Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-01-2011) 11-02-2011, n. 5288 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P. 1. Con sentenza del 15 gennaio 2010 la Corte d’appello di Perugia confermava quella di primo grado che aveva dichiarato B. A. colpevole del delitto di calunnia, per avere falsamente accusato i carabinieri che lo avevano arrestato in flagrante detenzione di sostanze stupefacenti di avergli negato l’assistenza del difensore, di averlo picchiato e costretto a firmare un verbale contenente dichiarazioni eteroaccusatorie.

Contro la sentenza l’imputato ricorre per cassazione e denuncia:

1. mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè nella valutazione delle prove non ha tenuto conto: a) che nel diario clinico compilato all’atto dell’ingresso in carcere è scritto "lamenta dolore al quadricipite femorale destro contuso al momento dell’arresto a suo dire"; b) che, sottoposto a visita ortopedica, risultava affetto da artralgia alla spalla sinistra con prescrizione di terapia ultrasonica; c) che la situazione patologica riscontrata, considerato che l’arresto era avvenuto con modalità pacifiche, avvalorava l’assunto del pestaggio; d) che il verbale di dichiarazioni spontanee da lui sottoscritto la notte dell’arresto senza assistenza del difensore conteneva dichiarazioni eteroaccusatorie che resero possibile l’arresto di altre persone;

2. erronea applicazione dell’art. 368 c.p., perchè le accuse rivolte ai carabinieri furono fin da subito ritenute così inverosimili che nessun accertamento fu compiuto nei confronti degli accusati;

pertanto, non essendo stato iniziato un procedimento penale, il reato contestato non si sarebbe realizzato;

3. erronea applicazione dell’aumento di pena a titolo di continuazione, perchè il capo d’imputazione non contesta l’art. 81 c.p.;

4. violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al diniego delle attenuanti generiche e alla misura della pena inflitta;

5. omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione dell’indulto concesso con L. n. 241 del 2006.

P. 2.1 Il ricorso è manifestamente infondato.

Cominciando dal primo motivo, si osserva che le lamentate carenze di motivazione non sussistono, perchè tanto il giudice di primo grado che quello d’appello hanno esaminato gli elementi di prova asseritamente trascurati, li hanno criticamene valutati e sono giunti all’argomentata, coerente conclusione che le accuse rivolte dall’imputato ai militari operanti sono sicuramente calunniose.

In particolare la sentenza impugnata rileva:

– la stridente dissonanza tra la descrizione fornita dall’imputato del brutale pestaggio che i militari gli avrebbero inferto per estorcergli le dichiarazioni eteroaccusatorie e la segnalazione al medico di guardia che lo visitava all’ingresso nel carcere di una mera dolenzia "con lieve impotenza funzionale" al quadricipite destro;

– la mancata rilevazione, nel corso della visita medica di ingresso, di un pur minimo segno di percosse sul corpo dell’imputato, che riscontrasse l’accusa;

– l’artralgia alla spalla fu diagnosticata nella visita ortopedica compiuta venti giorni dopo l’arresto e, quindi, distacco temporale e natura della patologia non permettevano di ricollegarla al presunto pestaggio;

– dal verbale di arresto risultava che i carabinieri avevano telefonicamente avvisato l’Avv. Paccoi Daniela, indicata dall’arrestato come difensore di fiducia;

– le dichiarazioni spontanee contenevano sì indicazioni accusatorie nei confronti di M.L. e P.G., che però non venivano coinvolti nel trasporto della droga sequestrata quella sera, perchè l’arrestato affermava che il committente dell’operazione era un non meglio identificato " G.";

pertanto le dichiarazioni verbalizzate non risultavano congruenti con la condotta asseritamente violenta e prevaricatrice attribuita agli inquirenti.

I vizi motivazionali denunciati non hanno dunque fondamento alcuno.

P. 2.2 Il secondo motivo di ricorso è in palese contraddizione con il primo. Dopo avere perorato la veridicità e credibilità delle accuse lanciate contro i rappresentanti della polizia giudiziaria che l’avevano tratto in arresto, si sostiene ora che quelle accuse sarebbero così inverosimili da non configurare il delitto di calunnia.

Si osserva comunque che dottrina e giurisprudenza concordano nel definire la calunnia reato di pericolo e, quindi, è sufficiente a integrare l’elemento oggettivo del reato una falsa accusa che, apparendo a prima vista non manifestamente inverosimile, sia idonea a determinare l’apertura di indagini preliminari, restando irrilevante il fatto che le indagini non siano iniziate o che, seppure iniziate, si concludano con un decreto di archiviazione. Pertanto può essere negata la sussistenza del reato solo quando l’incolpazione sia fatta in modo tale da apparire del tutto inverosimile, assurda, contraria al più elementare senso logico, potendosi in tal caso escludere il pericolo di inizio di un procedimento contro la persona ingiustamente incolpata.

La sentenza impugnata ha richiamato la cennata, pacifica interpretazione della norma incriminatrice e, affermando la sussistenza del reato, ne ha fatto corretta applicazione; quindi le censure sollevate sul punto dal ricorrente sono manifestamente infondate.

P. 2.3 In ordine al terzo motivo, si osserva che effettivamente il capo d’imputazione non menziona l’art. 81 c.p., e tuttavia, ai fini della validità della contestazione, è fondamentale non la citazione degli articoli di legge violati, ma la descrizione del fatto addebitato.

Nella specie, le persone falsamente incolpate sono state indicate per nome, cognome e grado e, quindi, la formulazione del capo d’imputazione rende evidente che con un’unica denuncia sono stati commessi tanti distinti reati di calunnia – unificati ai sensi dell’art. 81 c.p., comma 1, – quanti sono i soggetti ingiustamente incolpati.

2.4 La sentenza impugnata, attenendosi ai criteri stabiliti dall’art. 133 c.p., ha adeguatamente motivato sia le ragioni della mancata concessione delle attenuanti generiche, negate a causa dei numerosi precedenti penali (per violazione dell’art. 570 c.p., per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, per violazione della disciplina sul controllo delle armi), sia dell’entità della pena inflitta, avuto riguardo alla gravità del fatto desunta dalla pluralità e varietà di reati falsamente attribuiti.

Quindi anche questo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

P. 2.5 E’ risaputo che l’omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione dell’indulto non vizia la sentenza, perchè non pregiudica in alcun modo il riconoscimento del beneficio in sede esecutiva.

In conclusione, il ricorso inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma ritenuta congrua di Euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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