Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-01-2011) 14-02-2011, n. 5579 Sicurezza pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.G., la moglie, C.A., ed il loro figlio G.A., ricorrono a mezzo del loro difensore, avverso l’ordinanza 10 dicembre 2009 della Corte di Appello di Lecce con la quale è stato rigettato il ricorso proposto avverso il decreto 18 febbraio 2009 del Tribunale di Brindisi, che aveva respinto la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale, ed accolto invece la richiesta di misura di prevenzione patrimoniale (disponendo il sequestro e la confisca dei beni della moglie C. e del figlio A.), deducendo nella decisione impugnata sia violazioni di legge che vizio di motivazione, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

Con note difensive, depositate il 25 gennaio, si sostiene la necessità dell’intervento dei difensori in udienza pubblica, con richiesta principale di sollevare d’ufficio, in caso contrario, la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 611 c.p.p. per violazione dell’art. 6 CEDU e art. 117 Cost., comma 1.
Motivi della decisione

1.) preliminare affermazione della ritualità del rito camerale ex art. 611 c.p.p..

Le questioni proposte nelle note difensive vanno preliminarmente esaminate, qui osservando che la trattazione dei ricorsi per cassazione aventi ad oggetto la materia delle misure di prevenzione, è soggetta al rito camerale previsto dall’art. 611 c.p.p., sia perchè rientra nella regola generale di tale norma, che si riferisce ai ricorsi contro provvedimenti non emessi nel dibattimento, sia perchè essa non può farsi rientrare nei casi di trattazione con il rito camerale di cui all’art. 127 c.p.p., i quali hanno natura di eccezionalità e, come tali, non suscettibili di estensione per analogia (Cass. pen. sez. 1, 5760/1999 Rv. 212440).

Orbene, l’applicazione della regola che impone la trattazione con la procedura camerale non partecipata ( art. 611 c.p.p.), non trova ostacolo nella pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo 13 novembre 2007 in causa Bocellari e Rizza c/ Italia, che si riferisce solo ai procedimenti davanti ai giudici di merito (Cass. pen. sez. 6, 17229/2009 Rv. 243665. Massime precedenti Conformi: N. 8990 del 2008 Rv. 239515, N. 11279 del 2008 Rv. 239046, N. 14010 del 2008 Rv.

240137).

Inoltre questa sezione ha di recente ritenuto, ed il collegio intende ribadire (nonostante una diversa decisione di altra sezione in proposito), la manifesta infondatezza, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 611 c.p.p., L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4 e L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, nella parte in cui non consentono che, a richiesta di parte, il procedimento di legittimità in materia di misure di prevenzione si svolga in pubblica udienza, anzichè in camera di consiglio (Cass. pen. sez. 6, 2269/2010 Rv. 245706).

Tanto premesso vanno ora esaminati i motivi di impugnazione.

2.) i motivi di impugnazione e la decisione della Corte. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta la nullità dell’ordinanza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla L. n. 575 del 1975, art. 2 bis, comma 6 bis, nonchè per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 125 c.p.p., comma 3, avendo l’ordinanza confermato il decreto del Tribunale e, dunque, la confisca dei beni della moglie e del figlio di G.G., pur essendo stata esclusa l’attualità della pericolosità sociale del proposto.

Il ricorrente osserva in proposito che il Tribunale aveva ritenuto accertata la pericolosità sociale di G.G. per il solo periodo risalente agli anni 80 e 90, considerato che i primi Giudici hanno escluso l’attualità della pericolosità stessa, senza esaminare il tema relativo alla portata della modifica, introdotta alla L. n. 575 del 1975, art. 2 bis, comma 6 bis, dalla L. n. 125 del 2008, art. 10, così limitandosi alla mera affermazione di principio dell’astratta possibilità di un’applicazione disgiunta della misura di prevenzione reale rispetto a quella personale, nonchè sottolineando l’autonomia della prima rispetto alla seconda, senza chiarire le ragioni per le quali la diversa soluzione ermeneutica proposta con il ricorso avverso il decreto del Tribunale non fosse condividibile. In particolare il ricorso:

