Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-01-2011) 11-02-2011, n. 5290 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 26 novembre 2008, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma delle sentenze emesse, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di J.D. rispettivamente in data 17 febbraio 2006 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Forti ed in data 28 novembre 2006 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Ferrara, determinava la pena complessiva in anni tre di reclusione e Euro 5.000,00 di multa, ritenuta la continuazione tra i fatti in esse giudicati e confermando nel resto.

L’imputato era stato ritenuto responsabile del reato di illecita detenzione di due panetti di hashish del peso complessivo di circa 200 grammi (capo A) e del reato di acquisto a fine di spaccio di un chilogrammo di hashish (capo B).

Quanto al primo episodio, l’imputato era stato colto nella flagranza della detenzione dei panetti di hashish, mentre la prova della commissione della detenzione del secondo quantitativo di hashish era stato tratto dal giudice dagli esiti di attività di captazione ed ascolto di conversazioni e dalle dichiarazioni del correo E.O. A. che aveva ammesso di aver ceduto al D. un chilo di hashish, che a causa della scarsa qualità, gli era stato interamente restituito.

2. Avverso la sentenza predetta propone ricorso per cassazione personalmente l’imputato, deducendo la erronea ed illogica motivazione in relazione al punto in cui si esclude che il quantitativo sequestrato il 29 ottobre 2005 ed oggetto dell’imputazione descritta nel capo A) sia parte del quantitativo acquistato oggetto della contestazione di cui al capo B). Tale conclusione, ad avviso del ricorrente, sarebbe stata tratta dalla Corte di merito dalle dichiarazioni di un correo, qualificate esplicitamente come "credibili", ma prive dei necessari riscontri. La Corte di appello sul punto non avrebbe preso in considerazione le argomentazioni difensive contenute nell’atto di gravame. Inoltre, la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata quanto alla sorte della sostanza stupefacente indicata nel capo B) sarebbe assolutamente apodittica ed indimostrata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Nell’atto di appello, l’imputato aveva sostenuto che non vi erano elementi probatori sufficienti per affermare che effettivamente si fosse verificata la progettata sostituzione della droga, permanendo il dubbio che il quantitativo di hashish sequestrato fosse quanto meno il residuo, se non l’unico, di quello indicato nel capo B) di imputazione. Aveva evidenziato a tal fine che le dichiarazioni rese dal correo E.O.A. avevano lo scopo, prevalentemente auto difensivo, di ricondurre ad un unico acquisto (quello che vedeva coinvolto il D.) le risultanze delle conversazioni intercettate; e che il tenore delle conversazioni intercettate appariva contraddire la ricostruzione della vicenda, così come operata in prime cure. Quanto a quest’ultime, l’appellante riteneva che il tenore dei colloqui avallasse la tesi "più convincente" che alla data del 26 ottobre 2005 (ovvero tre giorni prima del sequestro dei due panetti) la restituzione non fosse stata ancora effettuata dall’imputato.

Ciò premesso, contrariamente alla censura proposta con il presente ricorso, la Corte di appello ha dato risposta, adeguata e priva di vizi logici, alle doglianze difensive, evidenziando che era stato lo stesso imputato nelle conversazioni intercettate a dichiarare di aver acquistato per la commercializzazione un cospicuo quantitativo di droga (definita dallo stesso imputato "un chilo"), del quale lamentava la scarsa qualità, chiedendone la restituzione. Che il quantitativo sequestrato all’imputato non fosse da computarsi in quello restituito era dimostrato, secondo i giudici a quibus, dalle dichiarazioni rese dal correo E.O.A., che aveva affermato, in sede di interrogatorio, che la partita di un chilo di hashish ceduta all’imputato gli era stata da costui interamente restituita per essere sostituita con altra migliore.

Quanto alla valutazione della credibilità del dichiarante, la Corte bolognese ha fatto buon governo dei principi sul punto espressi da questa Suprema Corte. Va infatti precisato che, anche stando ai principi giurisprudenziali espressi a partire dalle sentenze delle Sezioni unite (in particolare, Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465), la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante e quella della attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono secondo partimenti stagni, atteso che l’uno aspetto influenza necessariamente l’altro, al pari di quanto avviene per ogni altra prova dichiarativa, sicchè è imposta al giudice una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili, discendendo ciò dai generali criteri epistemologia e non indicando l’art. 192 c.p.p., comma 3, sotto tale profilo, alcuna specifica regola derogatoria. Per cui, anche in presenza di elementi incerti circa l’attendibilità del racconto, il giudice non può esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, posto che, salvo il caso estremo di sicura inattendibilità del dichiarato, per cause soggettive od oggettive, il convincimento del giudice deve formarsi sulla base di una valutazione globale di tutti gli elementi di informazione raccolti legittimamente nel processo.

Nel caso in esame, la Corte di appello ha esaurientemente e adeguatamente motivato sul punto, superando le obiezioni difensive sulla credibilità soggettiva del correo, ritenendo che, all’esito di una valutazione unitaria del materiale probatorio raccolto, il racconto di costui era da ritenersi attendibile, perchè suffragato dagli univoci riscontri, anche individualizzanti, emergenti dalle conversazioni intercettate, nelle quali lo stesso imputato aveva parlato di un chilo di droga e che apparivano chiaramente preparatorie dell’operazione di sostituzione. A ciò ha aggiunto anche la logica constatazione che l’imputato, nel dichiarare in sede di interrogatorio relativamente alla detenzione della sostanza sequestrata che la stessa era destinata al suo uso personale, non aveva dedotto la sua scarsa qualità – circostanza che, visto il dato ponderale, avrebbe contribuito a confermare l’assunto difensivo -, avvalorando così la conclusione della diversità delle sostanze oggetto delle imputazioni.

Quanto alla portata dimostrativa delle conversazioni intercettate, deve ribadirsi che è preclusa a questo giudice di legittimità in sede di controllo sulla motivazione una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, con conseguente autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. In questa sede il controllo deve limitarsi alla verifica che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. In altri termini, il controllo di questa Corte è diretto semplicemente ad accertare che, alla base della pronuncia esista un concreto apprezzamento delle risultanze e che la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da errori logico – giuridici; restando pertanto escluso da tale sindacato le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza dei fatti, la valutazione comparativa della loro rilevanza, la scelta di quelli determinanti.

Conseguentemente è sottratta al giudice di legittimità la valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate, costituendo questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, insindacabile se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (tra le tante, Sez. 6^, n. 15396 del 11/12/2007, dep. 11/04/2008, Sitzia, Rv. 239636). E’ soltanto possibile prospettare in sede di legittimità il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. (Sez. 2^, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, Donno, Rv. 237994).

Nella specie, il ricorrente non prospetta il vizio di travisamento della prova, quanto piuttosto quello di "travisamento del fatto", ovvero la congruenza della interpretazione data alle conversazioni intercettate, inammissibile per le ragioni ora esposte (Sez. 5^, n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Casavola, Rv. 238215). Nella specie i giudici dell’appello, hanno adottato una chiave interpretativa coerente con i canoni della logica, esprimendo l’avviso che le plurime conversazioni da essi valorizzate facciano riferimento alla prestazione dell’operazione di sostituzione.

2, All’inammissibile del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa emergenti al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa emergenti dal ricorso – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte,si stima equo determinare in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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