Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-01-2011) 14-02-2011, n. 5421 Impugnazioni

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Forlì, con sentenza in data 28/4/2010, applicava, ex art. 444 c.p.p., a G.L. (imputato di concorso in rapina aggravata ai danni della Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna, agenzia n. (OMISSIS), lesioni personali ai danni di due dipendenti del predetto istituto bancario e illegittimo porto fuori dall’abitazione di un cutter), la pena di anni tre, mesi due di reclusione e Euro 1400 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 133 e 62 c.p. rilevando l’eccessività del trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle circostanze aggravanti contestate.
Motivi della decisione

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, "la richiesta di applicazione di pena patteggiata costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, pervenuto a conoscenza dell’altra parte, non può essere modificato unilateralmente nè revocato, e, una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti – e, quindi, anche al pubblico ministero – prospettare questioni e sollevare censure con riferimento alla sussistenza e alla giuridica qualificazione del fatto, alla sua soggettiva attribuzione, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e modalità di applicazione della pena. In tale ambito, l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti".

Inoltre, "in tema di patteggiamento le parti, sia quella privata che pubblica, una volta intervenuti l’accordo e la ratifica motivata, non possono più recedere dall’irretrattabile patteggiamento e non possono proporre questioni che trovano una preliminare soluzione e la necessaria sintesi nella transazione. Non possono censurare i provvedimenti da essi sollecitati, se rispettosi del principio di legalità e, quindi, revocare il consenso prestato, con la surrettizia prospettazione del vizio di motivazione dovendo sindacare, specificamente, la statuizione e eventualmente denunziare l’errore di qualificazione giuridica, sulla base degli atti richiamati dalla sentenza. Il principio è valido anche per la Procura generale che, pur avendo una supremazia gerarchica ed istituzionale, non può sostituire la propria volontà a quella già manifestata, in forza della conoscenza diretta degli elementi concreti acquisti al processo, dal pubblico ministero che ha partecipato al patteggiamento, e non può proporre come motivi di ricorso censure che si sostanziano in un recesso dall’accordo".

(Cass. pen., sez. 5, sent. n. 627 del 5.2.1999 dep. 4.6.1999 rv 213520).

Avendo l’imputato richiesto, nell’istanza di patteggiamento, assentita dal P.M., la pena finale comminata, con le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva, non può più contestare nuovi fatti (quali il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti) che comporterebbero una pena minore di quella richiesta o assentita. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di millecinquecento Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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