Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-01-2011) 11-02-2011, n. 5095 Detenzione abusiva e omessa denuncia Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata il 18 gennaio 2010 e depositata il 10 febbraio 2010, la Corte di assise di appello di Catania, in riforma della sentenza assolutoria della Corte di assise di quella stessa sede, 23 maggio 2008, ha condannato – esclusa la premeditazione e ritenuta la continuazione tra tutti i reati – alla pena principale della reclusione in ventidue anni e alle pene accessorie conseguenti ipso iure B.A., imputato dell’omicidio di M. A., commesso in (OMISSIS) e dei concorrenti delitti di detenzione e di porto illegali di arma comune da sparo, perpetrati nelle medesime circostanze di tempo e di luogo.

1.1 – I giudici di merito hanno pacificamente accertato, sulla base delle evidenze tanatologiche, che nell’arco di tempo compreso tra le 21.00 e le 20.15, lungo la strada provinciale che conduce da (OMISSIS), in corrispondenza del chilometro (OMISSIS), in località (OMISSIS), il pregiudicato M.A., trafficante di stupefacenti, era stato proditoriamente sorpreso alle spalle, mentre mingeva sul ciglio della strada, e fatto mortalmente segno a sei colpi di pistola calibro mm. 7,65 che lo avevano attinto al tronco, essendo risultato vano l’istintivo tentativo di difesa (desumibile dalla lesione e dalla traccia di affumicatura rilevata sulla mano) abbozzato in extremis.

Le indagini autonomamente svolte dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato si erano indirizzate, rispettivamente, a carico di B. A., col quale la vittima aveva avuto contatti telefonici il giorno dell’omicidio e, da ultimo, alle ore 20.25, aveva concordato un appuntamento; nonchè, alternativamente a carico di T. V., coinvolto con M. nel traffico degli stupefacenti e protagonista, in precedenza, di uno scontro violento con la vittima.

Procedutosi separatamente a carico dei due indiziati, la Corte di assise aveva assolto B., quando ancora il procedimento a carico di T. pendeva in fase di indagini preliminari.

La Corte di assise di appello, accogliendo il gravame del Pubblico Ministero, ha motivato – per quanto qui rileva – nei termini che seguono.

1.2 – In limine deve essere disattesa la eccezione difensiva di inammissibilità del gravame del Pubblico Ministero proposto con atto depositato il 23 ottobre 2009, essendosi l’appellante avvalso della sospensione del decorso dei termini durante il periodo feriale.

La tesi sostenuta dall’appellato, secondo il quale la sospensione opera esclusivamente a favore delle parti private e non anche nei confronti della parte pubblica, non è fondata.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che la sospensione prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742 si applica anche ai termini di impugnazione decorrenti per il Pubblico Ministero.

1.3 – Ancora in rito deve affermarsi la utilizzabilità (dei brogliacci) delle intercettazioni telefoniche disposte nei confronti della vittima, con esecuzione incoata alle ore 16.00 dello stesso giorno del delitto.

La difesa dell’appellato ha eccepito la inutilizzabilità sotto il duplice profilo a) della invalidità, per carenza di motivazione, del decreto, 27 novembre 2003, col quale à sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, il Pubblico Ministero aveva disposto la esecuzione delle registrazioni presso la sala di ascolto della Compagnia dei Carabinieri di Paternò; b) della non consentita ammissione dei cd. brogliacci in seguito allo smarrimento dei supporti magnetici delle registrazioni.

Ebbene, in relazione alla prima questione, il Pubblico Ministero ha adeguatamente motivato, mediante documentato richiamo della attestazione di pari data, la mancanza di postazioni disponibili per la registrazione presso l’impianto installato nella Procura della Repubblica e la ricorrenza di eccezionali ragioni di urgenza costituite dalla imminenza di programmate attività delittuose di traffico di stupefacenti.

Quanto alla utilizzazione dei brogliacci, la Corte di assise ha correttamente affermato che lo smarrimento dei supporti magnetici delle intercettazioni è equiparabile al caso della sopravvenuta distruzione (ovvero del sopravvenuto deterioramento) dei supporti in questione, eventualità in relazione alla quale la giurisprudenza di questa Corte suprema ha fissato il principio di diritto della utilizzabilità della documentazione formata ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 2, sempre le registrazioni siano state in origine effettivamente eseguite.

In proposito, nella specie, la prova è offerta dalla intercettazione della conversazione tra B. e i familiari nel parlatorio del carcere il 29 dicembre 2003: l’imputato narra al suocero che i Carabinieri gli avevano fatto ascoltare la sua voce registrata mentre conversava a telefono con M. e, al rimprovero mosso congiunto per non essersi avvalso del diritto di tacere, replica che con poteva fare diversamente, in quanto i Militari "avevano tutto sul dischetto". 1.4 – Nel merito deve premettersi che l’epilogo assolutorio di prime cure è stato influenzato dalla pendenza delle indagini a carico di T., trattandosi (per la pacifica e assoluta carenza di verun collegamento tra i due indiziati) di ipotesi affatto alternativa.

Successivamente, giusta decreto 3 febbraio 2009, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catania ha archiviato il procedimento a carico di T. per la infondatezza della accusa a suo carico.

E’ d’uopo, tuttavia, per dissipare ogni possibile suggestione, esaminare gli indizi a carico di T., costituiti da un pregresso alterco violento con M., dalla impossibilità di localizzare attraverso i tabulati del traffico telefonico l’indagato al momento del fatto di sangue, dal falso alibi addotto, da una frase proferita da T. nel corso di una conversazione con la convivente e interpretata in termini di confessione.

