T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 09-02-2011, n. 85 Edilizia e urbanistica, Impianti industriali e/o produttivi Controinteressati al ricorso Ricorso giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente riferisce di gestire uno stabilimento industriale sito in Manoppello Scalo, costituito da due capannoni concessi in locazione dai sig.ri D., V. e R.C., ove svolge dal 1998 l’attività di cromatura e di nichelatura di parti metalliche, impiegando dodici dipendenti. Riferisce, altresì, che il Comune di Manoppello con determina 24 marzo 2010, n. 22, ha classificato tale attività come insalubre di prima classe, ai sensi del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e del D.M. 5 settembre 1994, n. 132, e che il Responsabile della V Area del Comune – dopo aver preso atto di tale classificazione e della circostanza che le immissioni in atmosfera, provenienti da tale attività "anche in presenza di sistemi di abbattimento, potevano arrecare danno alla salute pubblica ed all’ambiente" e che erano presenti nel terreno limitrofo all’impianto di sostanze inquinanti – con ordinanza 9 aprile 2010, ha ordinato alla società N.G. s.r.l. di procedere entro 90 giorni alla delocalizzazione dell’impianto, in quanto il vigente P.R.G. destinava le aree sulle quali ricadono gli impianti a zona residenziale ed ai proprietari erano stati assentiti due permessi di costruire a sanatoria per i locali ove veniva svolta l’attività in questione "con la prescrizione di un termine per l’esercizio dell’attività in detti locali" (1° agosto 2010).

Con il ricorso in esame tale società è insorta dinanzi questo Tribunale avverso tale ordinanza, deducendo le seguenti censure:

1) Violazione degli artt. 216 e 217 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.

Prima di disporre la chiusura dell’attività il Comune avrebbe dovuto prescrivere all’industria interessata le cautele necessarie per prevenire il danno o il pericolo riscontrato. La pericolosità dell’impianto avrebbe dovuto essere accertata in concreto a seguito di una seria istruttoria, che nel caso di specie non risulta sia stata svolta, ove si consideri che l’Amministrazione provinciale di Pescara aveva autorizzato con determinazione 12 giugno 2007, n. 2108, la ricorrente alle immissioni in atmosfera e che i successivi controlli avevano accertato il rispetto dei limiti di legge. La presenza di sostanze inquinanti sul terreno adiacente, dovuta ad uno sversamento di cromo avvenuto nel 2007 che interessa circa 8 mq., era stata portata all’epoca a conoscenza del Comune e la ricorrente sta oggi provvedendo, sulla base delle indicazioni della Provincia, alla bonifica del terreno inquinato. La presenza di un’industria insalubre nei centri abitati non è vietata in assoluto, essendo subordinata alla verifica di compatibilità dell’impianto con il contesto di riferimento. La condizione inserita nelle concessioni in sanatoria assentite ai proprietari dell’immobile deve considerarsi come non apposta.

2) Violazione dell’art. 7 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

Non è stata data comunicazione alla ricorrente dell’avvio del procedimento.

Tali doglianze la parte ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria depositata il 26 novembre 2010.

Il Comune di Manoppello si è costituito in giudizio e con memorie depositate il 23 giugno ed il 4 novembre 2010 ha pregiudizialmente eccepito l’inammissibilità del ricorso in ragione del fatto che il gravame non era stato notificato ai proprietari dello stabilimento in questione ed ai soggetti pubblici interessati che avevano svolto un’attività istruttoria (Provincia di Pescara ed ARTA) e non era stata impugnata la determina 24 marzo 2010, n. 22, che aveva classificato tale attività come insalubre di prima classe; ha, inoltre, eccepito l’improcedibilità del ricorso perché uno dei proprietari degli immobili (il sig. R.C.) aveva comunicato la risoluzione del contratto di locazione ed aveva richiesto la riconsegna dei locali; nel merito, ha poi diffusamente confutato il fondamento delle censure dedotte.