1) evidenzia come l’interpretazione della disposizione di legge in questione non possa prescindere dal quadro normativo complessivo, previsto dall’ordinamento positivo nelle sue varie articolazioni e, quindi, tanto dal codice penale quanto dalle leggi speciali in materia; con la conseguenza che all’esito di una tale complessiva disamina deve concludersi che nei confronti della persona socialmente pericolosa il Giudice della prevenzione può provvedere soltanto quando sia dimostrata la pericolosità sociale e la stessa sia attuale;

2) precisa che, diversamente opinando, il Giudice della prevenzione potrebbe sempre e comunque disporre la confisca dei beni del condannato, ricorrendo il presupposto della sproporzione di cui si è detto, anche a distanza di anni dall’eventuale passaggio in giudicato di una sentenza concernente una condanna per determinati reati;

3) segnala che, laddove si ritenga che la confisca possa essere disposta indipendentemente dall’applicazione della misura di prevenzione personale, cioè anche nei confronti di soggetto non attualmente pericoloso, verrebbe meno ogni certezza in ordine alla situazione patrimoniale dell’individuo, considerato che la misura patrimoniale può essere disposta anche nei confronti dei familiari dell’interessato e perfino di terzi. Il motivo è privo di fondamento.

Come esattamente affermato dal Procuratore generale, il primo motivo del ricorso,per violazione di legge e vizio di motivazione, risulta basato esclusivamente su di una prospettazione non condivisibile, secondo la quale, nell’ambito di una ricognizione del sistema della prevenzione, ed alla stregua delle novelle legislative del 2008 e del 2009 (che hanno modificato taluni aspetti non marginali del sistema normativo della prevenzione), sarebbe evidente la volontà del legislatore di consentire l’applicabilità della misura di prevenzione patrimoniale soltanto nei confronti di chi, al momento della richiesta, sia attualmente pericoloso.

Ritiene la Cotte, in adesione alle puntuali e precise osservazioni della parte pubblica (qui riprese) che tale prospettazione della difesa non sia coerente con il principio della cosiddetta autonomia della misura patrimoniale di prevenzione rispetto a quella personale.

Tale principio risulta infatti affermato dalle recenti novelle legislative del 2008 e del 2009, considerato che la L. n. 125 del 2008, nel primo inciso della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 bis, comma 6 bis e ss. modd., aveva disposto che "le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente… ",… inciso questo, successivamente ancora modificato ad opera della L. 15 luglio 2009, n. 94, recante "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", con il risultato che il comma 6 bis, a seguito di tale novella del 2009, presenta oggi la seguente formulazione: "6-bis. Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione. Le misure patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa".

Ad avviso del Procuratore generale il legislatore – sensibile alle critiche rivolte alla sostanziale incompiutezza della medesima riforma del 2008 – ha ritenuto di integrare il quadro normativo – derivante da tale novella- con l’ulteriore, succitata modifica introdotta dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 22.

In proposito la parte pubblica, nella sua requisitoria scritta, richiama adesivamente una relazione (n. 111/09/09 del 27 luglio 2009) dell’Ufficio del massimario della Corte di cassazione, evidenziando:

a) che la nuova regolamentazione porta ad ulteriore sviluppo una delle innovazioni più significative del "decreto sicurezza":

l’introduzione (per l’appunto) del principio di reciproca autonomia tra le misure personali e patrimoniali, con la conseguente applicabilità di queste ultime nei confronti dei successori (a titolo universale o particolare) e la prosecuzione del procedimento nei confronti di costoro nel caso di decesso del proposto;

b) che il D.L. n. 92 del 2008 aveva fatto venire meno la regola generale della accessorietà delle misure patrimoniali al procedimento applicativo delle misure di prevenzione di natura personale (v. Corte Cost. sentenza n. 335 del 1996) e che il disposto della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 6 bis, introdotto dal D.L. n. 92 del 2008, art. 10, stabilendo che "le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente", aveva già spezzato definitivamente il nesso di necessaria presupposizione tra i due tipi di misure;

c) che pertanto la nuova regola è quella della autonomia fra misure personali e patrimoniali" ed il procedimento di prevenzione patrimoniale può oggi "… essere avviato a prescindere da qualsiasi proposta relativa alla adozione di misure personali";

