Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-01-2011) 11-02-2011, n. 5098 Segnaletica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 4.12.2009 la corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale di Palmi, con cui V. P. era stato condannato alla pena di mesi due di arresto per la contravvenzione di cui all’art. 673 c.p., per avere omesso di eliminare un corpo estraneo alla piattaforma stradale e di collocare i segnali stradali per impedire pericoli alle persone derivanti da un manufatto in cemento armato coperto di erbacce e privo di segnalazione luminosa, sito nell’area parcheggio ed ingresso aziendale nella zona industriale di (OMISSIS), fatto accertato il giorno (OMISSIS), a seguito di denuncia di due agenti, B.D. e M.A., che erano andati a collidere contro detto manufatto in cemento, delle dimensioni di tre metri per tre, che fuoriusciva dalla sede stradale ed era parzialmente occultato dalle erbacce, riportando lesioni personali documentate. Poichè responsabile della manutenzione delle strade era la ditta Oasi del verde, rappresentata dall’imputato, al medesimo veniva ricondotta la responsabilità del fatto, atteso che in forza del punto 12 dell’art. 3 del contratto che aveva sottoscritto, gli incombeva il compito di eliminare dal piano viabile e dalle sue pertinenze qualsiasi corpo estraneo che potesse mettere in pericolo la sicurezza sulla strada.

Il giudizio di colpevolezza espresso in primo grado veniva confermato dalla Corte d’appello, alla luce del compendio fotografico in atti, che attesta la presenza del conglomerato di cemento in prossimità dell’area parcheggio, costituente un obiettivo pericolo per la circolazione, soprattutto in ore notturne. Il ricorrente, tenuto ai compiti di manutenzione della strada in oggetto, non solo non si attivò per far rimuovere il manufatto cementizio, ma non segnalò la presenza dell’ostacolo, contravvenendo agli obblighi a cui era tenuto.

2. Contro la sentenza, ha interposto gravame l’imputato pel tramite del suo difensore per dedurre:

2.1. violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 673 c.p.:

le condotte ascritte all’imputato non sarebbero sussumibili sotto la previsione dell’art. 673 c.p., in quanto, quale responsabile della manutenzione delle strade e delle opere a verde, egli avrebbe al massimo dovuto segnalare la presunta situazione di pericolo al consorzio ASI, ma la norma sanziona chi omette di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge .. o li rimuove. La mancata segnalazione al soggetto che avrebbe dovuto provvedere a sistemare i segnali non rientra nella previsione normativa in oggetto.

2.2. inosservanza dell’art. 521 c.p.p., nullità della sentenza per difetto di contestazione ex art. 522 c.p.p., in relazione all’art. 177 c.p.p.. Secondo la difesa, l’imputato fu chiamato a rispondere per aver omesso di eliminare l’ostacolo dalla sede stradale e per non aver collocato i segnali prescritti dalla legge; la Corte d’appello lo condannò per non aver provveduto alla sicurezza della strada, cui avrebbe dovuto provvedere, segnalando la situazione di pericolo al consorzio di Sviluppo Industriale, obbligo a cui non era tenuto contrattualmente e che non integra la fattispecie in contestazione, ma che soprattutto segnerebbe la differenza tra quanto contestato e quanto ritenuto, avendosi riguardo a due condotte ontologicamente diverse.

2.3 manifesta mancanza di motivazione, avendo seguito i giudici di secondo grado uno scarno percorso motivazionale, privo della valutazione di un dato fattuale rilevante, quale il contratto che regolava i rapporti tra il consorzio e l’imputato, contratto che certamente imponeva la rimozione dalla sede stradale di qualsiasi corpo estraneo alla piattaforma, ma il conglomerato cementizio non era un corpo estraneo, trattandosi di insediamento concepito dai progettisti al momento della realizzazione dell’agglomerato industriale. L’art. 3, punto 12 del contratto non prevedeva l’obbligo della messa in sicurezza o della segnalazione di contestuali pericoli; la corte d’appello ha individuato come unico profilo di colpa il non aver provveduto alla sicurezza della strada, segnalando la situazione di pericolo al consorzio ASI. Tale motivazione sarebbe illogica, essendo basata su un dato errato, cioè quello dell’obbligo della segnalazione di pericoli presunti, omettendo di valutare la prova di segno contrario cioè il contratto, che non poneva a carico del ricorrente detto obbligo.

