Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-01-2011) 11-02-2011, n. 5320

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trieste con la sentenza specificata in epigrafe dichiarava non luogo a procedere nei confronti di C.V., imputato del delitto di calunnia, per avere con denuncia indirizzata alla Procura della Repubblica falsamente affermato che le querele per lesioni, percosse e minacce contro di lui presentate dai coniugi S. erano "false e calunniose". Il proscioglimento, adottato con la formula "perchè il fatto non costituisce reato", era motivato con l’argomento che l’imputato aveva esercitato il diritto di difesa riconosciutogli dall’ordinamento.

Contro la decisione ricorre il pubblico ministero, il quale denuncia l’erronea applicazione della legge penale, osservando che l’imputato, presentando denuncia per calunnia contro i querelanti, non aveva esercitato il diritto di difesa, perchè aveva agito al di fuori del processo a suo carico, presentando un atto autonomo con il quale non aveva chiesto la propria assoluzione, bensì la promozione dell’azione penale contro i querelanti.

2. Il ricorso è fondato e pertanto va accolto.

Il giudice a quo, per giustificare la decisione di proscioglimento, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui "l’imputato può negare, anche mentendo, la verità delle testimonianze o delle dichiarazioni a lui sfavorevoli…in tal caso, l’accusa di falsa testimonianza o di calunnia, implicita in tale condotta, integra l’esercizio del diritto di difesa e pertanto non è punibile ai sensi dell’art. 51 c.p.".

Si tratta di un orientamento consolidato che, per scriminare una condotta oggettivamente calunniosa, applica la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost. come "diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".

Tuttavia la sentenza impugnata – come correttamente argomenta il pubblico ministero ricorrente – ha erroneamente applicato alla fattispecie concreta la norma di cui all’art. 51 c.p., perchè l’imputato, quando presentò alla procura della Repubblica la denuncia incriminata, nella quale definiva "false e calunniose" le querele sporte dai coniugi S., non agiva nell’ambito del giudizio pendente a suo carico avanti al giudice di pace, nel quale era chiamato a rispondere dei reati di lesioni, percosse e minacce commessi in danno dei querelanti, ma, al contrario, assunse un’iniziativa esterna a quel giudizio, diretta a provocare l’apertura di altro procedimento penale contro persone che accusava di un reato che sapeva non essere stato commesso.

Invero, affinchè operi la scriminante prevista dall’art. 51 c.p., è necessario che l’attività realizzata costituisca un corretto esercizio delle facoltà inerenti al diritto in questione, senza trasmodare, superandone i confini, nel fenomeno patologico dell’abuso del diritto medesimo. La dottrina ha individuato i limiti dell’esercizio del diritto, distinguendoli in due categorie: quelli interni, desumibili dalla natura e dal fondamento del diritto esercitato, e quelli esterni, ricavabili dal complesso delle altre norme che compongono l’ordinamento.

Nel caso concreto, la denuncia incriminata travalica il corretto esercizio del diritto di difesa perchè viola entrambi i limiti:

quello interno, perchè – come si è sopra evidenziato – il denunciante non ha agito nell’ambito del procedimento che lo vedeva imputato avvalendosi delle facoltà riconosciutegli dalla legge processuale per difendersi dall’accusa contestatagli, ma è andato oltre la propria difesa, presentando una denuncia contro i suoi accusatori; quello esterno, perchè, con la falsa denuncia, ha posto in pericolo i beni, parimenti tutelati, della retta amministrazione della giustizia nonchè della libertà e dell’onore degli incolpati.

L’abnorme e illegittima estensione che il giudice a quo, forzando l’interpretazione della norma penale, ha voluto attribuire all’esercizio del diritto di difesa, vizia la decisione adottata, che dev’essere pertanto annullata con rinvio allo stesso Tribunale che, in persona di un giudice diverso (v. art. 623 c.p.p., lett. d)), procederà a nuovo giudizio, attenendosi al principio di diritto sopra delineato.
P.Q.M.

La Corte di cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Trieste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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