Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-11-2010) 11-02-2011, n. 5130 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Le sentenze di merito.

Dalle due sentenze di merito, emesse a seguito di rito abbreviato, – Gup presso il Tribunale di Roma del 29 maggio 2007 e Corte di Appello della stessa Città del 3 ottobre 2008 – emergeva che le indagini avevano inizio a seguito della trasmissione a Roma di uno stralcio da un procedimento (OMISSIS) pendente dinanzi la Procura di Perugia, nell’ambito del quale erano emersi elementi che evidenziavano l’esistenza di una compagine di trafficanti di sostanze stupefacenti operante autonomamente a Roma.

Le indagini si sviluppavano con intercettazioni telefoniche ed ambientali di numerosi soggetti indagati; alcune intercettazioni ambientali venivano eseguite presso il carcere di Frosinone, ove era detenuto anche il Pa.Ca..

I servizi di appostamento effettuati in stretta correlazione con le intercettazioni telefoniche ed ambientali consentivano non solo la individuazione di numerose persone coinvolte negli illeciti traffici, ma anche il sequestro di ingenti quantitativi di cocaina ed hashish – sedici tonnellate in una occasione e due tonnellate e mezzo in una altra -.

Si accertava, inoltre, che il trasporto delle ingenti quantità di sostanza avveniva anche per mezzo di motonavi, come dimostrato dal sequestro a Fiumicino il 17 dicembre 1999 del motopeschereccio (OMISSIS) e dai traffici eseguiti con le motonavi (OMISSIS).

Le indagini si avvalevano anche dell’apporto delle autorità di polizia spagnole perchè i traffici di sostanze stupefacenti, che hanno dato origine al presente procedimento penale, si sviluppavano tra l’Italia, la Spagna, il Marocco ed il Sud America.

I servizi di appostamento consentivano anche l’arresto in flagranza di reato di alcuni indagati e, come già detto, il sequestro di ingenti quantità di sostanze stupefacenti.

La lettura complessiva del materiale di indagine consentiva, secondo quanto precisato dai giudici del merito, di provare la operatività di una organizzazione criminale di notevole spessore, che si muoveva nell’ambito del narcotraffico internazionale, al centro della quale si poneva Pa.Ca., elemento di vertice della omonima cosca della ndrangheta di Palmi, nonchè il latitante A. M., separatamente giudicato.

Accanto a tale sodalizio operavano altre associazioni, quali l’organizzazione facente capo a T.G., Am.

G. e Ci.Da. ed il gruppo Sa.Ma., Pe.Fa. e D.R.C..

Gli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali consentivano di accertare che il gruppo facente capo al Pa.

C. aveva una base operativa a Roma, ove molti degli indagati operavano trasferendo danaro nella Penisola iberica ed importando le sostanze stupefacenti.

Esponenti del gruppo si incaricavano poi di immettere sul mercato romano gli ingenti quantitativi di sostanza stupefacente importata.

Fatta tale premessa, necessaria per comprendere l’entità dei fatti in discussione e le modalità di conduzione delle indagini, per una migliore intelligenza delle questioni poste con i ricorsi appare opportuno esaminare distintamente le posizioni dei singoli ricorrenti.

2) Le posizioni dei singoli ricorrenti.

2.1) M.G.B..

M.G.B. è stato ritenuto colpevole degli episodi di spaccio di cui ai capi di imputazione 24), 26) e 27) ed è stato condannato dalla Corte di merito, che gli ha ridotto la pena inflitta in primo grado, ad anni quattro di reclusione.

L’affermazione di responsabilità è fondata sugli esiti di intercettazioni telefoniche; dalle stesse è emersa, secondo la Corte di merito, chiara la responsabilità del M. per l’acquisto di hashish di cui al capo 24) con pagamento in conto vendita, responsabilità non messa in dubbio dall’imputato.

Quanto agli altri due capi, i giudici di merito ritenevano che il M. fosse tra i finanziatori di una importazione di sostanza stupefacente dalla Spagna non andata a buon fine e che avesse ceduto droga ad una persona rimasta ignota – capo 27) della rubrica -.

Con il ricorso per cassazione M.G.B., che non ha contestato, come già detto, l’affermazione di responsabilità per i fatti di cui al capo 24), ha dedotto la nullità della sentenza per illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i fatti di cui al capo 26) di imputazione.

Il ricorrente, dopo avere rilevato che la condanna era fondata su una unica telefonata – T. chiedeva a M. dimmi solamente, dimmi si o no, ricevendo risposta si però in parte. Hai capito? -, equivoca, sosteneva che la promessa di versamento di danaro non era riferibile al finanziamento per l’operazione spagnola, ma per il pagamento della partita acquistata con pagamento in conto vendita e di cui al capo 24).

Anche in ordine alla ritenuta responsabilità per i fatti di cui al capo 27) il M. deduceva il vizio di motivazione perchè in una telefonata con tale Fa. il M. prendeva un appuntamento, senza che si sia potuto dimostrare essere avvenuto l’incontro.

Tuttavia dopo aver parlato con il M. il Fa. chiamò una persona rimasta ignota chiedendo se avesse ricevuto la droga; da tale telefonata i giudici hanno tratto illogicamente la conclusione che lo sconosciuto fosse cliente del M. e che da questi avesse ricevuto la droga.

I motivi posti a sostegno del ricorso del M. sono fondati.

Fermo restando la affermata responsabilità del M. in ordine al reato di cui al capo 24) della rubrica, sulla quale, peraltro, non vi è alcuna doglianza del ricorrente, non appare logica la motivazione che sorregge la condanna del ricorrente in ordine agli altri due episodi contestati, ovvero il presunto finanziamento di una partita di stupefacente proveniente dalla Spagna ed in seguito sequestrata dalle forze di polizia a Barcellona e la presunta cessione di sostanza stupefacente ad una persona ignota.

Di entrambi gli episodi se ne ha conoscenza per effetto di due intercettazioni telefoniche.

Per quanto riguarda il finanziamento la Corte di merito ha dato per scontato che l’acquisto di sostanza di cui al capo 24) non venne immediatamente pagato dal M., perchè lo stesso si era accordato di pagare la merce a seguito della vendita al minuto, ovvero, come detto in gergo, in conto vendita.

In una telefonata di alcuni giorni dopo la operazione indicata sembra che il M. colloquiando a telefono parlasse di corresponsione di danaro e tale valutazione, che è di merito, non può essere messa in dubbio in questa sede di legittimità.

La Corte di merito ha ritenuto che tale conversazione si riferisse al finanziamento di una nuova operazione di importazione dalla Spagna, mentre il ricorrente ha sostenuto che i due interlocutori si riferissero al pagamento della merce già acquistata e di cui al capo 24) delle imputazioni.

Orbene, essendo possibili entrambe le opzioni, tenuto conto del tenore della conversazione per come riportato in sentenza, la Corte avrebbe dovuto spiegare logicamente perchè la conversazione era riferibile con certezza al finanziamento del nuovo traffico e non al pagamento della cessione già avvenuta, cosa che, invece, non è stata fatta, apparendo l’affermazione di responsabilità per l’operazione di cui al capo 26) apodittica.

Ciò è tanto più vero se si considera che non appare del tutto logico ritenere il M. debitore per la partita di cui al capo 24) e contemporaneamente finanziatore per la operazione di cui al capo 26) della rubrica.

Si impone, pertanto, un nuovo esame della vicenda.

Alle stesse conclusioni si deve pervenire per quanto riguarda la cessione di cui al capo 27) della rubrica.

E’ del tutto pacifico che M. abbia avuto una conversazione telefonica con tale Fa.Ma. e si può anche convenire con i giudici del merito che tale conversazione avesse avuto ad oggetto un futuro incontro da fissare per eventuale cessione di droga; di tale incontro poi non si è saputo più nulla.

E’ altresì pacifico che dopo avere parlato a telefono con M., Fa. abbia parlato con una persona rimasta ignota che aveva ricevuto sostanza stupefacente.

Orbene ciò che non si comprende è in base a quali elementi certi si possa ritenere che questa persona ignota abbia ricevuto la sostanza stupefacente dal M.; le due telefonate ravvicinate e la circostanza che presumibilmente tale ignoto fosse un acquirente costituiscono indubbiamente dei fatti, ma non si comprende in base a quali elementi l’ignoto debba essere ritenuto un cliente abituale del M. e in base a quali elementi si debba ritenere che la cessione di cui alla telefonata Fa. – Ignoto debba essere ascritta al M..

Vi è un salto logico che deve essere superato.

Per le ragioni indicate la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alle imputazioni di cui ai capi numeri 26) e 27) con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo esame.

Il ricorso del M. deve essere rigettato nel resto con riferimento al capo di imputazione n. 24).

2.2) F.M..

F.M. è stato condannato ad anni cinque di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa per gli episodi di spaccio di sostanze stupefacenti di cui ai capi 33) e 40) della rubrica.

L’affermazione di responsabilità è fondata sugli esiti di intercettazioni ambientali eseguite a bordo della autovettura di T.G., il quale conversando con R.M., D. R.C. e lo stesso F., detto (OMISSIS), discuteva delle forniture attribuite al ricorrente.

F.M. con il ricorso per cassazione deduceva il vizio di motivazione e la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Il ricorrente rilevava in primo luogo che vi erano differenze tra quanto trascritto dal perito e quanto contenuto nel brogliaccio predisposto dagli agenti operanti;

riteneva poi illogica la identificazione del F. tramite i soprannomi, uno dei quali nemmeno individuato dal perito.

Inoltre le conversazioni tra il T. ed il D.R. erano chiacchiere e non costituivano indizi a carico del F..

Riteneva, infine, una deduzione e non una prova a carico quella concernente la pretesa consegna di cento trenta grammi di cocaina al T..