Ebbene tutti gli elementi a carico dell’indagato sono risultati privi di consistenza: alcuni giorni dopo l’alterco con M. il dissidio era stato ricomposto; dalla conversazione del 18 ottobre 2004 (n. 172) tra T. e due suoi amici risulta che l’indagato ammannì agli inquirenti il falso alibi solo per non compromettere il cugino A., agli arresti domiciliari, a casa del quale si era trattenuto in concomitanza col fatto di sangue; dalla perizia fonica disposta nel dibattimento di appello, previa rinnovazione della istruzione dibattimentale, è emerso che la supposta dichiarazione confessoria, per la cattiva qualità della registrazione, è assolutamente incerta; mentre la considerazione del contesto della conversazione accredita la conclusione della esclusione che il riferimento di T. all’omicidio di M. fosse in prima persona.

1.5 – A carico di B. il Pubblico Ministero, nell’atto di gravame, ha dedotto i seguenti elementi: attendibilità della confessione (resa ai carabinieri in sede di assunzione di informazioni testimoniali e dichiarata inutilizzabile dalla Corte di assise); localizzazione dell’imputato, in concomitanza dell’omicidio, nel settore di una stazione della rete cellulare che comprende il luogo del delitto; "residui di polvere da sparo" isolati sugli indumenti del giudicabile; previsione espressa da B. nel corso dei colloqui intercettati con i familiari nel parlatorio del carcere circa l’esito positivo della indagine chimica sugli indumenti e contestuale ricerca delle giustificazioni da addurre a difesa.

L’appello è fondato e merita accoglimento.

L’imputato risulta gravato da un compendio probatorio che dimostra la penale responsabilità, al di là di ogni ragionevole dubbio, come appresso analiticamente illustrato.

1.6 – Dai brogliacci delle intercettazioni eseguite sulla utenza telefonica usata dalla vittima risulta che il giorno del delitto M., dopo essersi fatto indicare da un sodale il numero telefonico di B., gli aveva telefonato alle 17.46; e aveva chiesto all’imputato il quale aveva acquistato una automobile presso l’autosalone del cognato della vittima, ove pure lo stesso M. lavorava, se gli avessero consegnato le targhe del veicolo, ricevendo risposta negativa. I due avevano, quindi, concordato di risentirsi quella stessa sera. E alle 20.26 M. aveva ritelefonato a B., prendendo appuntamento subito dopo. B. aveva chiesto a M. di andarlo a prendere con la macchina e di aveva detto che sarebbe, quindi, dovuto passare dalla macelleria – individuata in esito alle indagini in quella di C. – per prendere qualcosa.

M. nel salutarlo lo aveva assicurato del suo imminente arrivo.

La vittima aveva, subito, dopo telefonato alla amica Ca.

R., per avvisarla che si sarebbe recato da lei in ritardo, in quanto doveva incontrare un cliente.

Il contesto delle precedenti conversazioni telefoniche della vittima con gli altri interlocutori concerne il recupero della somme accreditate per la fornitura di droga.

Dai colloqui di B. con i familiari e, in particolare, col suocero nel parlatorio del carcere (conversazioni tutte intercettate) risulta che l’imputato, assuntore di stupefacenti, doveva del denaro a M., che gli forniva la droga.

La circostanza è stata confermata dalla Ca., la quale ha aggiunto che M. intratteneva malvolentieri l’illecito rapporto di somministrazione, in quanto era amico del suocero del giudicabile, S.S., personaggio, peraltro, di indiscussa caratura criminale.

Deve, pertanto, concludersi che il motivo dell’appuntamento concordato nella imminenza dell’ora del delitto fosse costituito dalla riscossione da parte di M. delle somme dovutegli da B. per la fornitura della droga.

E’, peraltro, ben comprensibile che M., nella conversazione con la Ca. menta in ordine al motivo del ritardo, per non palesare l’illecita riscossione.

In tale contesto assume valenza indiziante la circostanza che B., creditore a sua volta del macellaio C.N. G. per la vendita di un cavallo, si fosse già recato presso la macelleria nel tentativo infruttuoso di esigere l’importo dovutogli (il debitore gli aveva detto che avrebbe pagato entro la fine della settimana); epperò l’imputato nella conversazione delle 20.26 certamente ingannava alla vittima facendogli intendere che avrebbe dovuto "ritirare le somme dal macellaio", in quanto era ben consapevole che il denaro non era disponibile.

E’ certamente vero che dal tenore delle conversazioni tra B. e M. non traspare alcuna minaccia di costui per il pagamento del debito di droga. Ma tanto non esclude che lo spacciatore possa aver sollecitato l’adempimento ed esercitato pressioni in tal senso, incontrando B. quello stesso pomeriggio, presso l’autosalone, dove effettivamente B. era passato, intorno alla 17.00, secondo quanto riferito dal teste Br.Ro..

L’intercettazione del colloquio in carcere tra l’imputato e la madre offre, infine, la prova che, in seguito al concordato appuntamento telefonico, intorno alle ore 20.30 B. e la vittima si incontrarono effettivamente (ancorchè – sostiene l’imputato – per pochi minuti).

1.7 – La piena confessione del delitto, resa da B. in sede di sommarie informazioni testimoniali (e mai confermata nella osservanza delle forme di rito con la assistenza difensiva), ha formato oggetto della annotazione di polizia giudiziaria e della testimonianza del capitano dei carabinieri A..

Deve ribadirsi la inutilizzabilità del contenuto delle dichiarazioni in parola (attribuite all’imputato); "ma non può sottovalutarsi il dato obiettivo della avvenuta confessione". Il capitano A. ha verificato la esattezza della descrizione della scena del delitto fornita dell’imputato; mentre non assumono rilievo le discordanze tra la versione fornita e la accertata dinamica del delitto, in quanto è comprensibile l’interesse del dichiarante ad attenuare la propria responsabilità, prospettando in luce più favorevole la propria condotta in termini di reazione alla aggressione armata della vittima.