d) che la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 22, "… fornisce ora una importante precisazione in ordine ai parametri da utilizzare nel giudizio in ordine alla applicazione della misura patrimoniale "disgiunta" dalla misura personale, atteso che la applicazione della misura patrimoniale prescinde del tutto da ogni valutazione in ordine alla pericolosità sociale del suo destinatario al momento della richiesta";

e) che peraltro, nonostante l’intervento innovativo dettato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 22, ".. anche in caso di proposizione di una misura patrimoniale ‘disgiuntà da una richiesta di misura personale, è comunque necessario che il giudice accerti in via incidentale l’inquadrabilità del proposto nelle categorie dei soggetti che possono essere destinatari dell’azione di prevenzione:

indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, ecc,;

f) che, in ogni caso, la nuova norma non risolve, almeno esplicitamente, la complessa questione relativa alla necessità – o meno – di una correlazione temporale tra la pericolosità sociale del soggetto e l’acquisto dei beni da sottoporre alle misure di prevenzione patrimoniali", valutato il rischio di applicare le misure di prevenzione patrimoniali indipendentemente dalla sussistenza di indizi di appartenenza ad un’associazione mafiosa o di consumazione di crimini connessi al crimine organizzato, laddove, con la modifica dell’art. 2 bis, comma 6 bis, il legislatore si limita a non richiedere più genericamente la pericolosità sociale, piuttosto che prevedere specifiche ipotesi in cui si ritiene possibile, pur in presenza degli indizi in questione, che non sussista o sia venuta meno la pericolosità sociale (come nel caso di assenza, di dimora all’estero, di morte, di sussistenza di uno stato di detenzione);

g) che, peraltro, anche l’intervento innovativo dettato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 22, non consente, di eludere la necessità di tener conto degli equilibri interpretativi più avanzati, frutto dell’elaborazione della Corte di legittimità e che giustificano la possibilità di procedere alla confisca dei beni ritenuti nella disponibilità del proposto, deceduto nelle more del procedimento (caso, per l’appunto, paradigmatico, di scissione tra misura personale e misura patrimoniale di prevenzione di prevenzione), in quanto siano rimasti accertati i presupposti di pericolosità personale qualificata e di indimostrata legittima provenienza dei beni.

La conclusione ragionevole del Procuratore generale -che la Corte fa propria- è che, alla stregua di tale ultima considerazione, viene evidenziata la regola da assumere allorchè si proceda all’adozione di una misura patrimoniale di prevenzione in assenza di una misura personale.

In tale evenienza, è infatti obbligatorio da parte del giudice, al di là di qualsiasi concettualizzazione in ordine alla pericolosità del bene in sè, l’adozione di un concreto protocollo di accertamento incidentale che attenga, da un lato, alla debita verifica sui contenuti e sulla datazione della "pericolosità personale qualificata" della persona fisica alla quale le attività illecite, produttive di indebite locupletazioni, debbono pur sempre riferirsi, dall’altro lato, alla corrispondente indagine sulla indimostrata legittima provenienza di quei medesimi beni.

Orbene, siffatta doppia cautela risulta osservata dai giudici di merito, con la conseguenza dell’infondatezza degli assunti del ricorrente, i quali non risultano in linea con la corretta interpretazione del sistema della prevenzione, nei termini modificati dagli interventi normativi del 2008 e del 2009, e con l’ulteriore derivato esito di inefficacia e non risolutività delle altre questioni proposte e concernenti l’inattualità di tale pericolosità all’atto dell’ablazione patrimoniale.

Il primo motivo va quindi rigettato perchè infondato.

Con un secondo motivo si lamenta nullità dell’ordinanza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, nonchè per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 125 c.p.p., comma 3.

Nel merito, si contesta che la Corte di Appello abbia ritenuto che G.G. sia stata persona socialmente pericolosa, senza individuare ed esporre gli elementi di fatto su cui ha fondato il proprio giudizio: l’ordinanza impugnata ha, invero, soltanto indicato il sequestro preventivo disposto L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies nell’ambito di procedimento penale definito con sentenza di prescrizione.

Il motivo non supera la soglia dell’ammissibilità.