Il ricorrente con un secondo motivo denunciava il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

Il primo motivo di impugnazione è infondato, mentre il secondo è inammissibile perchè si risolve in censure di merito della decisione impugnata non consentite in sede di legittimità.

Anche il primo motivo di impugnazione è ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente ha sollecitato la Corte di legittimità a verificare la relazione peritale ed a confrontarla con il brogliaccio predisposto dagli agenti operanti al fine di individuare dei pretesi contrasti.

Non è questo il compito del giudice di legittimità perchè l’esame e la valutazione del materiale probatorio compete ai giudici dei primi due gradi di giurisdizione.

Inoltre si versa in tema di rito abbreviato cosicchè i brogliacci redatti dagli agenti operanti acquisiti agli atti legittimamente possono essere utilizzati a fini di prova.

In ogni caso nella specie i giudici del merito hanno dato atto dell’esame delle intercettazioni ambientali eseguite ed hanno spiegato in modo preciso per quale ragione (OMISSIS) fossero due soprannomi riferibili al F..

Essi, infatti, hanno chiarito che ciò emergeva non solo dal tenore delle telefonate, ma anche da indagini di polizia, che accertavano che negli ambienti della malavita romana esattamente quelli indicati erano i soprannomi del F..

Si tratta di un accertamento di merito che, in quanto sorretto da una logica motivazione, non può essere messo in discussione in questa sede di legittimità.

Definire poi semplici chiacchiere quelle intercorse nelle conversazioni del T.G., personaggio di notevole caratura criminale nell’ambito dei mercanti di sostanze stupefacenti, con i suoi interlocutori costituisce affermazione priva di significato.

Ciò non solo perchè si trattava di mercanti che traevano il loro sostentamento proprio da tali traffici e che, pertanto, non facevano chiacchiere, ma affari, ma anche perchè, come si desume dalle motivazioni di entrambe le sentenze di merito, le pretese chiacchiere venivano seguite da fatti concreti.

Piena capacità dimostrativa hanno, quindi, gli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali in discussione.

Quanto alla cessione di cento trenta grammi di cocaina al T. le deduzioni del ricorrente sono di merito; la Corte di secondo grado, che ha dedicato ampio spazio a questa questione, ha chiarito che dalle intercettazioni risultava con chiarezza che il T. aveva ordinato al F. una partita di sostanza stupefacente;

è risultato altresì che una sera il ricorrente effettuò la consegna.

Gli inquirenti, che avevano sotto controllo il T., hanno accertato, anche attraverso il gps dell’auto del T., che questi quella notte non si mosse da casa.

La mattina seguente i militari a seguito di perquisizione sequestrarono tredici grammi di sostanza rinvenuta in possesso di Sa.Ma., che stava uscendo da casa T., e cento venticinque grammi in casa del T..

Del tutto logica ed immune da censure in punto legittimità appare la deduzione che quei cento trenta grammi fossero esattamente quelli consegnati la sera precedente dal F. al T..

Quanto, infine, all’episodio di cui al capo di imputazione n. 40) va detto che i giudici del merito hanno rinvenuto la prova di tali fatti nella conversazione registrata del 12 marzo 2004 tra D.R. e T., come rilevato dallo stesso ricorrente.

Per le ragioni già esposte non si tratta di semplici chiacchiere, ma di elementi dai quali è possibile desumere una responsabilità del ricorrente.

Quanto al motivo sul trattamento sanzionatorio va detto che, come si è già preannunciato, si tratta di generiche deduzioni di merito perchè i giudici dei primi due gradi di giurisdizione hanno messo in evidenza la gravità delle condotte del F., dal momento che venivano commerciate quantità rilevanti di sostanze stupefacenti, e la modesta entità della pena, posto che era stata determinata in misura appena superiore al minimo edittale, con modesto aumento per la continuazione.

Si tratta di valutazioni di merito non censurabili in sede di legittimità.

Conclusivamente il ricorso del F. deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.3) D.R.C..

D.R.C., detto il (OMISSIS), è stato condannato alla pena di anni cinque e mesi otto di reclusione per partecipazione a due associazioni dedite allo spaccio di stupefacenti e per numerose violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

La prova della sua responsabilità è desunta da numerose conversazioni intercettate nel corso delle quali il D.R. usava un linguaggio criptico; forte emergeva il suo legame con T. G., nelle more deceduto, uno dei capi della associazione descritta al capo 22) della rubrica.

Con il ricorso per cassazione D.R.C. ha dedotto il vizio di motivazione, essendo la stessa carente principalmente con riferimento alla ritenuta responsabilità per i delitti associativi.

Il D.R. aveva un rapporto di dipendenza dal T. ed aveva rapporti esclusivamente con lui e non con altri presunti associati, cosicchè la prova di una sua consapevole partecipazione alla associazione non era ravvisabile.

In effetti la partecipazione del ricorrente ad alcune attività illecite sarebbe stata configurabile come attività di concorso nei singoli reati attribuiti al T. e non come una dolosa adesione ad una consorteria criminale.

Non sarebbe, infine, ravvisabile l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 in relazione ai capi di imputazione numeri 23) e 26).

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da D.R.C. non sono fondati.

Va in primo luogo posto in evidenza che il ricorrente non si duole della affermazione di responsabilità per gli episodi di spaccio di sostanze stupefacenti a lui ascritti, ma soltanto della ritenuta partecipazione a due associazioni dedite al traffico di stupefacenti.

Ora se è vero che dal semplice concorso in reati fine non si può desumere la partecipazione ad una associazione dedita al traffico degli stupefacenti, è pure vero che la ripetuta attività di collaborazione con gli stessi soggetti costituisce un indice importante per ritenere l’adesione al gruppo criminale.

Ebbene nel caso di specie è fuori contestazione che il D.R. abbia partecipato in concorso con il T., capo delle organizzazioni, e con altri ad attività di spaccio e ciò non può essere sottovalutato anche ai fini di ritenere la sua partecipazione alle associazioni.

Inoltre la Corte territoriale ha sottolineato che il D.R., detto il (OMISSIS), parlava spesso a telefono ed utilizzava un linguaggio criptico e spesso ambiguo al fine di non consentire che eventuali ascoltatori potessero comprendere il contenuto della conversazione;

la Corte ha osservato come si tratti di un comportamento tipico di chi faccia parte di un gruppo organizzato perchè i singoli partecipi usano un linguaggio difficilmente decifrabile da chi sia esterno al gruppo.

E questo costituisce un ulteriore indice di partecipazione alla associazione, che non è stato nemmeno contestato dal ricorrente.

Non è poi vero, come sostenuto dal ricorrente, che il D.R. avesse rapporti soltanto con il T., posto che la Corte territoriale ha raccontato un episodio significativo non contestato dal D.R.; subito dopo una telefonata con il T. che lo invitava ad una riunione presso un bar, il D.R., che era sorvegliato dalla polizia, si recò al bar indicato ove si incontrò con T. e con un altro capo della organizzazione A. F..

Questo episodio non solo dimostra che il D.R. non avesse rapporti esclusivamente con il T., ma anche che era a completa disposizione del gruppo criminale.

La Corte territoriale ha inoltre posto in evidenza che in una importante operazione di spaccio di duecento venti chilogrammi di hashish D.R.C. si comportò come diretto referente del gruppo Trombetta – Amendola – Cittadini deputato ai rapporti con Sa.Ma. e Pe.Fa. nella intermediazione dell’acquisto di hashish, mantenendo nel contempo un costante e privilegiato rapporto operativo con il T..

Siffatte circostanze, di sicuro rilievo perchè mettono in evidenza il fatto che il D.R. avesse rapporti anche con altri associati e che aveva assunto in seno al gruppo un ruolo di grande rilievo, sono state desunte dall’esito di numerose intercettazioni telefoniche;

ebbene sul punto non vi è alcuna specifica doglianza del ricorrente.

In base agli elementi indicati correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che il D.R. fosse inserito nei gruppi criminali indicati nei capi di imputazione e che anzi avesse in seno ad essi un ruolo per nulla marginale.

La valutazione dei giudici del merito non merita alcuna censura sotto il profilo della legittimità.

Quanto al problema della aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 relativa ai capi 23) e 26) della rubrica la motivazione della Core territoriale, secondo la quale la partecipazione del D.R. a molteplici attività volte a favorire l’importazione nel nostro Paese di rilevanti partite di droga non consentivano di escludere l’aggravante in discussione, non merita censure sotto il profilo della legittimità, tenuto anche conto della obiettiva ingente quantità di stupefacente importato.

Il ricorso deve, quindi, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.4) M.M..

M.M., detto (OMISSIS), è stato condannato per un episodio di spaccio descritto al capo 28) – traffico di stupefacenti dal Marocco ed organizzato in Spagna, ove l’imputato si era stabilito (Costa del Sol) – alla pena di due anni di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa, condizionalmente sospesa, avendo la Corte di merito escluso l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 e ritenuto le attenuanti generiche prevalenti sulla residua aggravante.

Gli elementi di accusa erano tratti essenzialmente da una conversazione intercettata di T.G., successivamente deceduto, e da colloqui del M. con linguaggio criptico.

Con il ricorso per cassazione M.M. deduceva:

1) il vizio di motivazione in ordine alla dimostrazione della prova generica del traffico in discussione, anche perchè la Corte di merito non aveva tenuto conto delle critiche dell’appellante alla motivazione della decisione di primo grado;

2) il vizio di motivazione in ordine alla prova specifica, avendo l’appellante richiesto una perizia fonica che dimostrasse che l’interlocutore del coimputato Am. fosse il M., dal momento che la identificazione poggiava sull’unico elemento che il Ma. di cui alla telefonata avesse una convivente di nome Si. come il M.;

3) la nullità della sentenza per avere ritenuto consumato il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, mentre, tutto al più, si sarebbe potuto parlare di tentativo, non potendosi desumere dal colloquio del T. con uno sconosciuto, avvenuto, peraltro, a distanza di molti mesi dal fatto, che il traffico si fosse consumato;

4) la omessa motivazione in punto trattamento sanzionatorio, dovendosi applicare nel caso di specie la normativa previgente a quella introdotta con il D.L. n. 272 del 30 dicembre 2005.