Ed è appena il caso di aggiungere, ferma la inutilizzabilità delle riferite dichiarazioni confessorie, che deve respingersi "il sospetto infamante di una scorretta condotta degli inquirenti e della "falsa testimonianza del capitano A. e degli altri verbalizzanti, trattandosi di illazioni prive del "minimo aggancio processuale". 1.8 – Dall’accertamento eseguito dai Carabinieri di Paternò, sulla base del tabulato del traffico telefonico di B. il giorno del delitto, risulta che l’apparecchio del giudicabile, alle 21.01 ha attivato la cella (OMISSIS) (ubicata a (OMISSIS)). Il settore di pertinenza della stazione comprende la contrada (OMISSIS), teatro del delitto.

E’, bensì, vero che l’indizio – come rilevato dalla Corte di assise – ha "limitata valenza" ed è "equivoco" il quanto il raggio di azione della succitata cella e quello della cella di (OMISSIS) si sovrappongono in relazione ad alcune zone del centro urbano; sicchè anche telefonando da (OMISSIS) è possibile impegnare la cella di (OMISSIS).

Pur tuttavia il dato "consente di non escludere che, in ora prossima a quella del delitto l’imputato si trovasse proprio in quella zona". 1.9 – Infine ulteriore, rilevante e decisivo indizio è costituito dal reperimento di microparticelle ternarie (univocamente residuate dalla esplosione di colpi di arma da fuoco), isolate sugli indumenti sequestrati all’imputato, dato "stranamente considerato ambiguo dal primo giudicante".

I Carabinieri hanno sequestrato a B. i vestiti che indossava al momento del fermo di polizia giudiziaria, e altri indumenti appena lavati, trovati appesi ad asciugare sullo stenditoio nella abitazione dell’imputato (e da costui indossati nel pomeriggio del giorno del delitto, secondo quanto dichiarato dallo stesso interessato).

Ebbene numerose microparticelle univoche oggetto di analitica indicazione nella sentenza impugnata sono state individuate sia sui vestiti di B. che sugli indumenti lavati.

Le succitate particelle risultano presenti anche all’interno nelle tasche di entrambe le categorie dei capi.

Priva di pregio è l’obiezione difensiva circa la possibilità della contaminazione atipica.

Particelle univoche non sono state infatti rinvenute nè sulla cute dell’imputato, nè sullo "stub bianco" di controllo.

Inoltre la positività dell’accertamento riguarda anche le superfici interne delle tasche.

Il lavaggio dei tessuti, sebbene renda improbabile la permanenza delle microparticelle, non esclude in assoluto siffatta evenienza che, per l’appunto, si è verificata nella specie.

La promiscua conservazione di tutti gli indumenti nel medesimo scatolone è irrilevante, in quanto "la contaminazione interna si è verificata tra indumenti tutti appartenenti a B.".

Selettiva valenza riveste la rilevazione di tracce di stagno associate ad alcune delle microparticelle ternarie e pure presenti sui reperti balistici sequestrati sulla scena del delitto.

Infatti si tratta di un metallo utilizzato per la produzione delle munizioni esclusivamente dei paesi della Europa orientale.

Tale metallo non è presente nella composizione chimica della munizioni in dotazione alle forze dell’ordine. Peraltro i Carabinieri che sequestrano e repertano gli indumenti non ebbero alcun contatto con la scena del delitto, essendo intervenuta in loco la Polizia di Stato.

1.10 – Infine dai colloqui con i familiari nel parlatorio del carcere, emerge che B. prevedeva l’esito positivo della indagine sugli indumenti e tentava di orchestrare linee di difesa per neutralizzare l’indizio, mediante la ricerca di testimoni che potessero attestare che il giorno del delitto si era recato a cacciare.

2. – Ricorre per cassazione l’imputato, col ministero dei difensori di fiducia, avvocati Pietro Nicola Granata e Salvatore Caruso, mediante atto s.d. depositato il 30 aprile 2010, graficamente articolato in tre motivi, e dichiara anche promiscuamente di denunciare à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza (primo motivo), nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e con gli altri anche sotto il profilo del travisamento delle prove (con tutti i motivi).

2.1 – Con il primo motivo che si compone, in realtà, di plurime doglianze e censure che investono punti affatto diversi della decisione, il ricorrente ripropone, innanzi tutto, la questione della inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero, argomentando:

la ratio legis e la positiva disciplina dimostrano che la sospensione del decorso dei termini nel periodo feriale opera solo a favore delle parti private; infatti solo a costoro e non al Pubblico Ministero è, conseguentemente, riconosciuta la facoltà di rinunciare alla sospensione; la posizione del Pubblico Ministero non è equiparabile in modo assoluto a quella delle altre parti; nè peraltro, come stabilito dalle Sezioni Unite, la sospensione incide sul decorso dei termini per il deposito dei provvedimenti dei giudici; la medesima conclusione deve essere tratta per la attività del Pubblico Ministero.

I difensori censurano, quindi, che il giudice dell’appello non ha confutato le motivazioni poste a base della pronuncia assolutoria di prime cure e le adesive deduzioni difensive.

Stigmatizzano, ancora, che la Corte territoriale è incorsa in plurimi errori di fatto e travisamenti, supponendo il ritrovamento sulla scena del delitto del telefono cellulare della vittima (mai rinvenuto); collocando alle ore 20.26 l’ultima conversazione telefonica di M., in realtà seguita da altra telefonata delle 20.28; pretendendo di desumere dalla conversazione telefonica tra l’imputato e la vittima che il movente del delitto fosse collegato alle cessioni di stupefacente di M. a B..