2.4. manifesta mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. I giudici avrebbero omesso di indicare i criteri ed i parametri sulla base dei quali è stata inflitta la pena nella misura suindicata, con ciò impedendo di valutare il buon governo della discrezionalità sul punto.
Motivi della decisione

Solo l’ultimo dei motivi addotti è fondato e merita accoglimento.

Deve essere osservato che all’imputato venne contestato di aver omesso di eliminare corpi estranei dalla sede stradale, ovvero di collocare segnali per evidenziarne la presenza nella logica di prevenzione di danni alle persone, in un luogo di pubblico transito.

In entrambe le decisioni di merito, che giungono a conclusioni conformi, venivano valorizzati i dati rappresentativi, acquisiti anche a mezzo di fotografie dello stato dei luoghi, oltre che a mezzo di testimonianza, sulla assenza di segnali additivi del pericolo per la presenza del manufatto affiorante dalla sede stradale, ma soprattutto sulla presenza di vegetazione spontanea non recisa che ne impediva la percezione visiva, dati correttamente usati quali base inferenziale per concludere sulla inadempienza conclamatasi nella mancanza di interventi di pulitura del sito cementizio dalle erbacce onde renderlo visibile, nella assenza di segnalazione del manufatto con appositi nastri o cartelli e nella assoluta mancanza di denuncia della situazione di pericolo all’ente competente, ammesso e non contestato che l’imputato era responsabile della società a cui era stato appaltata l’attività di manutenzione delle strade e delle opere a verde da realizzare.

L’esatto inquadramento della condotta accertata nella previsione dell’art. 673 c.p. va riaffermato, in quanto il reato deve ritenersi sussistente ogniqualvolta il soggetto destinatario della prescrizione dettate dall’Autorità sulla sicurezza delle strade, non esegua le opere necessarie allo scopo nei termini stabiliti, a nulla potendo valere l’obiezione che le opere siano soggette a provvedimenti autorizzativi di terzi, atteso che è compito del soggetto preposto, di adoperarsi sollecitamente per rimuovere gli eventuali ostacoli che si frappongono all’attuazione dell’adempimento. I giudici di merito hanno quindi correttamente inferito dalla mancanza di intervento dell’imputato non solo sul fronte della pulitura del sito dalle erbacce (intervento che forse avrebbe impedito ai due denuncianti di collidere e di provocarsi lesioni), ma anche e soprattutto sul fronte della segnalazione in loco con appositi indicatori della situazione di pericolo, ovvero sul fronte della sollecitazione presso gli enti di competenza della rimozione del manufatto o quanto meno della illuminazione della sua sede, la ritenuta condotta di reato. Sul punto è bene sottolineare che nessuna violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza è dato rilevare, in quanto la fattispecie contestata comprendeva sia il profilo dell’omissione di eliminazione del corpo estraneo, sia il profilo della omissione di collocazione di segnali o ripari del conglomerato coperto da erbacce e privo di segnalazione luminosa: nessuna incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui possa scaturire un pregiudizio per la difesa è quindi apprezzabile, con il che anche il secondo motivo di censura va rigettato.

Nè è fondato il terzo motivo, che punta sulla illogicità della motivazione laddove sarebbe stato imputato al V. di non aver rimosso il blocco di cemento di cui non aveva disponibilità e che sarebbe stato fatto discendere dal contratto di manutenzione delle strade stipulato, un onere di messa in sicurezza che non gli incombeva: l’apparato motivazionale risultante dalla osmosi delle due sentenze di merito conformi, muove non già dal ritenuto obbligo di eliminazione del manufatto, ma dalla accertata carenza di interventi di segnalazione del pericolo, pericolo che non solo non fu additato con l’installazione di segnali, ma venne sottovalutato al punto che neppure le erbacce che ne impedivano la percezione vennero tagliate, dal che con argomentazione immune da salti logici è stato ritenuto inconfutabile l’addebito di omissione ascritto.

Fondata è invece la doglianza sulla mancanza di motivazione nella sentenza impugnata su uno dei motivi di appello, concernente la misura della sanzione: è stato riportato nell’epigrafe della sentenza di appello che uno dei motivi concerneva la misura della pena, ma sul punto si registra un’assoluta mancanza di motivazione, situazione questa non superabile, se non con il rinvio per nuovo giudizio sul punto, anche perchè la pena inflitta è stata determinata sulla base del massimo edittale, senza che sia stata data contezza delle ragioni che hanno portato all’adozione di questo metro valutativo: è quindi nettamente apprezzabile il vizio dedotto.

La sentenza va dunque annullata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo esame solo sul trattamento sanzionatorio, atteso che il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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