Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-03-2011, n. 6972 Servitù coattive di acquedotto e di scarico di acqua

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Tra i sigg. R.G. e I.P., in veste di attori, e i sigg. D. e F.P., in veste di convenuti e attori in via riconvenzionale, si svolse davanti al Tribunale di Napoli un giudizio su tre cause riunite, avente ad oggetto la proprietà – comune o individuale – di una corte e di un viale in (OMISSIS), dai quali si accedeva alle rispettive proprietà delle parti, nonchè il diritto degli attori di posare sul sottosuolo del viale una conduttura idrica a servizio della loro proprietà, ovvero, in subordine, quello di ottenere una servitù coattiva di acquedotto al medesimo fine.

La Corte di Napoli, sui gravami incrociati della parti e in riforma della sentenza di primo grado, ritenne che sia il viale sia la corte – o meglio le due corti in questione, costituenti in realtà "larghetti" lungo il predetto viale – fossero di proprietà esclusiva F.; accolse, quindi, delle domande degli originari attori, solo quella di servitù coattiva di acquedotto e condannò i medesimi attori, in considerazione della loro sostanziale soccombenza, alle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la sentenza di appello i sigg. R. e I. hanno proposto ricorso per cassazione per quattro motivi, cui gli intimati hanno resistito con distinti controricorsi.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando "violazione dell’art. 112 c.p.c.", si articolano due censure.

A) Con la prima si deduce che gli attuali ricorrenti avevano, con appello incidentale, criticato la sentenza di primo grado nella parte in cui affermava l’esistenza di una sola corte comune. Avevano sostenuto che, invece, le corti erano due: una, corrispondente alla particella catastale n. 319, comune alle parti;

l’altra, corrispondente alle particelle nn. 315 e 317, di proprietà esclusiva della R. rientrando nei beni un tempo appartenuti alla principessa d.. A sostegno della loro tesi, gli appellanti incidentali avevano richiamato un atto di divisione del 1887 l’"atto Cozzolino", prodotto dai F. – il quale "non contemplava la consistenza immobiliare oggetto del dominio della principessa d. (comprendente le attuali p.lle 315 e 317)". La questione – si osserva – era "sorretta con vari argomenti (sub a, b, e, d, e, f)" e in particolare con la considerazione che nell’atto Cozzolino era prevista la formazione di un ulteriore viottolo, che sarebbe stato inutile se i condividenti avessero potuto usufruire, per l’accesso ai rispettivi fondi, della corte erroneamente ritenuta comune dal Tribunale. Si lamenta, quindi, che i giudici di appello non abbiano affrontato tale motivo di gravame, così incorrendo nei vizi di carenza di motivazione e omessa pronuncia.

B) La seconda censura è, all’opposto, di ultrapetizione, avendo i giudici di appello negato la proprietà esclusiva di una della due corti, pretesa dalla R., nonostante non vi fosse stata in proposito alcuna contestazione da parte dei F. e, anzi, uno di essi – P. – avesse, con le sue domande riconvenzionali di usucapione o accessione di parte della medesima corte, implicitamente riconosciuto il diritto preteso dall’avversaria.

1.1. – Nessuna delle due censure può trovare accoglimento.

Ed invero la censura A):

sotto il profilo della omessa pronuncia è infondata, perchè il mancato esame, da parte del giudice di appello, di argomentazioni tradottesi in distinti motivi di gravame non da luogo al vizio di omessa pronunzia, se il capo devoluto è stato deciso (Cass. 5277/2006); e nella specie i giudici di appello hanno deciso sul capo in questione, statuendo che le due corti erano di proprietà F.;

sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione è parimenti infondata, perchè la sentenza impugnata è motivata, quanto alla proprietà delle due corti, in base alle risultanze dell’atto Cozzolino, sulle quali ampiamente si diffonde;

– sotto il profilo del vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5) è inammissibile, perchè i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, omettono di riportare il contenuto degli atti e documenti richiamati.

La censura B) è del pari inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza del ricorso, che non precisa i passaggi degli atti che conterrebbero l’ammissione della proprietà esclusiva della corte in questione in capo alla R..

2. – Con il secondo motivo di ricorso, denunciando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si deduce la contraddittorietà della sentenza impugnata, la quale, dopo aver accertato l’esistenza di due corti, distinte rispettivamente alle particelle catastali nn. 315 e 317 e n. 319, ha poi negato l’esistenza di corti o cortili affermando che, invece, si trattava di due slarghi dell’unico viale posti rispettivamente davanti alla casa colonica F. e al fondo d..

2.1. – Il motivo è inammissibile, perchè stravolge il senso delle affermazioni della sentenza impugnata, tra le quali non vi è alcuna contraddizione, sostanziandosi la seconda nella semplice puntualizzazione che quelle che dalle parti venivano definite "corti" altro non erano che "larghetti" dell’unico viale.

3. – Con il terzo motivo, denunciando omessa motivazione, si lamenta che la Corte di appello non abbia dato conto del ragionamento con cui è pervenuta all’interpretazione dell’atto Cozzolino posta a base della sua decisione, malgrado la questione fosse stata esplicitamente posta con l’appello incidentale degli attuali ricorrenti e malgrado fosse pacifica, oltre che accertata dalla consulenza tecnica di ufficio, la diversa provenienza delle particelle nn. 315 e 317. 3.1 – Anche questo motivo è inammissibile perchè generico e non autosufficiente.

Una motivazione dell’interpretazione data dell’atto Cozzolino la Corte d’appello la fornisce (a suo giudizio l’atto prevedeva una servitù di transito, dunque il viale, con i suoi larghetti, non poteva essere comune, altrimenti non vi sarebbe stata necessità della servitù), quindi non ricorre il difetto assoluto di motivazione. Piuttosto, ancora una volta, i ricorrenti per criticare tale motivazione fanno riferimento ad atti (il loro appello incidentale; gli atti da cui scaturirebbe la convergenza di opinioni delle parti sulla, peraltro oscura, "diversa provenienza delle p.lle 315 e 317"; la consulenza tecnica d’ufficio) di cui non riproducono il contenuto; e questo rende inammissibile la censura anche sotto il profilo del mero vizio di motivazione.

4. – A conclusione del ricorso viene formulata, poi, un’ennesima censura, non elencata e numerata come distinto motivo, e tuttavia chiaramente articolata. Si critica, cioè, per violazione dell’art. 91 c.p.c. e vizio di motivazione, la statuizione di condanna degli attuali ricorrenti alle spese processuali attesa la loro prevalente soccombenza, e si sostiene che più corretta sarebbe stata, invece, una decisione di parziale compensazione in considerazione della soccombenza reciproca delle parti.

4.1. – La censura non può essere accolta, perchè la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. 10861/2002, nonchè 14989/2005, resa a sezioni unite, e successive conformi).

5. – Il ricorso va in conclusione respinto.

E’ il caso di precisare che, per quanto il controricorrente F.P. annunci, alla diciassettesima pagina del suo controricorso, l’intenzione di proporre ricorso incidentale affinchè la sentenza impugnata "venga riformata nel punto in cui dichiara precluso ad esso resistente il diritto ad ottenere dai signori F. e R. l’indennizzo ex art. 1038 c.c.", omette poi del tutto di articolare l’annunciata censura e conclude, anzi, per l’integrale conferma della sentenza. Dunque deve ritenersi che in realtà non sia stato proposto alcun ricorso incidentale.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese processuali, liquidate in Euro 1.700,00, di cui 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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