I difensori lamentano, quindi, che la Corte di assise di appello ha misconosciuto l’ipotesi alternativa della responsabilità di T.; in proposito, si dolgono delle omessa considerazione degli indizi negletti col rilievo meramente formale della intervenuta archiviazione e deducono: in precedenza era insorto un violento contrasto tra T. e M. in relazione alle illecite attività di entrambi nel traffico degli stupefacenti e per ragioni sentimentali di gelosia; T. aveva minacciato M. con una arma; la sorella della vittima ha riferito che il successivo chiarimento tra i due era stato apparente e che T. aveva interessato "persone malavitose per richiamare M."; dalla intercettazione della conversazione tra presenti (n. 175), intercorsa tra T. e un suo sodale il 18 ottobre 2004 nell’abitacolo della autovettura del primo, emergono – alla luce delle indicazioni offerte dei marescialli Bi. e Tu. nel corso delle loro testimonianze – contenuti confessori circa la "pianificazione .. dell’omicidio del M." (tanto desumendosi ad avviso del ricorrente dai frammenti della conversazione in dialetto riportati del ricorso); l’ulteriore riferimento operato da T. al fatto di sangue nell’altra conversazione analizzata dalla Corte territoriale è certamente in prima persona, in quanto, se T. fosse stato estraneo al delitto, non ne avrebbe fatto menzione come "delimitazione temporale" nel corso del colloquio; a carico di T. gravano la circostanza della interruzione dell’intenso traffico telefonico in concomitanza con l’omicidio; il rilevamento di particelle indicative dell’uso di arma da fuoco operato nelle ore successive; e la prospettazione del falso alibi, indizio, quest’ultimo, svalutato dalla Corte territoriale con illogica scusante, senza che fosse dimostrato che il cugino del T. si trovasse effettivamente agli arresti domiciliari e soggiacesse al divieto di incontrare altre persone e senza tener conto che l’esigenza difensiva in relazione alla grave accusa di omicidio avrebbe prevalso sulla tutela della posizione del parente.

Il ricorso investe, poi, la utilizzabilità delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche eseguite sulla utenza della vittima il giorno del delitto.

I difensori oppongono: lo smarrimento dei supporti magnetici non è equiparabile alla loro accidentale distruzione e, pertanto, non consente di utilizzare il brogliaccio; la prova della pregressa, effettiva esecuzione delle registrazioni non può fondarsi sulla mera congettura azzardata dalla Corte territoriale sulla base del riferimento al "dischetto", operato da B. nel corso della successiva conversazione col suocero (pure intercettata), in quanto i Carabinieri non fecero ascoltare all’imputato le pretese registrazioni; infine è affatto arbitraria la selezione della conversazioni (alcune riportate per esteso, altre affatto sommariamente) contenute nel brogliaccio; affatto fondate sono, inoltre, le eccezioni difensive in ordine alla validità del decreto adottato il 27 novembre 2003 dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, senza indicazione nè dell’inizio delle operazioni, nè della loro durata; l’urgenza supposta dal Pubblico Ministero è esclusa dalla circostanza che le operazioni ebbero effettivamente inizio dopo ben sette giorni; mentre non fu accertata la sopravvenienza medio tempore della disponibilità di postazioni presso l’impianto della Procura della Repubblica; tutto ciò comporta la inutilizzabilità delle intercettazioni.

Il ricorso prosegue con la critica ricostruzione della tempistica e del contenuto delle conversazioni telefoniche della vittima dalle ore 16.00 alle ore 20.29 del 4 dicembre 2003 (termine della telefonata con la Ca.).

I difensori espongono: M. non conosceva il numero telefonico di B.; si desume che non aveva, pertanto, "nè dimestichezza, nè contatti", a dispetto della qualità di abituale fornitore della droga attribuitagli dalla Corte territoriale; i contatti – e di genere illecito – intrattenuti dalla vittima riguardavano, invece, il sodale di nome t.; dalla testimonianza della sorella di M. è emerso che costui disponeva di tre utenze cellulari; in proposito gli investigatori hanno omesso i doverosi accertamenti; nel pomeriggio era intercorsa una minacciosa telefonata tra M. e uno sconosciuto; gli investigatori non si sono curati di identificare gli interlocutori della vittima; illogica è la supposizione della Corte territoriale del mendacio di M. nell’ultima telefonata alla Ca.; la vittima, fornitore di stupefacente della donna, non aveva nessun motivo di celarle che avrebbe dovuto riscuotere il preteso credito da altro cliente, assuntore di stupefacente;

l’appuntamento notturno col cliente non esclude il breve contatto col ricorrente per la consegna delle targhe, esattamente come narrato da B. il 15 dicembre 2003 nel corso della conversazione intercettata presso la caserma dei carabinieri di Catania; il luogo del delitto è distante dalla macelleria ( C.N.), ubicata dalla parte opposta di (OMISSIS); la ricostruzione operata nella sentenza non ha dato conto dello "scarto" tra il progettato passaggio presso la macelleria e il finale approdo sulla scena del delitto.

Proseguono, quindi, i difensori: pur riconosciuta la incontestabile inutilizzabilità della confessione la Corte territoriale, affatto contraddittoriamente, ha poi valutato il contenuto delle dichiarazioni riportato dai Carabinieri con esame che ha investito il merito della dichiarazioni inutilizzabili; sono inammissibili le testimonianze rese dai Militari sul contenuto della confessione;

dalle intercettazioni emerge, invece, la costante e reiterata protesta di innocenza del ricorrente; circa il movente (costituito dal debito di poche centinaia di Euro) la ricostruzione della sentenza è debolissima; ed è una mera congettura dei giudici che M. avesse "pressato" B. per il pagamento della droga ceduta; mentre la corresponsione del denaro si collega alla vendita della autovettura.