I motivi di ricorso di M.M. non sono fondati.

I motivi proposti in effetti sono ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente ha, in buona sostanza, censurato le valutazioni di merito compiute dai primi giudici, più che dolersi di manifeste illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

In ogni caso, pur volendo prescindere da tale, comunque, corretto rilievo, va detto che i motivi dedotti non consentono di pervenire ad un annullamento della sentenza emessa nei confronti del M..

La Corte di merito ha spiegato che le conversazioni intercettate che concernono il traffico in discussione sono state interpretate con il dovuto rigore e con la necessaria attenzione perchè i loquentes utilizzavano un linguaggio criptico, tipico di chi stia organizzando e realizzando traffici illeciti.

L’interpretazione e la valutazione delle telefonate intercettate compete, come è noto, ai giudici del merito che quando, come è avvenuto nella specie, sono frutto di esame rigoroso, favorito dalla esperienza maturata in tale tipo di delicata attività, non sono censurabili in sede di legittimità.

Che il traffico di cui al capo 28) vi sia stato è, quindi, questione fuori dubbio.

La Corte ha, altresì, spiegato che si è trattato di una importazione consumata perchè T.G., che aveva un rilevante interesse alla vicenda, avendo finanziato l’operazione con il versamento di una somma di Euro 33.000,00, somma che intendeva recuperare, parlando con un amico, al quale aveva raccontato la vicenda, aveva confermato che l’importazione era avvenuta e che, pertanto, poteva recuperare il danaro investito.

La conclusione alla quale sono pervenuti i giudici del merito non è contraddetta da nessun elemento processuale.

Vanno, pertanto, rigettati il primo ed il terzo motivo di impugnazione del M..

Quanto al problema della identificazione di uno dei loquentes con M.M., va detto che la motivazione della sentenza impugnata sul punto non merita alcuna censura sotto il profilo della legittimità, nè può essere accolta la richiesta del ricorrente di una perizia fonica, richiesta, peraltro, non formalmente avanzata con la deduzione della violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d).

La Corte ha logicamente spiegato che una informativa del ROS aveva indicato le ragioni che avevano consentito di individuare il Ma. delle conversazioni con il ricorrente, spiegando, tra l’altro, che dalle telefonate emergeva che il Ma. aveva una compagna di nome Si. e che effettivamente il M. aveva una compagna, con lui residente, di tal nome.

Si tratta, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, di un elemento di sicuro rilievo che ha confermato la identificazione del loquens compiuta dal ROS. La richiesta di perizia fonica disattesa dalla Corte di merito non può essere accolta in sede di legittimità perchè, per giurisprudenza costante, la perizia non costituisce una prova decisiva, avendo valenza neutra ed essendo demandato al giudice il compito di valutare l’opportunità di disporre accertamenti tecnici.

Nel caso di specie la Corte ha logicamente spiegato, come si è già detto, che la certezza che uno degli interlocutori delle intercettazioni fosse proprio il ricorrente era desumibile da altri elementi, cosicchè l’espletamento di una perizia fonica appariva superfluo.

Quanto, infine, alla pena, particolarmente contenuta per il tipo di reato commesso, comminata al M., va detto che la stessa rientra senz’altro nei limiti edittali fissati dalla normativa previgente alle modifiche introdotte dalla L. n. 272 del 30 dicembre 2005; non è, pertanto, ravvisabile la dedotta nullità della sentenza impugnata.

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.5) C.C..

C.C. è stato ritenuto responsabile di partecipazione alla associazione dedita al traffico di stupefacenti organizzata da Pa.Ca. e del tentativo di importazione di cocaina con la motonave (OMISSIS) e condannato alla pena complessiva di anni cinque di reclusione.

Il C. era ritenuto uno dei finanziatori di operazioni illecite ed era stato anche arrestato dalla polizia doganale francese al confine con la Spagna unitamente a P.S. in possesso di ingente somma di danaro; in tale occasione fu il Pa.Ca. a prestare aiuto legale ed economico al C..

In precedenza il C. era stato arrestato in Fiumicino, sempre in compagnia del Pa.Sa. e presumibilmente del Pa.

C., in possesso quest’ultimo di una carta di identità falsa già esibita in un precedente controllo ad (OMISSIS) e di ingente somma di danaro.

Con il ricorso per cassazione C.C. deduceva la mancanza di motivazione in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, non potendosi ritenere sussistente il sodalizio criminoso, non essendo stata provata la esistenza di un organigramma e non essendo stato individuato il ruolo del ricorrente.

In siffatta situazione potrebbe essere ravvisabile un concorso in specifici episodi criminosi.

Il ricorrente deduceva, inoltre, il vizio di motivazione in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, non essendo stato provato il rapporto esistente tra gli imputati e B.V., proprietaria della imbarcazione che avrebbe dovuto trasportare la droga.

Infine il ricorrente lamentava mancanza di motivazione in ordine alla eccepita nullità delle intercettazioni di colloqui avvenuti in dialetto calabrese.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da C.C. non sono fondati.

La esistenza di una associazione dedita al traffico di stupefacenti facente capo al Pa.Ca. ed operante essenzialmente nell’area romana risulta con evidenza dalle considerazioni svolte nella sentenza impugnata.

Tra l’altro la motivazione della decisione di secondo grado può essere integrata da quella di primo grado, essendo le due sentenze conformi sul punto.

Ebbene i giudici di merito hanno chiarito che in base alle intercettazioni telefoniche, corroborate da fatti di particolare significatività, di cui si dirà, era rimasto accertato che il gruppo Parrello aveva una base operativa in Roma ed aveva il compito di raccogliere i finanziamenti necessari per la importazione di sostanze stupefacenti, danaro che per mezzo di corrieri veniva trasferito nella Penisola iberica, ove avvenivano di pagamenti.

Vi era una divisione di compiti all’interno della organizzazione; tra gli altri Pa.Sa., oltre al fratello Pa.An., e C.C. avevano il compito di raccogliere i finanziamenti e portarli in Spagna.

Compito assai delicato quest’ultimo perchè spesso si trattava di somme ingenti da trasportare, che, per ovvie ragioni, non potevano essere affidate se non a persone di completa fiducia del capo e della organizzazione criminale.

Tutte le operazioni si svolgevano sotto la costante direzione del Pa.Ca., che veniva contattato continuamente anche telefonicamente dagli altri associati.

Le indagini consentivano di accertare, inoltre, che il danaro spedito in Spagna confluiva per lo più nelle casse della agenzia di cambio Marbetravel di Marbella facente capo ad Av.Ma., altro elemento di spicco della organizzazione e per lungo tempo latitante.

Il gruppo, inoltre, si occupava anche della distribuzione della sostanza stupefacente nell’area romana, come dimostrato le cessioni di droga a P.G., T.G. e T. P..

Appare davvero difficile di fronte ad una organizzazione così complessa, peraltro necessaria per organizzare traffici di ingenti quantità di sostanza stupefacente trasportata anche con motonavi, affermare apoditticamente, come ha fatto il ricorrente, che mancano elementi per ritenere la esistenza di una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Si tratta di una affermazione apodittica perchè il ricorrente non si è preoccupato di contestare le singole e specifiche considerazioni e vicende dinanzi illustrate.

E’ sufficiente ricordare che secondo la giurisprudenza di legittimità per ritenere la esistenza di una associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 basta anche una organizzazione rudimentale e che quella in discussione non ha nulla di rudimentale apparendo anzi abbastanza sofisticata.

Non può essere messa in dubbio la partecipazione del C. alla predetta associazione perchè i giudici di merito hanno messo in evidenza la sua significativa vicenda del trasporto di danaro in Spagna insieme al Pa.Sa. ed al loro arresto.

La rilevanza del compito affidato al C., che doveva consegnare ben cento sessantacinque mila Euro, ed il fatto che l’assistenza legale per il suo arresto venne garantita dal Pa.

C., che si preoccupò anche di sostenere la famiglia del C., dimostrano che si trattava di un partecipe alla associazione e non di una persona che occasionalmente si era unita ai trafficanti.

D’altra parte non si tratta dell’unico episodio, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, perchè, come si desume dalla sentenza impugnata, il C. era già stato fermato in possesso di ingente somma di danaro in Fiumicino in compagnia di Pa.Sa. e presumibilmente del Pa.Ca. stesso.

Anche la particolare vicinanza al capo della organizzazione costituisce elemento non certo irrilevante nella valutazione complessiva.

Conclusivamente infondato si rileva il motivo di impugnazione concernente la pretesa insussistenza di una associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 facente capo al Pa.Ca..

Anche il secondo motivo di ricorso è privo di consistenza perchè la Corte territoriale ha lungamente spiegato le modalità della importazione di un ingente quantitativo di cocaina che sarebbe dovuta avvenire con la imbarcazione (OMISSIS).

La Corte territoriale ha illustrato tutti i movimenti del C., che era sottoposto ad osservazione da parte della polizia, in relazione a questa operazione; il ricorrente incontrò il (OMISSIS), St.Fo., il (OMISSIS), Ga., il Pa.Sa., raccolse danaro anche durante il viaggio in Spagna e venne poi arrestato dalla Dogana francese.

Ebbene tutti questi elementi non sono stati per nulla contestati dal ricorrente, che si è soffermato su aspetti marginali e scarsamente significati.

E’ fuori dubbio che i giudici di merito abbiano ampiamente provato la partecipazione con funzione di corriere di danaro del C. alla operazione in discussione.