I giudici di merito hanno infatti convenientemente spiegato:

a) che G.G. ha rivestito la qualità di persona socialmente pericolosa durante tutto il corso degli anni 80 e 90, allorquando era dedito al contrabbando di tabacchi lavorati esteri ed ha così potuto accumulare le risorse economiche dalle quali è derivato il patrimonio oggetto di confisca;

b) che tanto risulta in particolare dalla sentenza del Tribunale di Brindisi dell’11 luglio 2005, che ha condannato il prevenuto alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il delitto di cui all’art. 416 c.p. e nella quale è stato evidenziato lo stretto rapporto che legava il medesimo prevenuto al pluripregiudicato P.G., implicato nel traffico internazionale di tabacchi lavorati esteri di contrabbando, nel quale il G. è risultato rivestire un ruolo di vertice nelle organizzazioni contrabbandiere del brindisino;

c) che tale ruolo apicale è anche ed ulteriormente emerso da intercettazioni telefoniche dal significato assolutamente univoco" (cfr. foll. 4-5 del decreto di secondo grado).

Le doglianze del ricorso ignorano quindi tale diversa giustificazione offerta dalla corte distrettuale e dal primo giudice con conseguente inammissibilità del motivo.

Per ciò che attiene alle prospettazioni critiche oggetto del secondo profilo del secondo motivo di ricorso, va rilevato; come peraltro argomentato dal Procuratore generale, che esse si concretizzano in censure non consentite in quanto connotate da consistente grado di genericità, in presenza di una motivazione completa e adeguata alle risultanze processuali in ordine all’illiceità della formazione del patrimonio del prevenuto e dei suoi familiari.

L’assunto di un’inesistente sperequazione tra capacità economiche del G. e dei suoi familiari ed il valore dei beni riconducibili al proposto e ai suoi congiunti e l’ulteriore affermazione di un errore di diritto in ordine all’avvenuta inversione dell’onere della prova, sono palesemente infondati.

La lettura del ricorso evidenzia infatti il tentativo di proporre in sede di legittimità un non consentito apprezzamento alternativo dei dati processuali, quali invece esaminati e pesati dai giudici di merito con motivazione conforme ed una giustificazione indenne da incoerenze od illogicità, con un suggestivo invito ad effettuare da parte del giudice di legittimità una non ammessa sovrapposizione argomentativa.

In ogni caso, ai fini dell’applicabilità della misura patrimoniale in oggetto, va ribadito che è sufficiente che sussistano: o una sproporzione tra le disponibilità e i redditi denunciati dal proposto, ovvero indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni dei quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di attività illecite e che il proposto non sia riuscito a dimostrare la legittima provenienza del danaro utilizzato per l’acquisto di tali beni.

Da ciò consegue che non si verifica alcuna inversione dell’onere della prova, perchè la legge (ed i giudici di merito hanno fatto buon governo di tale regola valutativa) ricollega a fatti sintomatici la presunzione di illecita provenienza dei beni e non alla mancata allegazione della loro lecita provenienza, la cui dimostrazione è idonea a superare quella presunzione (Cass. pen. sez. 5, 228/2008 Rv.

238871), nè può pretendersi che la mera prospettazione di una qualunque, ipotetica ricostruzione dei meccanismi genetici del compendio in confisca sia idonea ad assolvere ad una efficace funzione liberatoria.

Orbene, in conclusione, nella vicenda, i profili critici dell’impugnazione tendono, da un lato, ad isolare specifici aspetti della fattispecie concreta, estrapolandoli dal contesto delle altre fonti, che sono risultate ragionevolmente idonee a giustificare la genesi illecita del patrimonio, e dall’altro, a rimarcare la possibilità di comprendere nel novero dei redditi illeciti anche quelli derivanti dall’evasione fiscale.

Si può quindi in definitiva affermare, con il Procuratore generalesche non si è affatto verificata un’indiscriminata ablazione dei beni, ma ci si trova di fronte ad un’ampia e ragionata analisi dei cespiti di ritenuta, illecita origine – conforme alla regola della c.d. Valenza reale dell’indiziò – analisi mirata che si è contrapposta all’esame delle effettive disponibilità economiche, che si sono ritenute esenti da contaminazioni, sino a pervenire al convincimento dell’impossibilità di accedere lecitamente all’acquisto del compendio confiscato, nonchè accompagnata da una trama argomentativa, coerente, completa, logica e conseguente rispetto alle premesse fondanti la decisione impugnata.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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