2.2 – Il secondo motivo investe la valutazione della prova orale in relazione agli esami dei consulenti del Pubblico Ministero, maresciallo L.G., e della difesa, dott. G. C. (ampiamente riportati mediante citazioni testuali della trascrizione della registrazione fonica delle udienze dibattimentali).

Dopo aver adesivamente riprodotto la motivazione della sentenza di primo grado nella parte concernente il negativo scrutinio operato circa la valenza probatoria del reperto delle micro particelle ternarie (univocamente riconducibili alla esplosione di colpi di arma da fuoco) isolate sugli indumenti sequestrati al giudicabile, i difensori riprendono e sviluppano le argomentazioni esposte nella discussione finale censurando la omessa considerazione della Corte territoriale e denunziando la illogicità della motivazione e il travisamento in rapporto alle evidenze probatorie specificamente richiamate e illustrate.

E, a tal fine, deducono: a) in ordine alla valenza selettiva, sul piano indiziario, attribuita alla associazione di molecole dello stagno ad alcuni dei composti ternari, sul presupposto della esclusiva utilizzazione del metallo in parola nella produzione delle munizioni confezionate dalla fabbriche cecoslovacche e, comunque, degli stati della Europa orientale, netta è la smentita offerta dei consulenti esaminati; il maresciallo L. e il dott. G. hanno spiegato che lo stagno (anche per essere presente in tracce apprezzabili nei rottami di piombo riciclati per la produzione delle ogive) può rinvenirsi associato ai residui ternari di partieelle residuate alla esplosione di cartucce prodotte anche in altri paesi Europei, Italia compresa, oltre che dell’Asia, dell’Africa e del Nord America; b) la presenza delle particelle univoche sia sugli indumenti indossati da B. al momento del fermo, dopo essere stato per lungo tempo in caserma, sia sugli indumenti appena lavati e sequestrati a casa dell’imputato mentre erano ancora stesi sullo stenditoio ad asciugare, nonchè all’interno delle tasche degli indumenti indossati e di quelli lavati, accredita la ipotesi della contaminazione esterna; laddove la positività della analisi riguarda indumenti che l’imputato non avrebbe potuto indossare contemporaneamente, è palesemente illogico supporre che i capi lavati possano aver contaminato gli altri; nel repertamento e nella custodia dei vestiti non venne adottata alcuna cautela per prevenire le contaminazioni; tutti gli indumenti furono promiscuamente riposti alla rinfusa in un scatolone di cartone chiuso con nastro adesivo recante una scritta pubblicitaria, senza formale apposizione di alcun sigillo; non è stata accertata la provenienza del contenitore; nè se in precedenza fosse già stato utilizzato per altri repertamenti;

e negativa, infine, è risultata la ricerca di residui ematici sugli indumenti del ricorrente.

2.3 – Con il terzo motivo i difensori contestano la valenza indiziante della circostanza costituita dalla attivazione della cella di (OMISSIS) in relazione alla conversazione telefonica intercorsa alle ore 21.01 tra il ricorrente e il suocero; in proposito la Corte di assise aveva chiarito, sulla scorta della relazione tecnica dell’ing. Co., che la succitata cella e quella di (OMISSIS) coprono zone parzialmente coincidenti del centro urbano di (OMISSIS);

e, addirittura, che risultava per tabulas che tre delle quattro telefonate effettuate dal teste Br.Ro., nel pomeriggio del 4 dicembre 2003, mentre si trovava a casa del giudicabile, avevano agganciato la cella di (OMISSIS); epperò la circostanza in parola non riveste alcun valore.

3. – Il ricorso è parzialmente fondato.

3.1 – Carattere affatto preliminare riveste il motivo concernente la eccezione della inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado, sotto il profilo della ritenuta inammissibilità del gravame, sul presupposto che la sospensione del decorso dei termini processuali, in concomitanza col periodo feriale non si applichi ai termini della cui osservanza la parte pubblica sia gravata.

La censura del ricorrente è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nella affermazione del principio di diritto secondo il quale "la L. 7 ottobre 1969, n. 742, con cui è stata regolata la materia della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, è applicabile sia nei confronti delle parti private o dei loro difensori, sia nei confronti del pubblico ministero" (Sez. 2^, 11 dicembre 1970, n. 1699/1971, De Rosa, massima n. 118110; cui adde: Sez. 5^, 6 novembre 1991, n. 1514, Cattoni, massima n. 189535; Sez. 6^, 3 giugno 1993, n. 1793, De Tommasi, massima n. 198562; e Sez. 1^, 26 gennaio 1995, n. 393, Bovacchi, massima n. 201096).

Nè il richiamo all’arresto delle Sezioni Unite (invocato dal difensore), circa la esclusione della sospensione feriale del decorso dei termini relativamente ai termini ordinatori stabiliti per il deposito dei provvedimenti del giudice, conforta la tesi del ricorrente: nell’occasione questa Corte suprema ha chiarito la ragione della esclusione, spiegando che "la sospensione di diritto ha la sua ragione d’essere per termini che hanno una sanzione processuale" (sentenza 19 giugno 1996, n. 7478, Giacomini); sicchè l’istituto ben si attaglia anche al termine, stabilito a pena di decadenza, che il Pubblico Ministero deve osservare nell’esercizio del diritto di impugnazione.

La previsione a favore (soltanto) degli "imputati in stato di custodia cautelare" (e non anche a favore del Pubblico Ministero) della facoltà di rinuncia alla sospensione del decorso dei termini processuali non consente di trarre la conseguenza (postulata del ricorrente) che la sospensione concerna esclusivamente il decorso dei termini relativi ad atti della parte privata.

