Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-01-2011) 11-02-2011, n. 5321 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.1. Con ordinanza del 21 ottobre 2010 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice d’appello, confermava il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che aveva respinto la richiesta, presentata da C.P., di scarcerazione ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, per decorrenza del termine massimo di custodia cautelare. Premesso che C. era stato colpito da due ordinanze di custodia cautelare emesse dal giudice per le indagini preliminari del tribunale locale, la prima del 12.10.2007 per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. commesso dal (OMISSIS) e la seconda del (OMISSIS) per il delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 commesso dall’ (OMISSIS), osservava:

– che tra i reati oggetto delle due distinte ordinanze non esisteva rapporto di connessione qualificata;

– che le indagini che avevano condotto all’adozione delle cennate ordinanze erano distinte "tanto che l’o.c.c. del 12.10.2007 veniva adottata ex art. 27 c.p.p., a seguito della declaratoria di incompetenza per territorio del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze".

Contro la decisione ricorre C., che denuncia l’inosservanza dell’art. 297 c.p.p., comma 3, e vizio di motivazione, deducendo:

1. che tra i reati contestati con le due ordinanze sopra menzionate esiste una connessione qualificata, perchè l’associazione finalizzata al narcotraffico era costituita dalla confederazione di tre diversi sodalizi, uno dei quali era appunto quello di appartenenza del ricorrente, oggetto della prima ordinanza cautelare;

2. che il procedimento di cui alla prima ordinanza cautelare fu trasmesso per competenza alla Procura della Repubblica di Napoli con provvedimento del 25.9.2007 e quando il 12.10.2007 fu emessa la relativa ordinanza cautelare erano già desumibili dagli atti gli indizi relativi ai reati oggetto della seconda ordinanza cautelare, dato che essi emergevano dalle indagini di polizia giudiziaria (servizi di o.c.p. e sequestri di sostanze stupefacenti) e dalle conversazioni telefoniche intercettate nel corso degli anni 2005 e 2006.

P.2. Il ricorso è privo di fondamento.

In ordine al primo motivo, l’ordinanza impugnata ha correttamente escluso la pretesa connessione qualificata, rilevando che tra le due associazioni criminose oggetto delle distinte ordinanze cautelari esisteva uno iato temporale e, soprattutto, una diversa composizione personale che impediva di ravvisare nell’una la continuazione dell’altra.

In ordine al secondo motivo, si rammenta che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che, quando in differenti procedimenti, non legati da connessione qualificata, vengono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima, si applica la regola della retrodatazione stabilita dall’art. 297 c.p.p., comma 3, soltanto se la separazione dei procedimenti è frutto di una scelta artificiosa del pubblico ministero, che, ad esempio, abbia indebitamente ritardato l’iscrizione del secondo procedimento od omesso di riunirlo al primo ovvero abbia separato le notizie di reato acquisite contemporaneamente.

Ma nessuna delle anzidette ipotesi si è verificata nel caso di specie, perchè – come ha rilevato l’ordinanza impugnata – all’origine dei due procedimenti che hanno dato luogo alle due ordinanze cautelari non vi è stata alcuna artificiosa separazione.

Infatti il primo procedimento è stato iniziato e istruito dalla Procura della Repubblica di Firenze e quindi trasmesso per competenza territoriale a quella di Napoli, già pronto per l’emissione delle ordinanze cautelari, mentre il secondo ponderoso procedimento, già pendente avanti alla Procura della Repubblica di Napoli da circa un anno, era ancora in corso di svolgimento.

Il ricorso deve dunque essere respinto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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