Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-03-2011, n. 6990 Cortile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del dicembre 1990 C.C., A.N., I.G., A.B., A.G. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Messina B.S. deducendo che costui aveva acquistato dalla E.D.L.P spa un cortile ubicato nello stabile di M.I. da essi abitato, sul quale vantavano un diritto di parcheggio. Chiedevano, pertanto, la declaratoria di nullità dell’atto ed il riconoscimento del loro diritto di parcheggio sul cortile.

Il convenuto contestava la domanda. Alcuni attori rinunziavano agli atti del giudizio. Veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della curatela del fallimento della ED.L.P. e, con sentenza n. 4376/2001, il Tribunale, previa ctu, in accoglimento della domanda, dichiarava che la proprietà del cortile competeva ai condomini e che esso era vincolato a parcheggio, ordinando al B. di rimuovere il cancello che impediva l’accesso;

dichiarava inefficace nei confronti degli attori l’atto di vendita del 27.11.1990. Proponeva appello il B., resistevano C., A.B., F.R., nonchè S. e A.L. e A.C., n.q. di eredi di A. G. e, a seguito del decesso dell’appellante, i suoi eredi e la Corte di appello di Messina, con sentenza n. 218/2005, dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda spiegata da I.G., L.M. (chiamata in causa iussu iudicis), A.N., rigettava per il resto l’appello e condannava gli eredi B. alle spese.

La Corte di appello, premesso che secondo un orientamento giurisprudenziale ormai largamente consolidato a partire da Cass. S.U. 6600 – 6601 – 6602/84, la L. n. 65 del 1967, art. 18 ha creato un vincolo di destinazione inderogabile sulle aree progettualmente destinate a parcheggio e che gli atti di disposizione di dette aree, se volti a sottrarle al vincolo, sono nulli; che la società costruttrice non si era riservata la proprietà del cortile e l’atto di acquisto del B. era posteriore a quello degli appellati; che l’area era pertinenza dell’edificio ed automaticamente trasferita, salva espressa volontà contraria del proprietario, che risultava solo in relazione all’atto stipulato con la C., è pervenuta alla conclusione di cui sopra.

Ricorrono B.M., B., C., eredi di B.S., con due motivi, illustrati da memoria, non svolgono difese le altre parti.
Motivi della decisione

Col primo motivo si lamenta violazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies della L. n. 47 del 1985, art. 26, degli artt. 841, 1117, 1418 e 1419 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perchè la Corte di appello ometteva l’esame degli atti pubblici che interessavano i rapporti tra i resistenti, che non avevano rinunziato al giudizio e non considerava, in punto di fatto, che lo spazio esterno riservato per parcheggio non era costituito solamente dal cortile trasferito ma comprendeva altra zona dello spazio di isolamento di mq 147 che era rimasta a disposizione dei resistenti per il parcheggio, e della quale avevano usufruito, come risultava dalla ctu.

La Corte di appello non poteva fare riferimento ad atti di parti non in causa per l’intervenuta rinunzia.

Col secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 102, 161, 354 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 perchè, giuste le risultanze della ctu, il cancello ricade nella parte del cortile di proprietà della Italmobili e la Corte di appello avrebbe dovuto di ufficio rilevare la situazione di fatto e dichiarare la nullità della sentenza di primo grado.

Le censure, come proposte, non meritano accoglimento.

La Corte di appello , come riportato, ha fondato la propria decisione sulla circostanza che la venditrice non aveva operato alcuna riserva di proprietà sull’area, ad eccezione che nell’atto in favore della C..

Le odierne doglianze, pur sotto la apparente deduzione di violazione di legge, sollecitano un riesame del merito non consentito in questa sede, proponendo questioni in parte nuove, che non risultano trattate in precedenza dall’esame delle conclusioni delle parti e dei motivi di appello esaminati, ed invocando, peraltro, una contestuale violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ritenuta inammissibile da questa Corte Suprema (Cass. 25.11.2008 n. 28066).

I ricorrenti avrebbero dovuto prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal giudice a quo, relativamente a ciascuno degli atti presi in considerazione nella motivazione della sentenza, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto giudice, avrebbero potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta applicazione d’altre norme ed istituti, dacchè la disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà negoziale delle plurime parti alle quali è fatto riferimento in ricorso, e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa(Cass. 21.7.03 n. 11343, 30.5.03 n. 8809, 28.8.02 n. 12596).

E’ ben vero che i ricorrenti hanno inteso in qualche modo censurare la valutazione degli atti de quibus effettuata dal giudice a quo ed hanno, all’uopo, svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, se pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Quanto, poi, al vizio di motivazione, la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa;

diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nè può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, nè nel loro complesso nè nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidendi dell’impugnata sentenza sulle questioni de quibus, bensì a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a quo e più rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, ciò che non soddisfa affatto alla prescrizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto si traduce nella prospettazione d’un’istanza di revisione il cui oggetto è estraneo all’ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimità, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni.

Quanto al secondo motivo i ricorrenti ammettono che la questione prospettatavi, in vero, non ha formato oggetto di trattazione nel giudizio d’appello, tanto che invocano i poteri di ufficio del giudice, senza chiarire la rilevanza ed incidenza di quanto solo oggi proposto, che potrebbe eventualmente emergere in sede di esecuzione o di eventuale opposizione di terzo.

Nè può essere ipotizzata una omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, che dev’essere fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma già 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366).

La questione, introducendo aspetti completamente nuovi ed implicando accertamenti in fatto e, comunque, decisione su elementi di giudizio pure in fatto che non hanno formato oggetto di contraddittorio nella fase di merito, stanti la natura ed i limiti del giudizio di legittimità, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto nello stesso già proposte, non può essere presa in considerazione.

In proposito questa Corte ha, infatti, avuto ripetutamente occasione d’evidenziare come i motivi del ricorso per cassazione debbano investire, a pena d’inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame e che siano, dunque, già comprese nel thema decidendum del giudizio di secondo grado quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, mentre non è consentita, la prospettazione di questioni che modifichino la precedente impostazione difensiva ponendo a fondamento delle domande od eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nella fase di merito o questioni di diritto fondate su elementi di fatto nuovi o diversi da quelli dedotti in detta fase (e pluribus, da ultimo, Cass. 29.12.03 n. 1273, 22.10.02 n. 14905, 16.9.02 n. 13470, 21.6.02 n. 9097, ma già Cass. 9.12.99 n. 13819, 4.10.99 n. 11021, 19.5.99 n. 4852, 15.4.99 n. 3737, 15.5.98 n. 4910).

La memoria, infine, non si limita ad illustrare i motivi, ma propone questioni nuove.

In definitiva i ricorso va rigettato, senza pronunzia sulle spese, stante la mancata costituzione delle controparti.
P.Q.M.

LA Corte rigetta il ricorso.

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