La disposizione trova evidente fondamento nella considerazione della esigenza (rimessa all’apprezzamento dell’imputato e/o del difensore) di contenere la durata della custodia cautelare; e la parte privata in vinculis ben può avvalersene per evitare la sospensione dei termini concernenti atti del Pubblico Ministero e la conseguente temporanea stasi del procedimento, in costanza della protrazione della custodia cautelare.

3.2 – Ancora in rito deve essere disatteso il motivo concernente la inutilizzabilità dei verbali (cd. brogliacci) della esecuzione delle operazioni di intercettazione sulla utenza telefonica in uso alla vittima, recanti il sommario contenuto nelle comunicazioni intercettate.

Le censure difensive sono tutte infondate.

3.2.1 – Effettivamente la legge prevede che il decreto, adottato dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, contenga la indicazione della durata delle operazioni.

La comminatoria di inutilizzabilità, contemplata nell’art. 271 c.p.p., comma 1, nel caso della inosservanza delle disposizioni dell’art. 267 cod. proc. pen. non comporta, tuttavia, il divieto di utilizzazione delle intercettazioni nel caso che il decreto del Pubblico Ministero non rechi la indicazione della durata delle intercettazioni.

Soccorre, infatti, il principio di diritto, fissato da questa Corte, secondo il quale alla omissione de qua "sopperisce l’indicazione legislativa del termine massimo di quindici giorni ivi previsto" (Sez. 2^, 4 maggio 2001, n. 26015, Berlingieri, massima n. 219902;

Sez. 1^, 27 novembre 2003, n. 2450, Cozzolino, massima n. 226850; e Sez. 1^, 12 dicembre 2003, n. 4210, Obermayer, massima n. 226852).

Sicchè resta esclusa la inutilizzabilità, la quale, invece, ricorre, à termini dell’art. 271, comma 1, in relazione all’art. 267 c.p.p., comma 3, per le intercettazioni eseguite – in difetto di proroga – oltre il termine stabilito dal Pubblico Ministero ovvero oltre il termine massimo previsto dalla legge.

3.2.2 – Quanto, alla inidoneità o alla insufficienza degli impianti installati nella procura della Repubblica e al concorso di eccezionali ragioni di urgenza, "bisogna tener conto della situazione di fatto e di diritto esistente ed momento in cui il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, che le operazioni di intercettazioni vengano eseguite mediante impianti diversi da quelli esistenti presso il suo ufficio" (Cass., Sez. 1^, 31 maggio 1996, n. 9370 Fidanzati, massima n. 5765).

E del tutto irrilevante è l’intervallo di tempo decorso tra la data del provvedimento del Pubblico Ministero e quella di effettivo inizio delle operazioni, dovendosi "escludere che si debba procedere ad una verifica successiva e continua della indisponibilità, una volta accertata" (Cass., Sez. 2^, del 11 febbraio 2003, n. 20104, Panaro, massima n. 226079).

Peraltro – è appena il caso di aggiungere – "in materia di intercettazione di comunicazioni, nessuna norma dispone, tanto meno a pena di nullità o di inutilizzabilità, che le operazioni debbano avere inizio nel giorno prefissato dal Pubblico Ministero" (Cass., Sez. 6^, 5 novembre 1999, n. 3541, Bembi, massima n. 214973).

3.2.3 – La redazione dei verbali, di cui all’art. 268 c.p.p., comma 2, non è sindacabile, a pena di inutilizzabilità à termini dell’art. 271 c.p.p., comma 1, in relazione al grado, maggiore o minore, di sintesi nella esposizione del contenuto delle comunicazioni intercettate.

3.2.4 – Correttamente la Corte territoriale ha assimilato il caso dello smarrimento (nella specie occorso) a quello del deterioramento del supporto magnetico contenente la registrazione delle comunicazioni intercettate, alla stregua del principio di diritto, fissato da questa Corte, secondo il quale soltanto "la mancata memorizzazione del colloqui, attraverso la registrazione, rende inesistente il mezzo di ricerca della prova, pur ritualmente autorizzata, e inutilizzabile ogni acquisizione dei risultati di essi altrimenti realizzata", mentre la sopravvenuta impossibilità della trascrizione – dipendente, nel caso scrutinato dall’arresto di legittimità, dal deterioramento del supporto magnetico – non comporta veruna inutilizzabilità, attesochè "la prova del colloquio intercettato e del suo contenuto può essere data utilizzando gli ordinari mezzi probatori e, principalmente, la lettura del brogliaccio di cui all’art. 268 c.p.p., comma 2, essendo stata rispettata la formalità della registrazione, voluta dalla legge" (Sez. 4^, 29 gennaio 2001, n. 8437, Ghedi, massima n. 218971).

Siffatto principio deve essere tenuto fermo, con la avvertenza, che, in considerazione dello speciale rigore formale caratterizzante la disciplina del mezzo di ricerca della prova de quo, nel caso del perimento, per cause sopravvenute, dei relativi supporti magnetici, il giudice deve esercitare la massima prudenza, cautela e oculatezza nella valutazione dei mezzi di prova da assumere per la ricostruzione del contenuto delle registrazioni delle intercettazioni, alla luce del principio del libero convincimento ed escluso ogni automatismo surrogatorio sul piano della valenza probatoria.