Alla pubblica udienza del 13 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta a decisione.
Motivi della decisione

1. – L’impugnata ordinanza del 9 aprile 2010, con la quale il Responsabile della V Area del Comune di Manoppello ha ordinato alla società N.G. s.r.l. di procedere entro 90 giorni alla delocalizzazione dell’impianto sito in Manoppello Scalo ove viene svolta dal 1998 l’attività di cromatura e di nichelatura di parti metalliche, è motivata con riferimento, nella sostanza, alle seguenti considerazioni:

– che lo steso Dirigente con determina 24 marzo 2010, n. 22, aveva classificato tale attività come insalubre di prima classe, ai sensi del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e del D.M. 5 settembre 1994, n. 132;

– che le immissioni in atmosfera, provenienti da tale attività "anche in presenza di sistemi di abbattimento, potevano arrecare danno alla salute pubblica ed all’ambiente";

– che erano presenti nel terreno limitrofo all’impianto delle sostanze inquinanti;

– che il vigente P.R.G. destinava le aree sulle quali ricadono gli impianti a zona residenziale;

– che ai proprietari erano stati assentiti due permessi di costruire a sanatoria per i locali ove veniva svolta l’attività in questione "con la prescrizione di un termine per l’esercizio dell’attività in detti locali" (1° agosto 2010).

2. – In via pregiudiziale il Collegio deve farsi carico di esaminare le eccezioni di rito dedotte dall’Amministrazione resistente, con le quali questa ha prospettato l’inammissibilità del ricorso in ragione del fatto che:

a) il gravame non era stato notificato ai proprietari dello stabilimento in questione;

b) il gravame non era stato notificato ai soggetti pubblici che erano intervenuti nel procedimento, svolgendo un’attività istruttoria (Provincia di Pescara ed ARTA);

c) non era stata impugnata la determina 24 marzo 2010, n. 22, che aveva classificato tale attività come insalubre di prima classe.

Ha, inoltre, eccepito l’improcedibilità del ricorso perché uno dei proprietari degli immobili (il sig. R.C.) aveva comunicato la risoluzione del contratto di locazione ed aveva richiesto la riconsegna dei locali.

Tali eccezioni non sono fondate.

Quanto al rilievo sopra indicato alla lettera a), va osservato che i presupposti essenziali che integrano la nozione di controinteressato in senso proprio sono l’elemento formale (ovvero la menzione espressa del soggetto nell’atto impugnato o la sua immediata rintracciabilità) e l’elemento sostanziale, ovvero l’interesse immediato e differenziato di questo soggetto a mantenere gli effetti del provvedimento impugnato. Per cui, in definitiva, tale nozione di controinteressato implica che lo stesso sia contemplato o agevolmente identificabile dal provvedimento impugnato e sia portatore di un interesse concreto e qualificato alla conservazione di detto provvedimento, eguale e speculare rispetto all’interesse fatto valere dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, 13 giugno 2008, n. 297).

Con riferimento a tale nozione non sembra al Collegio che nella specie i proprietari dell’area in questione rivestano la posizione di controinteressati sia sotto l’aspetto formale (in quanto non sono contemplati nell’atti impugnato), sia sotto l’aspetto sostanziale, non essendo titolari di una posizione giuridica autonoma analoga e di senso opposto rispetto a quella fatta valere dal ricorrente; mentre, potrebbero, al contrario, avere un interesse coincidente con quello della società ricorrente al proseguimento dell’attività in parola e del rapporto locatizio, con la riscossione dei relativi canoni.

Quanto al rilievo sopra indicato alla lettera b), ritiene il Collegio che il gravame non avrebbe dovuto essere notificato anche a tutti gli enti che erano intervenuti nel procedimento.

Per consolidata giurisprudenza, invero, il ricorso introduttivo deve essere necessariamente notificato all’ente intervenuto nel procedimento nelle sole ipotesi in cui tale ente possa essere considerato come amministrazione (co)emanante (Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6254, e 7 aprile 2009, n. 2174), cioè tutte le volte in cui tale amministrazione abbia espresso un parere o una determinazione, immediatamente lesiva, che la parte ricorrente avrebbe avuto l’onere di impugnare autonomamente (Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1248).

Nella specie non sembra, però, che i pareri espressi dalla Provincia di Pescara e dall’ARTA fossero immediatamente lesivi degli interessi della ricorrente, per cui il ricorso non avrebbe dovuto essere notificato anche a tali enti.

Relativamente, poi, alla circostanza che non era stata impugnata la determina 24 marzo 2010, n. 22, che aveva classificato tale attività come insalubre di prima classe, va evidenziato che in base agli artt. 216 e 217 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, è certamente possibile l’installazione anche nell’abitato di una industria insalubre se accompagnata dall’introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato; con la sola differenza che, nel caso di industrie insalubri di seconda classe, non sottoposte a particolari limitazioni territoriali, è chi lamenta un nocumento dall’attività a doverlo provare, per poter impedire l’insediamento o pretendere la delocalizzazione o l’imposizione di accorgimenti tecnici volti ad eliminare ogni pregiudizio, mentre nel caso di industrie insalubri di prima classe è chi esercita l’attività a dover provare l’assenza di nocumento, per potersi insediare o rimanere nell’abitato (T.A.R. Umbria, 4 settembre 2007, n. 661).