Quanto alla pretesa nullità delle intercettazioni telefoniche in dialetto calabrese va detto che il motivo è infondato.

Certamente la prova a carico è costituita dalla registrazioni delle conversazioni, alle quali i difensori hanno accesso; correttamente gli inquirenti, al fine di facilitare il compito di giudici e difensori hanno anche depositato una traduzione in italiano delle registrazioni in dialetto.

Tale attività non è per nulla vietata dal legislatore e non comporta alcuna nullità o addirittura inutilizzabilità delle intercettazioni.

Tra l’altro è bene ricordare che si versa in ipotesi di rito abbreviato, cosicchè eventuali nullità o irregolarità non possono essere fatte valere.

Il ricorso del C. deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.6) Pa.Ca..

Il ricorrente, ritenuto uno degli organizzatori dell’associazione insieme ad Av.Ma., separatamente giudicato, e responsabile degli episodi di traffico di sostanze stupefacenti indicati in rubrica, è stato condannato alla pena di anni sedici di reclusione, oltre alle pene accessorie ed alla confisca ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies di tre beni immobili e di una auto BMW. Con il ricorso per cassazione Pa.Ca. ha dedotto:

1) la violazione della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies in relazione all’immobile sito in (OMISSIS) non rientrando il bene, di proprietà della Nuova Immobiliare Finanziaria, nella disponibilità del ricorrente.

Inoltre la disponibilità risalirebbe al 1990 mentre i primi reati – fine erano di nove anni successivi;

2) la violazione di legge ed il vizio di motivazione perchè, fatta eccezione per il capo 21), vi era assenza di prova sulla natura della sostanza trafficata e ritenuta stupefacente;

3) la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche espresse in dialetto calabrese e riportate trascritte in lingua italiana perchè soltanto i nastri contenenti le registrazioni nella versione originale costituiscono la prova vera e propria; il ricorrente indicava specificamente tutte le intercettazioni che sarebbero affette da inutilizzabilità;

4) la inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, non essendo stata precisata la ragione della indisponibilità degli impianti esistenti presso la Procura della Repubblica;

5) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74;

6) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’art. 56 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – capo 2) della rubrica -, essendo la prova lacunosa, ambigua e contraddittoria e mancando la prova sulla finalità della raccolta del denaro; il ricorrente poi passava in rassegna vari episodi di spaccio dimostrando la inesistenza di una prova sufficiente a carico dell’imputato;

7), 9), 10), 11) la mancanza di motivazione in ordine alla ricettazione ed al falso – capi 8, 12 13 e 14-;

8) la violazione di legge in relazione all’art. 56 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in relazione al capo 9), mancando la prova per ritenere esistente un tentativo di importazione di sostanza stupefacente;

12) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e con riferimento al capo 21) mancando la prova della condotta concorsuale del ricorrente.

I motivi del ricorso di Pa.Ca. non sono fondati.

Per maggiore chiarezza espositiva i motivi saranno discussi nell’ordine proposto dal ricorrente.

Il primo motivo di impugnazione appare infondato.

In effetti rispetto a tre beni immobili e ad una autovettura sequestrati il ricorrente si è doluto soltanto della confisca dell’immobile di (OMISSIS) sostenendo che erroneamente era stato ritenuto nella sua disponibilità.

Le deduzioni svolte in verità sono di merito e, quindi, non di competenza di questa Corte.

Il giudice di secondo grado, come del resto anche quello di primo grado, ha ritenuto che l’immobile in discussione, come del resto gli altri due, era Normalmente intestato alla società Nuova Immobiliare Finanziaria, ma che in realtà si trattava di una interposizione fittizia perchè la reale titolarità era del Pa.Ca..

Orbene il ricorrente per gli altri due immobili nulla ha osservato;

ciò significa che l’avere ritenuto che la predetta società si fosse intestati beni di proprietà del ricorrente era del tutto corretto.

In ogni caso i giudici del merito hanno precisato in base a quali elementi si doveva ritenere che l’immobile in discussione fosse nel possesso del ricorrente: l’utilizzazione dell’appartamento in alcune occasioni ed i lavori curati dalla moglie del ricorrente; gli argomenti contrari costituiscono deduzioni di merito inammissibili in sede di legittimità.

Infine i giudici del merito hanno messo in evidenza che il ricorrente non godeva di nessun reddito lecito e, quindi, l’acquisto del predetto bene non poteva che essere avvenuto con i proventi illeciti dei traffici ai quali il Pa.Ca. era dedito.

E sul punto è bene precisare che se i reati fine contestati sono successivi all’acquisto, l’associazione esisteva già quando il ricorrente è entrato in possesso del bene in discussione; ciò ovviamente è sufficiente a legittimare la confisca.

E’ infondato il secondo motivo di impugnazione secondo il quale vi sarebbe assenza di prova della reale natura e della efficacia drogante della sostanza in discussione.

Secondo la tesi del ricorrente in effetti non sarebbe mai ravvisabile una ipotesi tentata dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – pacificamente ravvisabile, invece, secondo la giurisprudenza – perchè in tali casi mancando la consegna della merce nessuna analisi sarebbe possibile.

Ugualmente non vi sarebbe mai alcun reato in caso di mancato sequestro della sostanza e conseguente esame tossicologico.

Le cose non stanno in questo modo perchè la giurisprudenza ha stabilito che per stabilire l’effettiva natura stupefacente di una sostanza non è necessario ricorrere ad una perizia tossicologica, essendo del tutto sufficienti altri mezzi di prova, quali le dichiarazioni testimoniali, gli accertamenti di polizia ecc. ecc. (vedi Cass., Sez. 4^, 30 ottobre 1997, n. 2782).

Le Sezioni Unite (SS.UU. 24 giugno – 21 settembre 1998, n. 9973) hanno stabilito che, stante la natura legale della nozione di sostanza stupefacente, è irrilevante il mancato superamento della soglia quantitativa drogante.

D’altra parte il delitto in discussione è plurioffensivo, nel senso che oltre la salute, siffatti illeciti traffici pongono in pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico, beni che vengono offesi anche quando il principio attivo della sostanza sia al di sotto della soglia drogante.

Ebbene nel caso di specie i giudici del merito hanno accertato il tipo e la quantità di sostanza commerciata o da importare in base ad altri elementi e principalmente in base agli esiti di intercettazioni telefoniche, cosa che è pienamente legittima.

La tesi sostenuta con il terzo motivo di impugnazione non è fondata.

Bisogna, infatti, ricordare che si versa in ipotesi di rito abbreviato cosicchè risulta conferito al giudice il potere di definire il processo allo stato degli atti, senza, quindi, l’osservanza delle forme previste per il dibattimento.

Conseguentemente costituiscono valida fonte di prova le trascrizioni di telefonate operate dai carabinieri ed acquisite agli atti (Cass., Sez. 2^, 16 aprile – 9 giugno 1993, n. 5787, Croci, CED 194052).

In effetti a ben vedere la prova è costituita dalla registrazione della captazione della conversazione (Cass., Sez. 6^, 11 dicembre 2009 – 13 gennaio 2010, n. 1084, CED 245798) e l’interessato, ove lo ritenga necessario, può chiedere di eseguire la trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico onde accertare incompletezze o omissioni, pregiudizievoli per la difesa, delle trascrizioni (Cass., Sez. 6^, 4 giugno – 19 ottobre 1993, n. 9443, Carnazza).

La trascrizione delle intercettazioni di conversazioni dialettali non va obbligatoriamente tradotta (Cass., Sez. 5^, 3 novembre 1995 – 30 gennaio 1996, n. 931, Arfuso), ma la traduzione delle intercettazioni dialettali, operata per facilitare il compito degli operatori non rende ovviamente inutilizzabile la intercettazione stessa.

Ciò perchè la prova, come si è già detto, è costituita dalla registrazione della intercettazione e l’interessato può sempre fare rilevare l’incongruenza tra quanto registrato e quanto trascritto o tradotto.

Infine è appena il caso di rilevare che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate è questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass., Sez. 6^, 8 gennaio – 30 aprile 2008, n. 17619, CED 239724).

Non è, pertanto, ravvisabile la dedotta inutilizzabilità.

E’ infondato anche il quarto motivo di impugnazione perchè la motivazione della Corte di merito sul punto è pienamente condivisibile.

In effetti gli impianti esistenti presso la Procura procedente non sono stati utilizzati perchè inidonei allo scopo, in quanto, come si è spiegato, era necessario effettuare le intercettazioni e le registrazioni in prossimità dei luoghi frequentati dagli imputati e coordinando tali attività con altre attività di ascolto in corso presso la apposita sala del ROS CC di Perugia, in modo da rendere efficaci i servizi di riscontro (pedinamenti, appostamenti ecc. ecc.); quindi gli impianti presso la Procura erano inidonei per esigenze investigative (vedi Cass., Sez. 6^, 19 ottobre – 20 novembre 2006, n. 38018, CED 235042).

Infondato è anche il quinto motivo di impugnazione.

Quanto alla ritenuta sussistenza del delitto associativo si deve fare rinvio a quanto già detto a proposito della posizione di C. C..

In aggiunta a quanto già esposto, va detto che la Corte territoriale, dopo avere richiamato gli indirizzi giurisprudenziali in materia, ha in modo puntuale richiamato tutti gli elementi che consentivano di ritenere non solo la esistenza della associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, ma anche che il ricorrente ne fosse uno degli organizzatori.

La divisione dei compiti, i continui contatti con gli altri associati che al ricorrente facevano sempre riferimento, la gestione delle somme di danaro occorrenti per finanziamenti operata dal Pa.

