Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 11-02-2011, n. 5102

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16.9.2010 il Tribunale di Napoli, costituito ex art. 310 cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto nell’interesse di F.S. avverso l’ordinanza emessa dalla locale Corte di appello il 14.4.2010 con la quale era stata disattesa l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare dell’imputato, condannato alla pena di anni otto di reclusione per la partecipazione all’associazione camorrista facente capo alla famiglia Mazzarella, con sentenza del Gup del tribunale di Napoli del 5.1.2009.

Rilevava il tribunale che l’ordinanza impugnata aveva rigettato l’istanza avanzata il 2.4.2010 dal difensore del F. con la quale si deduceva l’illegittimità del provvedimento reso dalla Corte di appello in data 14.1.2010 con il quale, in accoglimento della richiesta del difensore, Avv.to Scarfò, la Corte rimetteva in termine il predetto difensore per la proposizione dell’impugnazione (avendo eccepito il mancato avviso del deposito della sentenza di primo grado notificato solo al codifensore) e, contestualmente, sospendeva la decorrenza dei termini di custodia cautelare per la complessità del dibattimento relativamente a tutti gli imputati.

Evidenziava, ancora, il tribunale che con l’atto di gravame II difensore lamentava che con il provvedimento del 14.1.2010 la Corte di appello avrebbe dovuto retrodatare la remissione in termini facendola decorre dall’avviso di deposito del provvedimento decisorio e non avrebbe potuto sospendere i termini di custodia cautelare in relazione al F., attesa la mancata regolare costituzione del rapporto processuale.

Il tribunale, quindi, rilevava che l’appello in esame pur avendo ad oggetto l’ordinanza resa dalla Corte territoriale il 14.4.2010, in realtà censurava quella emessa in data 14.1.2010 che non era stata impugnata dal F.. Pertanto, in applicazione del consolidato principio per il quale la perentorietà dei termini per l’impugnazione impedisce che si possa impugnare un’ordinanza che sia meramente confermativa di altra precedente non tempestivamente impugnata, rigettava l’appello.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il F., a mezzo del difensore di fiducia, censurando l’ordinanza del tribunale per violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), sulla base dei medesimi argomenti posti a fondamento dell’appello, sostenendo che l’istanza avanzata dalla difesa il 2.4.2010 aveva ad oggetto la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare in conseguenza sia della remissione in termini sia della sospensione dei termini di custodia cautelare; quindi, l’impugnazione aveva ad oggetto una diversa ordinanza.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Come è stato evidenziato nell’ordinanza impugnata, alla luce della corretta indicazione dei provvedimenti adottati dalla Corte territoriale, l’appello pur avendo ad oggetto l’ordinanza resa il 14.4.2010 con la quale veniva rigettata l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, in realtà censurava l’ordinanza emessa dalla Corte territoriale in data 14.1.2010 che doveva essere impugnata ai sensi dell’art. 304 cod. proc. pen., e che, invece, non era stata impugnata dal F..

Che gli argomenti posti a fondamento dell’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, avanzata dalla difesa in data 2.4.2010, afferissero al contenuto del provvedimento reso dalla Corte territoriale in data 14.1.2010 risulta evidente anche da quanto ribadito nel ricorso in esame.

Il tribunale, quindi, ha fatto corretta applicazione del principio enunciato.

In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, poichè a norma dell’art. 304 c.p.p., commi 1 e 4, è consentita l’immediata appellabilità dell’ordinanza che ne dispone la sospensione, la mancata presentazione, da parte dell’interessato, dell’atto di appello nel termine perentorio stabilito dall’art. 310 c.p.p., comma 2, comporta, in virtù del fenomeno della preclusione endoprocessuale, l’inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, a nulla rilevando l’illegittimità dell’originaria sospensione (Sez. 1^, n. 43566, 05/12/2002, Filippo, rv. 223071; Sez. 1, n. 23159, 28/05/2008, Patanè, rv. 240207).

Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la declaratoria di inammissibilità dello stesso ai sensi dell’art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.

La declaratoria di inammissibilità comporta per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna II ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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