Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-03-2011, n. 7020 Trasferimento di azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Latina S. G., premesso di aver lavorato presso l’Hotel Mediterraneo alle dipendenze della s.r.l. D 97 con contratto part-time dal 3-8-1998 fino al 15-10-1999, data del suo licenziamento, sosteneva di avere lavorato dalle ore 6,30 alle 16 (con mezz’ora di pausa) e a partire dal marzo 1999 dalle 6,30 alle 12 per sei giorni alla settimana e di aver svolto mansioni proprie del 3^ livello contrattuale e non del 5^ livello riconosciutogli. Deduceva quindi di essere stato retribuito in misura inferiore al dovuto e, assumendo di essere stato licenziato in data 15-10-1999 a motivo della cessazione dell’attività aziendale della DAMA 97, sebbene tale attività fosse proseguita dalla M Immobiliare s.r.l., succeduta alla prima nella gestione dell’Hotel Mediterraneo, sosteneva di avere diritto ad essere riassunto ex art. 2112 c.c., dalla società cessionaria di azienda.

Il ricorrente chiedeva quindi: che il Giudice adito emettesse nei confronti della Margherita Immobiliare sentenza costitutiva del contratto non concluso e che la stessa fosse condannata ad assumerlo con la qualifica, l’orario di lavoro e la retribuzione equivalenti a quelli del rapporto cessato con la D97; che la M Immobiliare fosse condannata al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data dell’illegittimo licenziamento; che le società convenute fossero altresì condannate, in solido tra loro, al pagamento della somma di L. 20.042.914 a titolo di differenze retributive.

La D 97 si costituiva contestando la fondatezza della domanda.

Si costituiva anche la M Immobiliare s.r.l., contestando la configurabilità di un’ipotesi di trasferimento di azienda ed eccependo altresì la decadenza L. legge n. 604 del 1966, ex art. 6.

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Latina con sentenza del 12/10/2002 condannava le convenute a pagare al ricorrente, in via equitativa, la somma di Euro 4.000,00 ex art. 432 c.p.c. e art. 36 Cost..

Il lavoratore proponeva appello avverso la detta sentenza, lamentando da un lato l’omessa pronuncia sulla continuazione del rapporto di lavoro con la M Immobiliare ex art. 2112 c.c., e dall’altro la contraddittorietà della pronuncia che, pur riconoscendo la fondatezza del ricorso quanto a durata del rapporto e mansioni svolte, aveva liquidato solo equitativamente le differenze retributive.

Le due società si costituivano e proponevano appello incidentale lamentando che il primo Giudice, pur riconoscendo che i testi escussi erano stati in parte compiacenti, aveva accolto la domanda anzichè respingerla e che nulla era stato concretamente provato circa le mansioni superiori dedotte, nè il maggiore orario di lavoro.

Ribadivano altresì la inapplicabilità, nella fattispecie, della disciplina di cui all’art. 2112 c.c..

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 27-2-2006 rigettava l’appello principale e in accoglimento degli appelli incidentali rigettava la domanda originaria dello S..

In sintesi la Corte territoriale, premesso che preliminarmente andava accertato l’an del diritto alle differenze retributive vantate, non essendo ammissibile una determinazione equitativa in mancanza di tale accertamento, rilevava che nella fattispecie non erano risultati provati nè la prestazione di lavoro pomeridiana oltre le ore 12, nè il dedotto lavoro straordinario, nè l’asserito inizio del rapporto dal luglio anzichè dall’agosto 1998, nè lo svolgimento delle dedotte mansioni di segreteria, contabilità e amministrazione o comunque di mansioni di tipo concettuale con autonomia operativa. La Corte d’Appello, inoltre, escludeva che nella fattispecie vi fosse stato un vero e proprio trasferimento di azienda.

Per la cassazione di tale sentenza lo S. ha proposto ricorso con un unico complesso motivo.

La D 97 s.r.l. e la M Immobiliare s.r.l. hanno resistito ciascuna con proprio controricorso.
Motivi della decisione

Con l’unico complesso motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2099, 2112 e 2932 c.c., artt. 416 e 429 c.p.c., nonchè vizio di motivazione.

In particolare il ricorrente, sulle differenze di retribuzione, deduce che il rapporto di lavoro, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, era iniziato un mese prima della sua formale denuncia agli enti previdenziali e che le dichiarazioni da lui rese all’Ispettorato del lavoro non erano al riguardo veritiere, così come non lo erano sull’orario di lavoro, come sarebbe emerso dalle risultanze della prova testimoniale (in specie dalla testimonianza D.). Inoltre anche le mansioni svolte (asseritamente di portiere unico e non di assistente di portineria) avrebbero ricevuto conferma nelle testimonianze acquisite.