C., la puntuale pianificazione di alcuni complessi traffici, l’assistenza legale apprestata per i partecipi arrestati, la indicazione in codici dei numeri di telefono degli associati e dei luoghi di incontro, come emerge da documenti sequestrati a bordo della motonave (OMISSIS), costituiscono tutti elementi che consentono di ritenere la sussistenza dell’associazione contestata e del ruolo esercitato dal ricorrente in seno alla stessa.

Ebbene tutti questi precisi elementi non sono stati contestati dal ricorrente, che si è limitato a generiche proteste di innocenza.

Il sesto motivo di impugnazione è ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente ha in effetti censurato le valutazioni di merito operate dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione.

Tra l’altro il ricorrente non ha nemmeno denunciato la manifesta illogicità della motivazione che potrebbe legittimare un annullamento della sentenza impugnata.

E’ sufficiente osservare, senza ripercorrere tutta la complessa motivazione della sentenza impugnata sulle ipotesi di traffico di sostanza stupefacente attribuite al ricorrente, che i giudici di secondo grado hanno minuziosamente analizzato tutti gli elementi emergenti dalle conversazioni intercettate e dagli accertamenti di polizia giudiziaria ed hanno stabilito che ruolo del Pa.Ca. e dei suoi soci romani nell’ambito della associazione fosse proprio quello di raccogliere danaro per finanziare traffici internazionali di sostanze stupefacenti.

Tanto è stato desunto da intercettazioni, che hanno trovato conferma nell’arresto di due associati carichi di danaro in Francia e nel fermo in altra occasione dello stesso ricorrente che nell’occasione era in possesso di un falso documento.

Il ricorrente ha cercato di accreditare interpretazioni diverse del materiale probatorio, cosa inaccettabile in sede di legittimità.

Sono infondati anche il settimo, nono, decimo e undicesimo motivo di impugnazione perchè le generiche contestazioni del ricorrente non consentono di mettere nel nulla le motivazioni delle due sentenze di merito in ordine ai delitti di falso e ricettazione contestati.

Nelle stesse è, infatti, chiarito che il ricorrente venne fermato ad (OMISSIS) mentre era in possesso di una falsa carta di identità e di un falso passaporto;

nell’occasione il ricorrente dichiarò false generalità.

Cosa altro avrebbero dovuto osservare i giudici del merito non è dato sapere, nè viene spiegato dal ricorrente.

Quanto agli altri due episodi concernenti l’uso di documenti falsi da parte del Pa.Sa. è descritto in modo chiaro il ruolo di organizzatore di ogni particolare degli illeciti traffici del ricorrente e, quindi, anche di concorso nei reati collegati alle ipotesi di traffico contestate.

Il motivo numero otto è di merito perchè in effetti il ricorrente ha contestato la valutazione del materiale probatorio operata dai giudici dei primi due gradi con riferimento al reato di cui al capo 9) della rubrica.

Punto centrale della questione posta è costituita dal fatto che una serie di atti posti in essere costituirebbero atti preparatori penalmente irrilevanti e non atti idonei diretti alla consumazione del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Orbene, in base alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, che è l’unica che possa essere presa in considerazione in questa sede, corretta appare la conclusione alla quale tali giudici sono pervenuti.

Ed, infatti, a parte le riunioni organizzative per programmare con cura l’ingente traffico e le iniziali difficoltà, resta il fatto che ad un certo punto ha inizio la raccolta del danaro per finanziare l’operazione e la raccolta ha successo, tanto è vero che i corrieri vengono poi arrestati in Francia.

A ciò bisogna aggiungere molti altri elementi quali ad esempio il ricovero della motonave (OMISSIS) con la predisposizione della lista d’imbarco della quale faceva parte apparentemente altro associato.

Ebbene tali atti non possono per nulla essere qualificati meramente preparatori perchè si tratta di atti necessari per garantire il successo di un trasporto internazionale di sostanza stupefacente e, quindi, sotto tale profilo si tratta di atti tipici diretti alla consumazione del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Sostanzialmente di merito è anche l’ultimo motivo di impugnazione – dodicesimo – perchè il ricorrente nel contestare la sua partecipazione a titolo di concorso nel reato di cui al capo 21) – trasporto di cocaina con la motonave (OMISSIS) – ha riesaminato tutti, o meglio parte, gli elementi posti a suo carico dai giudici di merito, cosa che non è consentita in sede di legittimità.

I giudici del merito hanno esaminato e valutato con cura sia i documenti sequestrati a bordo del natante e contenente numeri telefonici degli associati, sia le ricevute di un albergo greco intestate a due concorrenti nel reato quali Sa. ed Av., sia il traffico telefonico intercorso tra i concorrenti nel reato ed in particolare tra il Pa.Ca. e D.C.F. che dimostrava il continuo collegamento del ricorrente con gli altri concorrenti per tutta la durata della operazione criminosa.

Orbene da tutti questi elementi, che non appaiono ambigui, come sostenuto dal ricorrente, i giudici del merito hanno tratto il convincimento della partecipazione anche a tale traffico del ricorrente e tali conclusioni, siccome sorrette da una motivazione immune da vizi logici, non merita censure in punto legittimità.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.7) U.G..

U.G. è stato condannato alla pena di anni quattordici di reclusione per partecipazione ad associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti con funzione di organizzatore, oltre che di procuratore delle risorse finanziarie per gli acquisiti di partite di droga, e per alcuni specifici episodi di spaccio di narcotico.

Con il ricorso per cassazione U.G. deduceva:

1) il vizio di motivazione in relazione al ritenuto delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per non essere configurabile il sodalizio, per non essere l’ U. partecipe dello stesso, per non esserne l’organizzatore.

Potrebbe, tutto al più, essere configurabile il concorso di persone in alcuni episodi di spaccio.

Non è vero che l’ U. avesse costituito una base operativa in Marocco, ove era latitante.

Per il tenore generico della motivazione non è possibile individuare l’apporto causale fornito dal ricorrente, che, invece, aveva partecipato soltanto episodicamente ad alcune operazioni in un lungo lasso di tempo.

2) la mancanza di motivazione in ordine al tentativo di importazione contestato al capo 9);

3) il vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 2 – capo 21) – non essendo emersi elementi a carico dell’ U.;

4) il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche.

Il ricorso proposto da U.G. è fondato.

Nella sentenza impugnata la posizione di U.G. è stata trattata nel capitolo riservato a Pa.Ca..

La Corte di merito, che in precedenza aveva illustrato i vari capi di imputazione e gli esiti delle indagini relative ai singoli episodi, nel capitolo indicato ha chiarito per quali ragioni doveva ritenersi esistente una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti ed ha indicato nell’ Av.Ma., giudicato separatamente, nel Pa.Ca. e nell’ U.G. gli organizzatori del gruppo, del quale facevano parte numerose persone.

Tralasciando per il momento la questione della esistenza della associazione, che, comunque, è già stata affrontata nei capitoli dedicati a C.C. e Pa.Ca., ai quali si rinvia, quello che qui interessa è verificare se la Corte territoriale abbia indicato con sufficiente precisione gli elementi che consentono di ritenere l’ U. uno degli organizzatori del gruppo criminale.

In effetti in tutto il capitolo indicato si affronta la posizione del Pa.Ca., mentre all’ U. sono riservate poche e scarne notazioni.

La Corte ha, infatti, affermato che l’ Av. era in continuo movimento tra Spagna, Francia, Svizzera, Marocco e Sudamerica con i suoi collaboratori (tra cui U.); in sentenza tale riferimento è appunto tra parentesi.

La sentenza, poco più avanti, parlando di altro associato, D. C.F., ha affermato che quest’ultimo, pur essendo alle dipendenze di Pa.Ca…., è stato chiamato ad operare sotto la direzione di U.G. ……ed è stato compensato per i suoi servizi anche dall’ U..

Successivamente si dice che l’operazione di narcotraffico in argomento – il trasporto con la motonave (OMISSIS) – è stata realizzata da Av.Ma. e U.G.; ancora, in possesso di tale Sa.Do. sarebbe stato rinvenuto un numero di utenza telefonica indicata con il nome di pe. e, quindi, riconducibile a U.G., senza, però, che siano stati indicati gli elementi per stabilire un siffatto rapporto, posto che altre emergenze processuali consentirebbero di escludere che quel numero fosse in uso al ricorrente.

A conclusione del capitolo riservato alla posizione del Pa.

C. la sentenza ha ritenuto congrua la pena inflitta in primo grado a U.G..

Orbene una siffatta impostazione non può essere ritenuta soddisfacente e gli scarni elementi forniti non legittimano la pesante pena inflitta al ricorrente.

Ed, infatti, con riferimento al delitto associativo quelle dinanzi riportate costituiscono mere affermazioni, presumibilmente fondate sugli esiti di intercettazioni telefoniche ed ambientali, come sembra doversi dedurre da altre parti della sentenza impugnata, senza indicazione precisa e specifica degli elementi posti a carico del ricorrente, in modo da consentire una verifica della congruenza degli stessi da parte di questa Corte.

Si dice che il ricorrente avrebbe organizzato una cellula del gruppo criminale in Marocco, ma siffatta affermazione non è supportata da specifici elementi.

Insomma quello che non si può comprendere è quale sia stato l’apporto causale dell’ U. alla vita ed al funzionamento della associazione di cui si discute, posto che non appare sufficiente affermare che il ricorrente abbia avuto dei rapporti, essenzialmente telefonici, e senza che sia stata precisata la natura degli stessi, con altri membri del gruppo, per ritenerlo un associato.

Dalla motivazione impugnata, inoltre, non emergono gli elementi in base ai quali il ricorrente dovesse essere ritenuto organizzatore della predetta associazione.

Naturalmente per ritenere la partecipazione del ricorrente alla associazione si sarebbe dovuto tenere conto anche di altri elementi quali ad esempio la partecipazione a soli due episodi di traffico di stupefacenti in un arco di operatività del gruppo particolarmente lungo, elementi che, invece, sono stati completamente ignorati.