3.2.5 – Circa, infine, l’accertamento operato in punto di fatto in ordine alla effettiva registrazione delle comunicazioni intercettate la Corte territoriale ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte:

Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

I rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione della violazione di legge o del vizio della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito: a fronte della ricostruzione e della valutazione del giudice a quo il difensore non offre (così come impone la osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, v. Sez. 4^, 26 giugno 2008, n. 37982, Buzi, massima n. 241023; Sez. 1^, 18 marzo 2008, n. 16706, Falcone, massima n. 240123; Cass., Sez. 1^, 29 novembre 2007, n. 47499, Chialli, massima n. 238333; Sez. Feriale, 13 settembre 2007, n. 37368, Torino, massima n. 237302; Sez. 6^, 19 dicembre 2006, n. 21858, Tagliente, massima n. 236689; Sez. 1^, 18 maggio 2006, n. 20344, Salaj, massima n. 234115; Sez. 1^, 2 maggio 2006, n. 16223, Scognamiglio, massima n. 233781; Sez. 1^, 20 aprile 2006, n. 20370, Simonetti, massima n. 233778) la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Cass., Sez. 1^, 14 luglio 2006, n. 25117, Stojanovic, massima n. 234167 e Cass., Sez. 1^, 15 giugno 2007, n. 24667, Musumeci, massima n. 237207); bensì oppone la propria valutazione e la propria ricostruzione fattuale sul punto controverso.

Sicchè le censure, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3.

Peraltro – è appena il caso di aggiungere – il processo verbale, redatto il 5 dicembre 2003 dai Carabinieri del nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Paternò (allegato in copia a corredo del ricorso) offre la prova della intervenuta registrazione delle intercettazioni.

3.3- Nel merito, l’accertamento della condotta del giudicabile operato dalla Corte di assise di appello è inficiato, in più punti, ora della inosservanza delle legge processuale (v. sub 3.3.1), ora dal vizio della motivazione (v. sub 3.3.2/3.3.4).

3.3.1 – I giudici di merito hanno inserito nel corteo indiziario che approda nell’attribuzione al giudicabile della condotta omicida, la considerazione della asserita "confessione" dell’imputato.

A dispetto della predicata inutilizzabilità dell’indizio, la Corte territoriale, contestualmente – con avversativa quanto mai eloquente – ha dato rilievo sul piano della valutazione probatoria (sia pur con l’espediente del ricorso alla litote) al "dato obiettivo della avvenuta confessione". E, nel prosieguo della motivazione, non ostante la reiterazione (mediante formula di mero stile) del riconoscimento della inutilizzabilità della ridetta "confessione", ha, tuttavia, affatto contraddittoriamente argomentato per dimostrarne la veridicità, esponendo, a tale fine, gli elementi che ne avrebbero confermato la attendibilità e facendosi carico della obiezione che le rilevate discrasie (tra le dichiarazioni dell’imputato e i dati oggettivi) trovavano plausibile spiegazione nella esigenza difensiva del B. di attenuare la responsabilità, senza fosse compromessa la sostanziale veridicità della rappresentazione confessoria.

Orbene, è evidente che già il puro e semplice riferimento al "dato oggettivo della avvenuta confessione" costituisce grave errore di diritto.

Sul piano giuridico della fenomenologia probatoria, il rito non consente la assunzione, senza la assistenza difensiva, di dichiarazioni da cui emergano indizi di reità a carico del dichiarante; epperò la suggestiva menzione della "avvenuta confessione" (il lemma è, peraltro, contenuto nella accezione in parola una sola volta in tutto il codice all’art. 449, comma 5) è affatto atecnica e scorretta.

Ma, soprattutto, colla operata valutazione in chiave indiziaria delle dichiarazioni assunte a opera dei Carabinieri dal giudicabile (e introdotte illegittimamente nel giudizio attraverso la relativa annotazione di polizia giudiziaria e la testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria) la Corte di assise di appello è incorsa nella inosservanza delle disposizioni del codice di rito, stabilite a pena di inutilizzabilità, contenute negli artt. 62 e 63 cod. proc. pen..

La violazione della legge processuale assorbe il concorrente vizio della patente contraddittorietà della motivazione (Cass., Sez. 1^, 17 dicembre 1991, n. 4931, massima n. 188913 e Cass., Sez. 5^, 22 febbraio 1994, n. 4173, massima n. 197993).

3.3.2 – Manifestamente illogico risulta il costrutto argomentativo che sorregge l’abduzione indiziaria nel punto che concerne la considerazione dell’impegno della cella di (OMISSIS) da parte dell’utenza radiomobile dell’imputato alle ore 21.01 del giorno del delitto.

Il riconoscimento espresso da parte della Corte territoriale circa il carattere "equivoco" della rilevazione (pacificamente la circostanza è compatibile pure colla dislocazione dell’apparecchio telefonico nel centro urbano di (OMISSIS)) non ha condotto i giudici di merito alla doverosa, ineluttabile espunzione del dato dal compendio indiziario. La Corte di assise di appello ha, invece, dimostrato di trarre argomento di reità, sulla base della considerazione che l’attivazione della cella (OMISSIS) permette di non escludere la presenza del giudicabile sulla scena del delitto, in località (OMISSIS), al momento del fatto di sangue.

La evidente neutralità – sul piano della valenza indiziaria – del dato in questione, attesochè il giudicabile risiede in (OMISSIS), dimostra la manifesta illogicità della motivazione.

3.3.3 – Nel vizio de quo sono ulteriormente incorsi i giudici di merito sotto il profilo della inosservanza delle disposizioni dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2.

La violazione di legge in parola – non riconducibile alla tipologia dei vizi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), trattandosi di inosservanza di norma processuale diversa da quelle sanzionate a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza – assume rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità esclusivamente sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione.

