Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-03-2011, n. 6989 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 20.4.1996 C.F., premesso di essere coniugato in regime di comunione legale con M.F. L. e che erano domiciliati presso uno stabile in agro di (OMISSIS), composto da nove appartamentini, esponeva che, con provvedimento del 28.2.1995 in virtù di precedente ricorso per separazione coniugale, erano stati autorizzati a vivere separati e, in conseguenza, ognuno aveva abitato in maniera esclusiva uno di tali appartamentini, conservando le chiavi di accesso di tutti gli altri nei quali si trovavano beni mobili di natura personale.

Esponeva che l’11.4.1995, tornato a casa, aveva trovato tale N. P. che sostituiva la serratura di uno dei restanti appartamentini su incarico della M. e che il 22.4.1995 aveva trovato sostituito il congegno di apertura del cancello principale, al quale era stata apposta una grossa catena con lucchetto con manomissione dei congegni di apertura anche della sua abitazione oltre che degli appartamentini. Stante il rifiuto della M. di fornire le chiavi, impedendo l’acceso al complesso, aveva proposto ricorso possessorio il 13.7.1995, che era pendente, mentre citava la M. davanti al tribunale di Lucera per la reintegra nel compossesso ed i danni.

Costituitasi la convenuta, con sentenza 115/2001 il tribunale di Lucera, sezione di Rodi Garganico, rigettava la domanda attrice e quella della convenuta per lite temeraria, con condanna alle spese del C., che proponeva appello, rigettato dalla Corte di appello di Bari con sentenza 50/2005, che rilevava la sostanziale identità delle domande del giudizio possessorio e di quello sottoposto al suo esame, a nulla rilevando la richiesta di danni posto che l’azione di risarcimento dei danni in materia possessoria è accessoria e può essere proposta autonomamente nel giudizio di merito conseguente alla fase sommaria del procedimento possessorio.

Ricorre C. con due motivi, non resiste controparte.
Motivi della decisione

Col primo motivo si deducono violazione dell’art. 1168 c.c., degli artt. 703, 669 octies e novies c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 insufficiente e contraddittoria motivazione, posto che la decisione di instaurare il secondo giudizio potrà apparire bizzarra oggi ma nel 1996 aveva le sue ragioni di prudenza stante l’incertezza interpretativa.

Alla data della notifica della citazione il giudizio possessorio si trovava nella fase sommaria, l’ordinanza interdettale fu pronunciata solo il 5.6.1997 e nel disporre la reintegrazione, fissò il termine di trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito che non venne instaurato dal momento che trovavasi già pendente in forza della citazione del 20.4.1996.

Non vi era litispendenza, data l’ampiezza della seconda causa. Col secondo motivo si lamentano violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizi di motivazione perchè la Corte di appello ha ritenuto che non vi fosse obbligo di pronunciare sulla domanda risarcitoria sol perchè può essere proposta autonomamente nel giudizio possessorio conseguente alla fase sommaria. Osserva questa Corte Suprema:

A prescindere dalla contestuale deduzione di vizi di violazione di legge e di motivazione, caratteristica di entrambi i motivi, senza rispettare l’obbligo della necessaria specificità dell’impugnazione (Cass. 25.11.2008 n. 28066), è pacifico ed incontestato che alla data di proposizione della citazione nel presente giudizio era pendente, ancora nella fase sommaria, il procedimento possessorio. La Corte di appello ha rilevato l’identità sostanziale delle due cause, a nulla rilevando che, nella seconda, fosse stata introdotta l’azione di danni, donde il rigetto della domanda che equivaleva ad una sostanziale inammissibilità.

Ciò premesso, la dedotta incertezza interpretativa, atteneva alla fase successiva al provvedimento interdettale, nella specie ancora non intervenuto e riguardava la bifasicità o meno del giudizio possessorio, se cioè concesse o negate le misure interdettali, il giudizio dovesse proseguire o meno davanti allo stesso giudice all’udienza da questi fissata, senza bisogno di nuova citazione (cfr.

Cass. S.U. 24.2.1998 n. 1984, Cass. 15.4.2002 n. 5426).

Nella specie, scelta la via del ricorso, non poteva darsi luogo ad altro giudizio sostanzialmente identico e, comunque, doveva osservarsi il termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito, eventualmente chiedendo la riunione delle due cause.

In ogni caso, il vizio di motivazione devesi considerare come la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Come ripetutamente evidenziato, poi, da questa Corte, l’omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma già 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260. 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366).

Perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere – dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

Nella specie, il ricorrente non ha rispettato alcuna delle evidenziate condizioni, onde la censura di omessa pronunzia, quand’anche la si potesse ritenere proposta, sarebbe inammissibile.

In definitiva il ricorso va rigettato, senza pronunzia sulle spese, data la mancata costituzione di controparte.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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