Quanto ai due episodi di traffico – uno consumato e l’altro tentato – contestati a U.G. va detto che la sentenza impugnata nel capitolo dedicato alle responsabilità del ricorrente non se ne è per nulla occupata.

Anche tali aspetti avrebbero dovuto, invece, essere oggetto di valutazione con indicazione degli elementi posti a carico del ricorrente.

Va opportunamente precisato che nella prima parte della sentenza la Corte territoriale nell’illustrare i singoli capi di imputazione, ha anche descritto i fatti addebitati, tra gli altri, al ricorrente.

Ma, a parte il fatto che i fatti sono esposti come un racconto senza indicazione delle fonti delle singole e specifiche responsabilità, va detto che anche da tale esposizione non è facile estrapolare concreti elementi di responsabilità del ricorrente.

Le considerazioni che precedono impongono l’annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo esame della sentenza impugnata limitatamente alla posizione di U.G..

E’ evidente che i termini della decisione adottata non consentono di apprezzare l’ultimo motivo di impugnazione concernente il trattamento sanzionatorio.

2.81 D.C.F..

D.C.F. nella associazione diretta dal Pa.Ca. si occupava di trasferire all’estero ingenti somme di danaro necessarie per l’acquisto di partite di stupefacente.

Significativi del ruolo importante svolto dal D.C. sono l’arresto in Francia del 25 gennaio 2001, i dieci viaggi all’estero compiuti e la partecipazione al trasbordo di oltre quindici tonnellate di droga dalla nave greca (OMISSIS) alla motonave (OMISSIS).

Per i fatti contestatigli il D.C. veniva condannato alla pena di anni sette di reclusione.

Con il ricorso per cassazione D.C.F. deduceva:

1) la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta esistenza di un sodalizio di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 ed alla ritenuta appartenenza allo stesso del D.C.;

2) la mancanza di motivazione in ordine al ritenuto episodio di spaccio di cui al capo 9) – tentativo di importazione di sostanza stupefacente a mezzo di motonave -, non essendo stati messi in evidenza gli atti univoci posti in essere; nella occasione, tra l’altro non venne sequestrata droga;

3) il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’episodio di traffico di sostanze stupefacenti di cui al capo 21) non essendo stata posta in evidenza la prova della responsabilità dell’imputato;

4) la mancanza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da D.C. F. non sono fondati.

Quanto al primo motivo di impugnazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, al fine di evitare ripetizioni si deve rinviare a quanto detto per un analogo motivo di impugnazione di C. C. e Pa.Ca..

Quanto alla partecipazione del D.C. alla associazione i giudici di merito dalle telefonate intercettate, dagli accertamenti di polizia effettuati, dai controlli incrociati dei tabulati telefonici, hanno ritenuto provato che il D.C. non solo facesse parte del gruppo, ma godesse della particolare fiducia del capo della organizzazione Pa.Ca..

Il ricorrente era dedito al trasferimento di danaro per finanziare le importazioni dall’estero e prova di ciò è fornita dal suo arresto in Francia nel 2001.

Degli altri elementi di carico si è già detto in precedenza.

A fronte di ciò il ricorrente in sostanza ha sostenuto che potrebbe trattarsi di concorso in singoli episodi, ma non di partecipazione alla associazione.

A parte il fatto che i giudici di merito hanno dimostrato una rapporto continuo con il capo della organizzazione e con alcuni altri membri, va detto che compiti così delicati e di fiducia, come il trasporto di ingenti somme di danaro, di solito non si affidano a persone estranee alla organizzazione.

Il motivo è infondato.

Quanto al secondo motivo di impugnazione concernente il traffico di stupefacenti di cui al capo 9) il rilievo del ricorrente che non si tratterebbe di un tentativo punibile, essendo stati posti in essere soltanto atti preparatori è stato affrontato a proposito di analogo motivo del ricorrente Pa.Ca. ed alle considerazioni ivi svolte si rinvia.

Qui conviene soltanto aggiungere che particolarmente significativo è il ruolo svolto dal D.C. che mise a disposizione il suo passaporto per un membro dell’equipaggio della motonave che doveva effettuare il trasporto e poi denunciò lo smarrimento del documento per allontanare da sè i sospetti; non si tratta certo di un atto preparatorio, ma di una condotta tesa univocamente a realizzare il traffico in discussione.

Anche tale motivo è infondato, e anzi è ai limiti della ammissibilità.

Molto diffusa è poi la motivazione in ordine al reato di cui al capo 21) ed al ruolo esercitato da D.C.F..

Gli aspetti salienti di tale reato sono stati affrontati nel capitolo riservato a Pa.Ca., che ha sviluppato analogo motivo di impugnazione.

Qui conviene ricordare che il numero di contatti telefonici tra il Pa.Ca. ed il D.C. durante la esecuzione della operazione di importazione messo in evidenza dalla Corte di merito è davvero imponente e denota che il D.C. informava costantemente il capo sullo stato della attività; del resto nessuna altra spiegazione di tali continui contatti è stata fornita dal ricorrente.

Alla fine lo stesso ricorrente si è lamentato del fatto che su tale imputazione la motivazione non sia sufficiente, dimenticando che il vizio di motivazione che può travolgere la sentenza impugnata è soltanto la manifesta illogicità della motivazione, oltre alla contraddittorietà o alla mancanza della stessa, ma non certo la semplice ritenuta insufficienza.

In ogni caso così non è perchè le motivazioni integrate delle due sentenze di merito consentono di pervenire ad una motivazione più che soddisfacente in ordine alla affermata responsabilità penale del D.C. anche per il reato di cui al capo 21).

Di merito è l’ultimo motivo di impugnazione perchè la Corte territoriale ha, con motivazione immune da vizi logici, escluso il riconoscimento delle attenuanti generiche per la gravità dei fatti e gli ingenti quantitativi di sostanza stupefacente trafficati.

Si tratta di valutazioni di merito non censurabili in questa sede di legittimità.

Per le ragioni esposte il ricorso proposto dal D.C. deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.9) N.M..

N.M., che, come risulta dalle sentenze di merito, era in stretto contatto con il Pa.Ca., l’ Av., uno dei capi della organizzazione, la cui posizione è stata stralciata, l’ U., essenzialmente per l’attività della cellula esistente in Marocco ed altri associati e che si era impegnato anche per organizzare acquisti di sostanza stupefacente in Sudamerica, è stato condannato per la partecipazione alla associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 ed un episodio di tentativo di importazione di sostanze stupefacenti di cui al capo 9) alla pena complessiva di anni sei di reclusione.

Gli elementi a carico emergevano dagli esiti delle intercettazioni telefoniche e da altri documenti, tra i quali una informativa delle Autorità marocchine.

Con il ricorso per cassazione N.M. deduceva la violazione di legge in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 mancando gli elementi costitutivi del reato, nonchè la violazione dell’art. 56 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – capo 9) -, dal momento che la stessa Accusa aveva parlato di semplice disponibilità del N. al trasferimento del narcotico via mare.

Non vi era, quindi, un accordo punibile e non vi erano atti inequivoci.

Infine il ricorrente denunciava la mancanza di motivazione in ordine ai delitti di ricettazione, falso e favoreggiamento contestati.

Nelle more del processo N.M. è deceduto il (OMISSIS), come risulta da fax della Questura di Roma del (OMISSIS).

Dal momento che non è possibile pronunciare una sentenza assolutoria nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, non apparendo evidente la prova della sua estraneità ai fatti contestati, tenuto conto degli elementi esistenti a carico del N. e posti in evidenza dai giudici del merito, si deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati contestati a N.M. estinti per morte dell’imputato.

2.10) Pa.Sa..

Pa.Sa., certamente uno dei maggiori collaboratori del Pa.Ca. con funzioni prevalenti di corriere di danaro all’estero necessario per l’acquisto di partite di stupefacenti, è stato condannato alla pena di anni sei di reclusione per partecipazione ad una associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e per gli episodi di spaccio contestatigli.

Gli elementi di carico emergevano dagli esiti di intercettazioni telefoniche ed ambientali, dai servizi di appostamento, nonchè dall’arresto in Francia con C.C. in possesso di ingente somma di danaro e dal controllo in (OMISSIS) ove venne trovato in possesso di documento falso.

Con il ricorso per cassazione Pa.Sa. con i primi due motivi, identici a quelli proposti dal coimputato D.C. F., contestava la esistenza e la sua partecipazione ad una associazione dedita al traffico di stupefacenti e la sua responsabilità in ordine al fatto di cui al capo 9) della rubrica.

Con il terzo motivo deduceva il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato sub capo 2) e con il quarto la mancanza di motivazione in ordine alla confisca di una somma di danaro sequestratagli.

I motivi del ricorso di Pa.Sa. non sono fondati.

Come si è già detto i primi due motivi di impugnazione sono in tutto identici a quelli proposti dal coimputato ricorrente D. C.F..

Al fine di evitare ripetizioni alle considerazioni svolte a proposito del D.C. si deve fare rinvio.

Ogni ulteriore considerazione appare superflua avendo già ricordato in diversi punti della sentenza il significativo arresto del Pa.Sa. in Francia insieme a C. in possesso di una ingente somma di danaro destinata a finanziare l’importazione di cocaina ed il precedente fermo, anche esso particolarmente significativo, insieme al Pa.Ca. in possesso di un documento falso e di ingente somma di danaro.

Infine è necessario ricordare che la Corte territoriale in modo minuzioso ha ricordato tutti gli altri elementi a carico del Pa.Sa. emergenti dalle conversazioni telefoniche intercettate; su di essi non vi è una esplicita censura del ricorrente.