Il vizio in questione è, infatti, integrato non solo dalla infrazione delle regole della logica formale (oltre che del principio di non contraddizione, oggetto di distinta ed espressa previsione normativa) e dalla invalidità (o, rectius, scorrettezza) dell’argomentazione – per la carenza di connessione tra le premesse della abduzione ovvero pel difetto di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione – ma anche, per l’appunto, dalla formale inosservanza dei canoni normativi di valutazione della prova prescritti dall’art. 192 cod. proc. pen. (cfr.: Cass., Sez. 6^, 8 gennaio 2004, n. 7336, Meta, massima n. 229159; Sez. 6^, 15 novembre 2002, n. 20474, Caracciolo, massima n. 225245; Cass., Sez. 6^, 14 ottobre 1997, n. 9104, Arena, massima n. 211578; Sez. 1^, 3 aprile 1997, n. 5036, Pesce, massima n. 207789; Sez. 1^, 16 dicembre 1994, n. 1381, Felice, massima n. 201488; Sez. 1^, 23 marzo 1994, n. 5173, Messina, massima n. 198633).

Orbene, dopo aver diffusamente rappresentato il contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l’imputato e la vittima, tutte prive di verun riferimento a richieste di pagamento e (tampoco) a minacce da parte di M., la Corte territoriale – argomentando delle emergenze delle intercettazioni delle conversazioni tra il giudicabile e i familiari circa l’acquisto a credito da parte del primo di stupefacenti somministratigli da M. – ha ipotizzato, che l’imputato nel tardo pomeriggio del giorno del delitto potesse aver incontrato lo spacciatore presso l’autosalone (ove la vittima lavorava), e che, in tale occasione M. potesse aver reclamato il pagamento della droga venduta, esercitando pressioni sul debitore.

E, sulla base di siffatta congettura, ha ulteriormente inferito il movente del fatto di sangue, riconducendolo al supposto intento di B. di sottrarsi al pagamento della droga.

Ma l’inferenza sviluppata si caratterizza – alla evidenza – per la violazione del divieto della praesumptio de praesumpto (ovverossia del divieto della presunzione di secondo grado o della doppia presunzione), implicato dal canone indefettibile della certezza dell’indizio, che è espressione del requisito della precisione, normativamente codificato dall’art. 192 c.p.p., comma 2, (Cass., Sez. 2^, 9 febbraio 1995, n. 5838, Avanzini, massima n. 201517: "il giudice, il quale ben può partire da un fatto noto per risalire da questo ad un fatto ignoto, non può in alcun caso porre quest’ultimo come fonte di un’ulteriore presunzione in base alla quale motivare una pronuncia di condanna"; cui adde: Sez. 1^, 27 aprile 2007, n. 28167, Petrisor; Sez. 2^, 20 novembre 2008, n. 3672, Brambilla; Sez. 2^, 13 ottobre 2009, n. 44048, Cassarino; Sez. 2^, 18 giugno 2010, n. 25086, Zimmermann).

3.3.4 – Nella valutazione dell’indizio costituito dalla rilevazione delle copiose microparticelle ternarie, isolate sugli indumenti dell’imputato, la sentenza è, infine, inficiata dalla mancanza di motivazione.

Innanzi tutto, con riferimento alla presenza delle molecole dello stagno in associazione al composto ternario univoco – circostanza cui la Corte territoriale ha annesso decisiva valenza selettiva del dato indiziante – i giudici di merito non hanno dato conto delle obiezioni difensive, fondate sui responsi (riportati nel ricorso) dei consulenti tecnici del giudicabile e del Pubblico Ministero, circa la presenza del metallo in parola anche nelle munizioni di fabbricazione nazionale (e di quelle in dotazione alle forze dell’ordine) e in quelle prodotte in altri tre continenti.

Inoltre, a fronte dei rilievi difensivi, circa la indiscriminata dislocazione delle microparticelle sugli indumenti (sia su quelli indossati, che su quelli appena lavati), sequestrati all’imputato, la Corte di assise di appello si è limitata a opporre la tesi della "contaminazione interna" tra i capi di vestiario.

Ma ha omesso di considerare la possibilità della contaminazione atipica in relazione alla (denunziate) modalità di conservazione di tutti gli indumenti, siccome eseguita dalla polizia giudiziaria affatto alla rinfusa, senza l’osservanza delle più elementari cautele e in violazione dei protocolli comunemente osservati dalla polizia scientifica nella apprensione e nella refertazione degli oggetti da sottoporre ad analisi chimiche per l’accertamento delle micro tracce della esposizione alle deiezioni gassose dei colpi di arma da fuoco.

In particolare i giudici di merito hanno omesso ogni valutazione e/o accertamento in ordine alla provenienza, alle pregresse utilizzazioni e alle condizioni del contenitore di fortuna, costituito da uno scatolone di cartone, adoperato dai Carabinieri per riporre i capi di vestiario dell’imputato.

3.3.5 – Si impone, pertanto, previo annullamento della sentenza impugnata, la celebrazione di nuovo giudizio a carico del ricorrente.

Per l’effetto, il giudice del rinvio si uniformerà ai principi di diritto enunciati nel paragrafo che precede sub 3.2.4, al criterio di espungere dal compendio indiziario gli elementi non utilizzabili (v.

3.3.1), quelli privi di valenza indiziaria (v. 3.3.2), di astenersi dalle sequele inferenziali vietate dalla legge (v. 3.3.3), e di dar conto delle obiezioni difensive in ordine all’esito positivo dell’accertamento circa la presenza sugli indumenti dell’imputato di tracce della esposizione ai miscugli gassosi degli spari.

3.4 – Conseguono, conclusivamente, il rigetto del ricorso sui punti concernenti l’ammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero e la utilizzabilità delle intercettazioni; l’annullamento nel resto della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catania.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso sui punti concernenti l’ammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero e la utilizzabilità delle intercettazioni; annulla nel resto la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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