia operato l’Amministrazione laddove ha posto a fondamento della qualificazione stessa la collocazione dell’edificio in area sottoposta a vincolo, certo attestante la situazione di elevato valore economico.

A ciò si aggiunga -e tanto basta a disattendere quanto diffusamente sostenuto dai ricorrenti in merito all’assunto automatismo tra sottoposizione a vincolo dell’area e qualificazione come di pregio dell’immobile che sulla stessa è collocato- che il pregio dell’immobile è nel caso di specie confermato da quanto attestato nella perizia di stima svolta dall’Agenzia del Territorio, nella quale si afferma che l’immobile è "posizionato nella parte alta della collina di Posillipo, in zona amena e signorile, particolarmente ambita dai ceti sociali più alti, altamente panoramica, con elevata appetibilità da parte del mercato immobiliare".

Parimenti, quanto alla esclusione dell’immobile dal novero di quelli che si trovano in stato di degrado, appare al Collegio che l’Amministrazione non sarebbe comunque potuta pervenire a conclusione procedimentale diversa da quella cui è in concreto giunta, atteso il contenuto della dettagliata perizia di stima sopra richiamata e delle osservazioni con cui, nella stessa, l’Agenzia del Territorio si è data carico di superare le posizioni espresse dagli odierni ricorrenti, escludendo che si tratti di immobile per il quale sia necessaria una radicale opera di riqualificazione.

Si consideri, al riguardo, che non possono essere definiti degradati gli immobili che necessitano di interventi di riparazione, rinnovamento o sostituzione rientranti nel concetto di manutenzione ordinaria, ovvero che abbisognano di modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali dell’edificio, senza alterazione dei volumi e delle superfici delle singole unità abitative, da far rientrare nel concetto di manutenzione straordinaria.

Cosicché la vetustà di un immobile comporta che il normale stato di conservazione del medesimo possa o anche debba richiedere l’effettuazione di opere manutentive o di rifacimento senza che per questo il bene possa essere qualificato come degradato.

Merita, infine, condivisione quanto dal primo giudice sostenuto laddove ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dedotta in primo grado, e riproposta con l’atto di gravame, riguardo all’art. 3, comma 8, 13 e 20, l. 23 novembre 2001, n. 410.

Invero deve ritenersi manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità nella parte in cui la norma esclude gli immobili definiti "di pregio" – ai sensi del successivo comma 13 – dall’abbattimento del prezzo previsto, nella misura del 30%, in caso di acquisto delle unità immobiliari da parte dei relativi conduttori.

La procedura di vendita di cui si discute è infatti sottoposta a regime pubblicistico nella fase – cosiddetta di cartolarizzazione – antecedente alla stipula del contratto, in considerazione delle peculiari finalità della normativa di riferimento.

Dette finalità sono indubbiamente quelle di effettuare una ricognizione del patrimonio pubblico – per il riordino, la gestione e la valorizzazione del medesimo – con passaggio di parte degli immobili così individuati al patrimonio disponibile e costituzione di società a responsabilità limitata, incaricate di realizzare una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi, derivati dalla dismissione dei predetti immobili dello Stato e di altri enti pubblici.

Con maggiore impegno esplicativo, le cessioni immobiliari preordinate costituiscono operazione finanziaria indirizzata al reperimento di risorse, da destinare agli interessi della collettività, non anche promozione del c.d. "diritto alla casa" dei singoli, già eventualmente conduttori delle unità abitative oggetto di compravendita.

In tale ottica, l’abbattimento del prezzo di vendita, in caso di acquisto da parte dei conduttori delle unità abitative stesse (titolari di diritto di opzione), può costituire incentivo per una più rapida e consensuale dismissione dei beni pubblici coinvolti; allo stesso modo, però, può essere operazione finanziariamente valida – ed ispirata pertanto ai principi di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost. – la realizzazione di proventi non inferiori a quelli di mercato per gli immobili di pregio, normalmente più appetibili e di più facile collocazione, nonché da tutelare in rapporto a svendite, che potrebbero costituire il presupposto per un successivo degrado.

Va, infine, confermata la declaratoria di irricevibilità ed inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in primo grado, attesa la condivisibilità di quanto sostenuto nella sentenza gravata in merito, da un lato, alla natura non provvedimentale della nota del Ministero dell’economia n. 5790 del 21 gennaio 2005, dall’altro, alla tardività dell’impugnazione proposta nel 2005 con riguardo ad una perizia risalente al 2003, da tempo inclusa negli atti del procedimento in contestazione.

Alla stregua delle esposte ragioni va dunque respinto il gravame proposto dagli appellanti, eccezion fatta per la posizione di Francesco Miola, della cui rinuncia il Collegio deve prendere atto.

Consegue la condanna degli appellanti al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi 3.000,00 euro.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 3.000.00 (tremila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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