Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 11-02-2011, n. 5101

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 28 settembre 2010 il tribunale di Brescia, decidendo quale giudice del riesame, confermava l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso tribunale, in data 22.7.2010, con la quale era stata applicata a P.G. la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di truffa e favoreggiamento dell’Immigrazione clandestina, nonchè, al reato contestato all’indagato al capo B) 72 dell’imputazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3.

Nell’ordinanza si premette l’indicazione degli elementi di fatto acquisiti nel corso delle indagini dai quali emergeva l’esistenza di una organizzazione, facente capo a T.F., dedita stabilmente a procacciare a stranieri irregolari presenti in Italia rapporti di lavoro fittizi e la relativa documentazione necessaria al fine di provvedere alla regolarizzazione della permanenza nel territorio nazionale, traendone elevati profitti. Il tribunale, quindi, riteneva la sussistenza di un compendio indiziario connotato della necessaria gravità avuto riguardo all’inserimento dell’indagato nella predetta organizzazione, tenuto conto del ruolo da questi svolto quale stretto collaboratore del T., incaricato costantemente di provvedere alle formalità amministrative relative alle imprese che risultavano create fittiziamente allo scopo di formalizzare i falsi contratti di lavoro, nonchè, in alcuni casi di tenere i contatti con i cittadini stranieri interessati alla regolarizzazione.

La vicenda contestata al capo B) 72 ne costituiva palese conferma atteso che dalla stessa si rilevava che il P. dal febbraio all’agosto 2009 aveva svolto attività volte a consegnare, dietro pagamento di somme di danaro, buste paga false e dichiarazioni di lavoro inesistente in favore di due cittadini cinesi.

2. Avverso il citato provvedimento l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, denunciando il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del P. quanto alla partecipazione al reato associativo sulla base di due argomentazioni: a) che a fronte dei numerosi reati-fine configurati, il P. era stato ritenuto gravemente indiziato soltanto del reato contestato al capo B) 72 (che non è oggetto del ricorso); b) che, alla luce della predetta osservazione, risultava evidente che il rapporto di collaborazione durato due anni tra l’indagato ed il T. era riferibile ad attività lecite per le quali il P. era stipendiato; tanto emergerebbe anche dalla documentazione prodotta dalla difesa – del tutto trascurata dal tribunale – volta a dimostrare che due delle ditte ritenute fittizie erano preesistenti ai fatti in contestazione e, pertanto, non potevano essere state costituite ad hoc. Con la memoria depositata il 27.12.2010 il ricorrente sostanzialmente ribadisce le censure mosse al provvedimento impugnato.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Con specifico riferimento alla motivazione dei provvedimenti emessi nella fase cautelare, il vaglio demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

Orbene, la motivazione della ordinanza impugnata sullo specifico punto contestato dal ricorrente (gravità indiziaria in ordine alla partecipazione al sodalizio) si sottrae alle censure che le sono state mosse perchè ha rappresentato con argomenti logici e coerenti le ragioni che hanno indotto il giudice a ritenere sussistente a carico del P. un consistente quadro indiziario connotato dalla necessaria gravità.

Il tribunale, infatti, ha sottolineato come dalle circostanze acquisite emergesse una stretta collaborazione dell’indagato con il T., figura apicale dell’organizzazione, funzionale all’attività illecita in contestazione svolta quasi esclusivamente dal T.. Il fatto che il P. fosse incaricato costantemente di provvedere alle formalità amministrative relative alle imprese che poi erano risultate create fittiziamente allo scopo di formalizzare i falsi contratti di lavoro emergeva dalle dichiarazioni del responsabile dello Studio (OMISSIS) che si occupava delle iscrizioni alla Camera di Commercio e dell’apertura delle partite IVA. Tale significativo elemento non può ritenersi contraddetto, invero, nè dal fatto che il P. avesse svolto per conto del T. anche alcune mansioni estranee all’attività criminosa, nè, all’evidenza, dal fatto che l’indagato avesse svolto attività di per se lecite, ma finalizzate alla realizzazione del programma criminoso, avendone piena consapevolezza.

Neppure l’argomentazione del ricorrente che tra le imprese indicate come fittizi datori di lavoro ve ne fossero due che risultavano preesistenti ai fatti risulta in contraddizione logica con quanto valutato dal giudice del riesame. Infatti, elemento significativo è stato ritenuto il fatto che dagli accertamenti era emerso che si trattava di imprese che in realtà non svolgevano alcuna attività.

Correttamente il tribunale ha sottolineato come il fatto che l’indagato dal febbraio all’agosto 2009 avesse svolto attività finalizzate a consegnare, dietro pagamento di somme di danaro, buste paga false e dichiarazioni di lavoro inesistente in favore di due cittadini cinesi (non contestato dal ricorrente) costituisca conferma univoca della suddetta valutazione. Come è stato ricordato dallo stesso ricorrente, l’appartenenza al reato associativo ben può essere ritenuta in base alla partecipazione ad un solo reato-fine laddove il ruolo svolto e le modalità dell’azione presuppongono un sicuro rapporto fiduciario con latri compartecipi e siano perciò tali da evidenziare la sussistenza dei vincolo (Sez. 3, n. 42822, 16/10/2008, Romeo, rv. 241628; Sez. 1, n. 6308, 20/01/2010, Ahmed, rv. 246115).

Nella specie, il provvedimento impugnato ha evidenziato compiutamente come la vicenda contestata all’indagato al capo B)72, connotata peraltro da una attività prolungata nel tempo, sia espressione chiara del fatto che il P. fosse un anello fondamentale dell’organizzazione che aveva i contatti sia per le pratiche amministrative relative alle imprese che risultavano assumere in maniera fittizia gli stranieri, sia con i soggetti ai quali venivano procacciati i documenti finalizzati alla regolarizzazione.

In conclusione, risultando manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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