E’ del tutto generico, oltre che infondato, l’ulteriore motivo di impugnazione concernente il capo2) della rubrica perchè è stato denunciato il vizio motivazionale, ma non si è spiegato in che cosa esso concretamente sai consistito.

Si è discusso poi della interpretazione delle conversazioni telefoniche fornendo una interpretazione diversa, e per il ricorrente più favorevole, di alcune frasi delle stesse.

Dimentica il ricorrente che l’interpretazione delle conversazioni intercettate compete ai giudici del merito e che in sede di legittimità non è consentito fornire interpretazioni diverse del materiale probatorio.

In ogni caso la motivazione su tale punto emergenze dalla integrazione delle due sentenze di merito è immune da vizi logici.

Quanto, infine, alla conferma della confisca della somma di danaro sequestrata, da tutto il contesto motivazionale delle sentenze di primo e secondo grado emerge il quadro di una persona associata con pericolosi trafficanti, dedita costantemente a tali traffici e non percettore di redditi leciti.

La disposizione censurata appare, pertanto, del tutto legittima.

Il ricorso del Pa.Sa. deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.11) P.G..

P.G. per i fatti di traffico di sostanze stupefacenti contestati al capo 3) della rubrica veniva condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa.

La responsabilità del P. emergeva da intercettazioni telefoniche ed ambientali, dalle quali risultava che l’imputato era in contatto con Pa.Ca. e Pa.Sa. per l’acquisto di partite di droga.

Con il ricorso per cassazione il P. deduceva con un primo motivo il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sua responsabilità.

Si doleva il ricorrente che non fossero stati presi in considerazione elementi indicati nell’atto di appello e che, in particolare, non si era tenuto conto che non vi erano elementi per ritenere che il P. fosse l’interlocutore di cui ai colloqui intercettati.

Tra l’altro una indagine fonica di parte, che escludeva la responsabilità del P., non era stata presa in considerazione dalla Corte di merito.

In ogni caso le telefonate intercettate non erano state confortate da riscontri oggettivi, quali sequestro di merce, di danaro e di bilancini.

Con un secondo motivo il ricorrente deduceva la inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 per mancanza di motivazione in ordine alla eccezionale urgenza e la mancanza di motivazione del decreto autorizzativo del GIP, che aveva recepito la richiesta del Pubblico ministero, che a sua volta aveva recepito la nota degli agenti operanti.

Con un terzo motivo il ricorrente eccepiva l’uso personale dello stupefacente utilizzato perchè si trattava di acquisto di modesta entità, non essendo stata potuta quantificare l’entità precisa dell’acquisto.

La mancanza di motivazione in ordine alla chiesta riqualificazione del fatto non essendo stato accertato che si trattasse di cocaina è stata dedotta con il quarto motivo di impugnazione.

Con il quinto motivo di ricorso è stata dedotta la mancanza di motivazione in ordine allo omesso riconoscimento della attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, stante la assoluta incertezza sul quantitativo di sostanza stupefacente acquistato.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da P. G. non sono fondati.

Il primo motivo di impugnazione, con il quale il P. ha riproposto a questa Corte la questione già sottoposta al vaglio della Corte di merito della sua individuazione quale interlocutore delle telefonate intercettate con Pa.Sa. e Pa.

C., è infondato.

La sentenza impugnata, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, ha tenuto conto di tutti gli elementi del caso ed ha esposto gli argomenti a sostegno della decisione adottata, non essendo tenuto il giudice di appello a confutare specificamente tutti gli argomenti difensivi, che debbono essere ritenuti implicitamente disattesi se incompatibili con la decisione assunta.

Quanto alla perizia fonica di parte è lo stesso ricorrente che nell’atto di ricorso ha dato atto che a causa della scarsa qualità delle comunicazioni telefoniche intercorse non è stato possibile risalire agli interlocutori attraverso idonei riscontri oggettivi (perizia); quindi è del tutto evidente che per risolvere il caso de quo non era possibile fare utilmente riferimento alla perizia fonica di parte, nè era opportuno disporre una perizia fonica di ufficio.

Gli elementi per la identificazione del P.G. quale interlocutore di Pa.Sa. e Pa.Ca. andavano ricercati altrove; ed è esattamente ciò che ha fatto la Corte territoriale.

I giudici di appello, infatti, hanno in primo luogo stabilito che, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, P.G. ben conosceva il Pa.Ca. come era risultato da numerose conversazioni ambientali intercettate intervenute tra il ricorrente ed il Pa.Ca.; di tali intercettazioni ambientali il ricorrente nulla ha detto.

Quanto più specificamente alla identificazione del ricorrente come interlocutore delle conversazioni ambientali, e poi di quelle telefoniche trattandosi della stessa persona, la Corte territoriale ha fatto riferimento agli elementi messi in evidenza dal ROS di Perugia in una informativa puntualmente indicata ed alle verifiche investigative provenienti dalla così detta indagine IGRES. Orbene degli elementi contenuti nelle predette informative il ricorrente non ha tenuto conto, nè ha censurato le conclusioni alle quali sono pervenuti gli investigatori.

La motivazione della Corte territoriale, che ha fatto riferimento ad elementi significativi ed ha chiarito che proprio l’esperienza di ascolto delle conversazioni ambientali aveva consentito di accertare che il P. fosse l’interlocutore telefonico del P. C. e del Pa.Sa., non merita, pertanto, censure sotto il profilo della legittimità, perchè non è fondata su congetture, come erroneamente sostenuto, ma su elementi nemmeno specificamente contestati dal ricorrente.

Superato il problema della identificazione del P.G. come uno dei loquentes delle telefonate intercettate e poste a fondamento della sua affermazione di responsabilità, è appena il caso di notare che, come finisce con il riconoscere anche il ricorrente, le intercettazioni possono costituire prova della colpevolezza dell’imputato e non necessitano di riscontri.

Si tratta di indizi che vanno valutati ai sensi dell’art. 192 c.p.p. ed unitamente a tutti gli altri elementi emergenti dal processo.

Ebbene i giudici del merito hanno fatto buon governo dei principi enunciati nella valutazione del materiale probatorio esistente.

Inoltre è bene ricordare che, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte ricordato, la interpretazione delle intercettazioni compete ai giudici di merito e non può la Corte di legittimità sovrapporre una propria diversa valutazione a quella effettuata dai primi giudici quando essa sia sostenuta da una motivazione immune da manifeste illogicità, come è accaduto nel caso di specie.

I giudici del merito hanno fornito una spiegazione del tutto logica alla interpretazione dei termini criptici usati dagli interlocutori telefonici, quali aperitivo, gelato, ragazzetto, per indicare il Pa.Sa., ecc. ecc..

Non è fondato il secondo motivo di impugnazione per tutte le ragioni, alle quali si rinvia, esposte a proposito di analogo motivo del coimputato Pa.Ca..

E’ necessario aggiungere che la eccezionale urgenza richiesta dall’art. 268 c.p.p., comma 3 era dovuta al fatto che si trattava di reati associativi con organizzazioni ancora operanti, come si desume dai decreti autorizzativi delle intercettazioni e dai decreti del Pubblico Ministero ex art. 268 c.p.p., comma 3.

Quanto alla motivazione dei decreti autorizzativi è certamente consentita quella per relationem ad un provvedimento conosciuto o conoscibile dalla parte, come stabilito dalla Suprema Corte (vedi SS.UU. 21 giugno – 21 settembre 2000, n. 17, Primavera ed altri, e da ultimo Cass., Sez. 1^, 10 febbraio – 11 marzo 2010, n. 9764, CED 246518).

E’ infondato anche il terzo motivo di impugnazione.

Si può concordare sul fatto che la interpretazione del termine quattro utilizzato nel corso della telefonata intercettata può assumere il significato di quattro chilogrammi, di quattrocento grammi, come ritenuto dalla Corte di merito, ma anche di quaranta grammi o quattro grammi.

Ha ragione il ricorrente quando osserva che sulla quantità nessuna certezza è possibile, anche perchè la individuazione dei quattrocento grammi da parte della Corte di merito è sostanzialmente immotivata.

Del resto siffatte considerazioni avevano indotto i giudici dei primi due gradi di giurisdizione ad escludere la contestata aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80.

Tuttavia non vi sono elementi per ritenere che lo stupefacente acquistato dal P., anche se, nelle occasioni contestate, di quantità non elevata, fosse per uso personale; a una tale conclusione non si può pervenire in base a quanto emerge dalla sentenza impugnata e nemmeno in base a quanto riferito dal ricorrente, il quale fa leva soltanto sul problema della quantità, senza fornire nessuna altra indicazione.

Ebbene nella prima parte del capitolo riservato al P. G. la Corte di merito ha messo in evidenza che tra il 1999 ed il 2001 P.G., unitamente ai fratelli Pi.

A. e Pi.Pa., aveva acquistato un elevato quantitativo di cocaina da An.Fe…….del clan camorristico Anastasia.

A causa dei problemi giudiziari dell’ An.Fe. il P. cercò altri canali di approvvigionamento e si rivolse al Pa.

C..

Ebbene siffatta ricostruzione del fatto non è stata contestata dal ricorrente.

Inoltre, sempre dalla sentenza impugnata, emerge che il P. non si limitò ad un acquisto, ma più volte cercò il Pa.Sa. o il Pa.Ca. per rifornirsi adeguatamente.

Orbene sulla base di tali elementi ed in assenza di altri elementi significativi, che non siano soltanto la quantità di una singola operazione, non è possibile ritenere che la droga acquistata dal P. fosse per esclusivo uso personale.

Anche il quarto motivo di impugnazione è infondato.

I giudici di merito hanno stabilito, interpretando le conversazioni telefoniche relative al P. e tenuto conto dei complessivi esiti delle indagini, dalle quali emergeva che il gruppo Parrello commerciava essenzialmente cocaina, specialmente quando l’importazione avveniva dalla Spagna – per una delle cessioni al P., secondo la Corte di merito, si attendeva il ritorno del Pa.Sa. dalla Spagna -, che la sostanza ceduta fosse cocaina.

Si tratta di una accertamento di merito che non può esser messo in discussione in questa sede, tanto più che il ricorrente non ha offerto alcun elemento utile per ritenere che si trattasse di altro, avendo fatto riferimento soltanto al principio del favor rei.

E’, infine, infondato anche il quinto motivo di impugnazione, che, comunque, non sembra essere stato dedotto in sede di appello, per le stesse ragioni per la quali è stato ritenuto infondato il terzo motivo di impugnazione.

Alle ragioni esposte, pertanto, si rinvia.

Per tutte le ragioni esposte il ricorso del P. deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

2.12) Mo.Al..

Mo.Al. per l’episodio contestato al capo 11) della rubrica è stato condannato, in base agli esiti di intercettazioni telefoniche e ad indagini che lo facevano ritenere presente al così detto summit di Nizza, alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa.

Con il ricorso per cassazione Mo.Al. ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità per il fatto di cui al capo 11) della rubrica, la erronea applicazione dell’art. 56 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e la mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed al diniego delle attenuanti generiche.

Il Mo., che era stato assolto dal delitto associativo, poneva in evidenza che dalle intercettazioni telefoniche non emergeva con certezza che aveva dato danaro al Pa.Ca. per finanziare un acquisto di sostanza stupefacente, potendosi anzi desumere che l’incontro per la consegna non vi fu.

Negava poi il ricorrente di essere stato presente al così detto summit di Nizza e faceva presente che il Pubblico Ministero titolare delle indagini aveva richiesto la sua assoluzione.

In ogni caso la condotta posta in essere avrebbe dovuto essere qualificata come atto preparatorio non punibile.

I motivi del ricorso di Mo.Al. sono fondati.

I giudici del merito, in buona sostanza, interpretando alcune telefonate intercettate intervenute tra il Mo. ed il Pa.Ca., hanno ritenuto che anche il Mo. avesse partecipato al finanziamento per il tentativo di importazione di una importante partita di droga.

Non è certo determinante, ma di sicuro rilievo, il fatto che il Pubblico Ministero che aveva condotto le indagini avesse chiesto dinanzi al GUP l’assoluzione del Mo..

Certo è però che la Corte di merito non risolve tutti i dubbi che gli elementi illustrati nella motivazione determinano.

Uno degli elementi di accusa è costituito dal fatto che il Mo. avesse partecipato insieme al Pa.Ca. ed al Ma. ad un summit con l’ Av. a Nizza; tale incontro sarebbe stato preparatorio del traffico da finanziare.

Orbene risulta che Mo. fosse presente a Nizza, ma dal materiale fotografico in atti sembra che il ricorrente non avesse partecipato ad alcuna conversazione con gli altri tre convenuti; del resto ad una riunione di tale importanza partecipano persone di sicuro affidamento, mentre il M. è stato assolto dal delitto di partecipazione ad associazione dedita al traffico di stupefacenti, segno che non era intraneo alla organizzazione e, quindi, non in condizione di partecipare a vertici con i capi della organizzazione.

Ed allora il Mo. ha effettivamente partecipato al summit oppure la sua presenza a Nizza costituisce un elemento di marginale rilievo? Sul punto la sentenza impugnata non ha fatto la dovuta chiarezza.

Secondo i giudici di merito nel corso del summit si era parlato del traffico nel quale risulta coinvolto anche il Mo., ma i giudici non hanno spiegato in base a quali elementi era possibile affermare ciò, posto che il traffico in discussione si era verificato circa un anno dopo il summit.

Quanto alle telefonate intercettate non si intende certo in questa sede mettere in dubbio la interpretazione che delle stesse hanno fornito i giudici del merito, posto che a loro spetta di interpretare e valutare tale materiale probatorio.

Dato, quindi, per scontato – perchè così stabilito dai giudici di merito – che nelle telefonate in discussione Mo. e Pa.

C. stessero parlando del finanziamento della operazione e che il Mo. si sarebbe proposto come uno dei finanziatori del traffico, va detto che la Corte territoriale ha precisato che dall’ultima telefonata si desume che i due si sarebbero dovuti sentire per fissare un incontro per concludere l’affare.

Non è dato sapere se quell’incontro venne o meno fissato, se effettivamente i due si siano incontrati e se il Mo. abbia o meno versato una somma di danaro per finanziare l’operazione.

In verità per quel che si può dedurre da altra parte della sentenza (pagine 53 e 54) sembra che l’incontro in discussione non si sia mai verificato perchè, dopo l’ultima telefonata con il Pa.Ca., il Mo. sarebbe partito per la Francia facendo perdere le sue tracce.

Ed allora in che cosa è consistito il tentativo di finanziamento se l’incontro nel corso del quale si sarebbe dovuta concordare la somma da versare ed effettuare il versamento non si è mai verificato? Che valore ha la scomparsa del Mo., che in tal modo si è dissociato dall’impresa? Quale valore hanno sul piano giuridico le mezze promesse telefoniche di partecipazione alla operazione del Mo. non seguite dal versamento di alcuna somma di danaro e da nessuna altra attività significativa? Appare, invero, necessario stabilire se esse possano essere considerate meri atti preparatori o costituiscano un finanziamento di un tentativo di traffico di sostanze stupefacenti punibile.

Ebbene su tutti i punti segnalati appare necessario un approfondimento, sicchè è necessario disporre un annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per un nuovo esame.

2.13) S.G..

Per un episodio di traffico di un rilevante quantitativo di hashish dalla Spagna, realizzato con un camper opportunamente attrezzato dal S. e non andato a buon fine per l’intervento del ROS al casello A10 di Ventimiglia, S.G. veniva condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro ottomilaseicentosessantassette di multa per la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Con il ricorso per cassazione il S. ha dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata soltanto con riferimento al trattamento sanzionatorio, non avendo la Corte di merito tenuto conto delle circostanze indicate nell’atto di appello.

Il motivo di ricorso proposto dal S. è generico, manifestamente infondato e si risolve in una censura di merito della decisione impugnata.

La Corte territoriale, infatti, ha correttamente e logicamente motivato precisando che si negavano le attenuanti generiche e la chiesta riduzione di pena per la gravità dei fatti di illecita importazione di quantitativi rilevanti di sostanza stupefacente, che denotava collegamenti con esponenti del traffico internazionale di droga.

Si tratta di valutazioni di merito che non possono essere censurate in sede di legittimità.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma, liquidata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

2.14) Pe.Fa..

P.F., accusato di partecipazione ad una associazione dedita ad attività di spaccio di sostanze stupefacenti facente capo a T.G. e di numerose attività di traffico delle suddette sostanze, veniva condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa.

Gli elementi a suo carico venivano desunti dagli esiti di intercettazioni telefoniche e da servizi di appostamento della polizia giudiziaria.

Con il ricorso per cassazione il Pe.Fa. deduceva la nullità della sentenza in relazione alla omessa assoluzione dal reato associativo, essendo inidonei gli elementi probatori per pervenire ad una condanna e non avendo la Corte di merito tenuto conto di tutti gli elementi indicati dalla difesa nell’atto di appello.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da Pe.Fa. sono manifestamente infondati, oltre che generici.

In effetti il ricorrente si è limitato ad affermare che gli elementi posti a suo carico erano inidonei per una condanna per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Ciò in primo luogo significa che in ordine agli episodi di spaccio contestati e ritenuti non vi è alcuna doglianza del ricorrente.

Inoltre alla genericità del motivo, che non ha censurato nulla di specifico, si contrappone una motivazione assai precisa avendo i giudici del merito messo in evidenza che dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali emergeva il rilevante ruolo del Pe.

F., il quale insieme al Sa. era addetto al recupero dei finanziamenti necessari per operazioni di importazione di stupefacenti e ad assumere l’impegno a rendersi acquirente di quantitativi di stupefacenti del carico in arrivo.

Tali comportamenti, unitamente alla commissione di numerosi episodi di spaccio hanno consentito ai giudici di merito di affermare la intraneità del Pe.Fa., detto il (OMISSIS), alla associazione facente capo a T.G..

Ebbene di tali puntuali considerazioni il ricorrente nulla ha detto, limitandosi ad osservare che le prove raccolte a carico del Pe.Fa. erano inidonee per pervenire ad una affermazione di responsabilità.

Il ricorso del Pe.Fa. deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere condannato a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma, liquidata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

3) Conclusioni.

In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di N.M. per essere i reati estinti per morte dell’imputato.

La stessa sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma nei confronti di U.G. e Mo.Al., nonchè di M.G. B., limitatamente per quest’ultimo ai capi numeri 26) e 27).

Nel resto il ricorso del M. deve essere rigettato.

I ricorsi di S.G. e Pe.Fa. debbono essere dichiarati inammissibili e ciascuno dei due ricorrenti deve versare alla Cassa delle Ammende la somma, liquidata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1.000,00.

I ricorsi di Pa.Ca., Pa.Sa., D.C. F., C.C., D.R.C., F.M., M.M. e P.G. debbono essere rigettati.

Ciascuno dei predetti, oltre a S. e Pe.Fa., va condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di N.M. per essere i reati estinti per morte dell’imputato;

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di U.G. e Mo.Al., nonchè di M.G.B. limitatamente per quest’ultimo ai capi numeri 26) e 27), rigettando il ricorso nel resto, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo esame;

Dichiara inammissibili i ricorsi di S.G. e Pe.Fa. e condanna ciascuno dei due al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende;

Rigetta i ricorsi di Pa.Ca., Pa.Sa., D. C.F., C.C., D.R.C., F. M., M.M. e P.G. e condanna ciascuno di loro, nonchè S. e Pe.Fa. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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