La Censura è inammissibile.

Sul punto deve ribadirsi l’indirizzo consolidato in base al quale "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (v, Cass. 9/4/2001 n. 5231, Cass. 15-4-2004 n. 7201, Cass. 7-8-2003 n. 11933, Cass. 5-10-2006 n. 21412). Del resto è stato anche affermato che "il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa", (v., fra le altre, da ultimo Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6- 3-2006 n. 4766).

Peraltro, come pure è stato precisato "il ricorrente che denuncia sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto" (v. fra le altre Cass. sez. 117-7-2007 n. 15952, Cass. 20/2/2003 n. 2527, Cass. 25-8-2003 n. 12468, Cass. sez. 3^, 20/10/2005 n. 2032), essendo "necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti" (v. Cass. sez. 3^, 24-5-2006 n. 12362, Cass. sez. 3^ 26-6-2007 n. 14751, Cass. sez. 3^, 26-6-2007 n. 14767).

Orbene nella fattispecie il ricorrente ribadisce semplicemente una diversa lettura delle risultanze testimoniali e neppure riporta nel ricorso il contenuto integrale delle stesse, limitandosi ad alcuni parziali richiami con riferimento ad alcuni testi e a meri commenti riguardo agli altri.

Al riguardo la Corte d’Appello, in sintesi, ritenuti "affidabili i testi che hanno cessato di lavorare alle dipendenze dell’albergo e non hanno cause in corso nei confronti delle società convenute" e considerata, invece, meno accreditabile "l’opposta testimonianza resa dal teste D.D., che ha sostanzialmente confermato tutte le circostanze di cui al ricorso, avendo costui una causa in corso nei confronti delle convenute", ha concluso ritenendo non provata "la prestazione pomeridiana dedotta dal ricorrente per l’orario eccedente le ore 12" e del pari non confermate "le allegazioni relative all’inizio anticipato del rapporto di lavoro e alla mancata fruizione di ferie e permessi" nonchè quelle "relative ad attività di segreteria, di contabilità e di amministrazione", non essendo risultato che il ricorrente avesse svolto "mansioni di segreteria o di cassa, nè comunque mansioni di tipo concettuale, con autonomia operativa" (neppure avendo svolto "la raccolta, il controllo o l’elaborazione di dati relativi alla clientela" o "operazioni di registrazione degli incassi").

Tale accertamento di fatto congruamente motivato resiste alla generica censura del ricorrente.

In relazione, poi, alla solidarietà e alla continuazione del rapporto ex art. 2112 c.c., il ricorrente deduce che "la cessazione dell’affitto d’azienda e il conseguente ritrasferimento dell’azienda medesima dall’affittuario al concedente, configurano una vicenda traslativa riconducibile nell’ambito della previsione dell’art. 2112 c.c." e lamenta che la Corte territoriale avrebbe escluso il ricorso, nella fattispecie, di tale vicenda sol perchè le parti hanno escluso dall’atto traslativo i rapporti con il personale, laddove, invece, è semplicemente mutato il titolare e la gestione dell’azienda è avvenuta senza soluzione di continuità.

Osserva il Collegio che la censura è in parte inammissibile e in parte infondata.

Seppure la sentenza impugnata risulta non completa per quanto riguarda la configurabilità di una successione di azienda e la fondatezza dell’avvenuto licenziamento, la censura fondata sull’art. 2112 c.c., è anch’essa generica e priva di autosufficienza, in quanto nel ricorso non viene indicata l’epoca effettiva dell’affitto e della cessazione dello stesso in relazione all’epoca del licenziamento intimato dalla D. La Corte di Appello, peraltro, ha escluso che nella fattispecie vi fosse stata una cessione di un complesso unitario di beni, affermando che la retrocessione nella titolarità della azienda" doveva "ritenersi avvenuta nei limiti dell’originaria cessione, ossia senza il personale" ed ha aggiunto altresì che "non è stata allegata alcuna situazione o circostanza atta ad avvalorare l’ipotesi della fittizietà o del carattere fraudolento del licenziamento del ricorrente, intimato per giustificato motivo oggettivo consistente, appunto, nella risoluzione anticipata del contratto di affitto e nella restituzione immediata dell’attività e dell’immobile alla società locatrice".

Orbene tale ultima statuizione non è stata specificamente censurata dal ricorrente, il quale, del resto, neppure ha in qualche modo contrastato la legittimità del licenziamento intimatogli dalla D. Il ricorso va pertanto respinto.

Infine in considerazione della alternanza dell’esito dei giudizi di merito e della complessità delle questioni, ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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