Per cui, in definitiva, nessun effetto preclusivo può derivare dalla mancata impugnazione dell’atto che aveva classificato l’attività svolta dalla ricorrente come industria insalubre di prima classe, dal momento che tale classificazione non comportava necessariamente la delocalizzazione impianto, in quanto l’intervento repressivo sindacale può essere assunto solo a seguito dell’accertata esistenza di un’effettiva situazione di pericolo o di danno per la salute pubblica (T.A.R. Valle d’Aosta, 13 dicembre 2007, n. 150).

Quanto, infine, alla circostanza che uno dei proprietari del fabbricato aveva richiesto la riconsegna dei locali dati in locazione alla ricorrente, va evidenziato che, allo stato, non risulta che tale riconsegna sia intervenuta e che l’attività produttiva sia cessata, in quanto l’esecuzione dello sfratto – come si rileva dal provvedimento del G.U. di Pescara, versato in giudizio dalla resistente il 6 giugno 2010 – è stata fissata per il giorno 30 giugno 2011; per cui l’esistenza di tale contenzioso tra i privati non può di certo incidere sulla legittimità dell’atto impugnato e, quindi, sulla procedibilità del ricorso in esame.

3. – Così risolte tali questioni pregiudiziali, può utilmente passarsi all’esame del merito.

Va subito precisato che il ricorso è fondato.

Carattere pregiudiziale ed assorbente riveste in merito la censura dedotta con il secondo motivo di ricorso e con la quale l’istante si è lamentata nella sostanza del fatto che, in violazione dell’art. 7 della L. 7 agosto 1990, n. 241, non le era stata data comunicazione dell’avvio del procedimento.

Premesso in punto di fatto che dagli atti di causa non emerge che tale comunicazione sia mai intervenuta, va rilevato che – così come sopra si è già avuto modo di ricordare – nel caso di industrie insalubri di prima classe è chi esercita l’attività a dover provare l’assenza di nocumento per poter rimanere nell’abitato, con la conseguenza che tale mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ha di certo precluso alla destinataria dell’atto impugnato la possibilità di fornire la prova in questione.

Né è possibile applicare nella specie il disposto dell’art. 21octies della stessa norma – che prevede che la violazione delle disposizioni relative alla comunicazione di avvio del procedimento non determina l’illegittimità del provvedimento conclusivo qualora che l’omissione di tale adempimento non abbia inciso sul contenuto dell’atto finale – in quanto l’Amministrazione non ha dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, specie ove si consideri che la ricorrente ha prospettato elementi e circostanze che escluderebbero l’esistenza di una situazione di pericolo o di danno per la salute pubblica, che l’Amministrazione avrebbe dovuto attentamente esaminare prima dell’adozione dell’atto impugnato.

Con riferimento a tale assorbente considerazione, deve pertanto disporsi, in accoglimento del ricorso proposto, l’annullamento dell’atto impugnato per non avere l’Amministrazione consentito alla ricorrente di partecipare al procedimento e di dimostrare in quella sede che l’attività in atto non crea nocumento alla abitazioni circostanti.

Prima di concludere, va, peraltro, osservato che – come questa stessa Sezione ha già avuto modo diffusamente di precisare con sentenza 8 febbraio 2003, n. 153 – l’apposizione di una o più condizioni al rilascio di un titolo edilizio può ritenersi generalmente ammessa soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell’intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento; mentre, diversamente, non è possibile apporre condizioni al titolo edilizio che siano estranee alla fase di realizzazione dell’intervento edilizio. Di conseguenza, la predetta condizione inserita dal Comune in sede di rilascio della concessione in sanatoria deve considerarsi come non apposta, senza però comportare la invalidità totale dell’atto stesso, trattandosi di un atto dovuto (cfr. nello stesso senso e di recente, anche T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. IV, 10 settembre 2010, n. 5655).

4. – Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato.

Sussistono, tuttavia, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata ordinanza 9 aprile 2010, del Responsabile della V Area del Comune di Manoppello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *