Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-01-2011) 14-02-2011, n. 5574 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 15/10/2009, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, condannando:

M.P. e F.G., oltre che per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 aggravato, anche per delitto associativo, determinando la pena finale del delitto continuato quanto al primo in anni sei e mesi otto di reclusione e, quanto a F., in anni undici di reclusione ed Euro 36.000 di multa; nel provvedimento è stata esclusa l’operatività dell’aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4 nei confronti di tutti gli imputati, ed è stata determinata la sanzione a carico di B. in anni sette di reclusione.

2. La difesa di B. impugna la decisione per violazione di legge nella parte in cui non riconosce l’attenuante della collaborazione, sottolineando che il suo assistito, prima del giudizio abbreviato, ed immediatamente dopo l’applicazione della misura, si era attivato per fornire le prove del reato e sottrarre risorse decisive all’organizzazione; lamenta sul punto contraddittorietà della motivazione, e richiama a fondamento del ricorso il contenuto degli interrogatori resi, che attestano la presenza del quid pluris fornito dal dichiarante rispetto al contenuto delle intercettazioni; si sottolineano le indicazioni fornite per la cattura di un latitante, di ulteriori partecipi, a quel momento estranei alle misure cautelari disposte, con offerta di elementi specifici per l’individuazione di persone note all’epoca agli inquirenti solo sulla base del nome di battesimo o dell’attività lavorativa. La contraddittorietà della motivazione è ritenuta manifesta dal richiamo operato in sentenza all’imprescindibile riferimento alle indicazioni fornite dall’odierno ricorrente, per interpretare le conversazioni.

Analogo vizio è lamentato quanto alla motivazione del rigetto delle attenuanti invocate, sulla base della ritenuta marginalità del contributo offerto, prospettato come incidente su elementi secondari, laddove, tra l’altro, proprio tali indicazioni hanno consentito nella sentenza di appello di sovvertire il giudizio sull’accusa associativa contestata a F., permettendo di giungere alla sua condanna.

Si argomenta in diritto sulla sussistenza nel concreto di tutti gli elementi valutati rilevanti dalla S.C. per riconoscere il trattamento premiale, sia nella forma prevista dall’art. 73, comma 7 che in quella indicata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7. Si ritiene sufficiente a tal fine che l’agente abbia offerto tutte le sue conoscenze, potendo il risultato essere costituito, oltre che dalla sottrazione di risorse, anche dal decremento del numero di persone dedite all’attività illecita e si esclude la rilevanza della fase processuale in cui tali elementi sono stati forniti, in forza della giurisprudenza di questa Corte.

Sulla base di principi richiamati si sollecita l’annullamento della pronuncia per non aver riconosciuto le attenuanti speciali invocate.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al giudizio di pericolosità sociale operato dalla Corte di merito, che ha condotto alla conferma delle misure di sicurezza applicate, malgrado il riconoscimento della resipiscenza, che ha consentito la concessione delle attenuanti generiche, ed ha imposto l’esposizione del ricorrente conseguente all’indicazione dei complici dell’azione criminosa.

Ancora più contraddittoria risulta la motivazione di pericolosità fondata sul riconoscimento della capacità di interagire a livello internazionale, quando contestualmente si è giunti all’esclusione dell’aggravante della trasnazionalità. Si chiede di conseguenza di annullare la statuizione sulla libertà vigilata, o di disporre il rinvio per la riduzione della sua determinazione temporale.

3. La difesa di M. lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, evidenziando che nei motivi di appello è stata sollecitato l’accertamento della limitazione temporale della condotta criminosa, già circoscritta nel suo termine finale dal primo giudice al (OMISSIS), ritenendola invece conclusa nell’agosto 2005.

La diversa decisione è stata fondata sull’attribuzione al M. dello stupefacente rinvenuto nella casa di (OMISSIS) dell’anziano padre, nel presupposto di fatto indiscusso che questi non avesse mai trattato sostanze stupefacenti, e sulla base della mancanza di elementi che consentissero di ricondurre a terzi estranei la presenza In quel luogo. Si osserva in senso contrario che M. ha dedotto che il fratello di T.P., M., aveva libero accesso nell’alloggio di suo padre, e si lamenta in argomento il mancato superamento in fatto di tale deduzione da parte del giudice d’appello.

4. Con il secondo motivo si deducono i medesimi vizi, in relazione alla sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità, non ritenendo che gli elementi processuali ne dimostrassero la ricorrenza, osservando che il mancato sequestro del chilogrammo di cocaina non aveva permesso di accertarne la concentrazione, e dunque di verificare la correttezza della contestata aggravante, non essendo possibile in tale situazione di fatto valutare la capacità di tale bene di saturare il mercato, accertamento valutato essenziale, data la natura relativa del concetto di quantità rilevante.

5. Con il terzo motivo si lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, nel presupposto, ritenuto erroneo, che le indicazioni rese, pur indubbie, non abbiano condotto alla sottrazione di mezzi.

Si richiamano in argomento i provvedimenti cautelari e del giudice del riesame per argomentare in fatto la valenza della collaborazione offerta, lamentando la sottovalutazione del dato di fatto, pur dato per pacifico dal giudice di merito, che, sulla base di essa si fosse giunti all’emissione di tre ordinanze di custodia cautelare, che avevano avuto sicura incidenza sulla prosecuzione dell’attività illecita, mentre il mancato sequestro di stupefacente non poteva ascriversi all’imputato, poichè senza sua colpa tra tali dichiarazioni e gli arresti erano decorsi circa dieci mesi.

Si chiede pertanto l’annullamento della sentenza sui punti richiamati.

6. Con memoria depositata l’11/1/2011 la difesa ha proposto un’integrazione dei motivi di ricorso, osservando che, a seguito dell’affermazione di responsabilità del M. in secondo grado per il reato associativo non era stata posta in evidenza nel dispositivo la data finale di consumazione del reato al (OMISSIS), pur accertata pacificamente nella pronuncia di primo grado, quanto ai singoli episodi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, elemento di fatto rilevante al fine dell’applicazione dell’indulto, che non era invece stato definito dal giudice del merito e non poteva essere posto in appello, poichè in primo grado per tale reato si era giunti all’assoluzione. Per contro, l’elemento di fatto del termine di durata dell’associazione al marzo 2006 può desumersi dall’esclusione di applicabilità dell’aggravante della transnazionalità avvenuta in ragione dell’impossibilità di applicazione retroattiva della norma, entrata in vigore il 12/4/2006.

Si chiede pertanto l’annullamento della sentenza sul punto o in subordine, l’integrazione del dispositivo, con l’esplicitazione del limite temporale indicato.

7. La difesa di F. lamenta violazione di legge e difetto di motivazione della sentenza in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto associativo, esclusa dal primo giudice.

Si denuncia in argomento che, dopo aver ritenuto la costituzione di un’associazione nel corso del 2005, in seno alla quale il F. aveva l’incarico di smistare in Olanda la droga che altri si impegnava a far giungere dal sud America, il giudice di merito non valuta ostativo alla ricostruzione accusatoria il dato di fatto, pur accertato, che le prove del suo ruolo effettivo fossero emerse solo nel giugno luglio dell’anno successivo, ritenendo di poter far retroagire l’adesione solo in forza della considerazione della funzione centrale della presenza di un sodale del gruppo in Olanda, e della mancanza di elementi che conducessero ad individuare la presenza di altro canale di smistamento in quella nazione. Ulteriore elemento di illogicità deriva dalla circostanza che F. non risulta aver avuto contatti con associati diversi da B., e che da una specifica conversazione emerge che non intendeva lavorare con I., che invece faceva pacificamente parte dell’organizzazione illecita.

In presenza di elementi di segno contrario rispetto all’accusa, e della mancata individuazione di mezzi comuni, quale un centro di smistamento, sarebbe stato specifico onere motivazionale del giudice soffermarsi sull’organicità del F. al gruppo, onere che si ritiene non assolto nel provvedimento impugnato, ove non è stato giustificato come possa desumersi un’adesione risalente all’anno precedente dalla prova di partecipazione a due episodi successivi di traffico della sostanza illecita.

8. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge e difetto di motivazione riguardo la presenza di elementi sufficienti per pervenire all’affermazione di responsabilità per il contestato traffico di sostanza stupefacente, assumendo che la circostanza che F. si identifichi nella persona pronta a ricevere la droga di cui B. parla con il suo interlocutore, non possa trarsi efficacemente dalla presenza di una conversazione antecedente del primo con l’odierno ricorrente.

9. Con il terzo motivo si valuta illogica l’identificazione del ricorrente quale persona che smistava la droga proveniente da I., in assenza di prove di qualsiasi collegamento tra i due, e la deduzione riguardo il rilievo della mera successione delle conversazioni, senza che fosse stato predisposto a riscontro un servizio di osservazione, lamentando la presenza di un salto logico in tale ricostruzione. Si assume smentita dalle emergenze processuali anche la pretesa costituzione di un canale di smistamento in Olanda, per il tramite di F., posto che i contatti telefonici tra questi e B. erano contenuti il numero di dieci nell’arco di cinque mesi, circostanza di fatto che contrasta la pretesa di stabilità dell’accordo. Si richiama a riguardo una specifica telefonata, riportata in atto di appello, intercorsa tra M. e B. nel settembre 2005, dalla quale si può desumere che i due non avessero preso in considerazione F. come punto di riferimento ad Amsterdam, elemento di fatto sul quale la Corte non ha ritenuto di argomentare nulla di segno contrario.

10. Con il quarto motivo si denunciano i medesimi vizi in relazione alla ritenuta sussistenza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, sulla base del richiamo nelle conversazioni intercettate, a decine di chili, lamentando che per operare la valutazione si fosse fatto riferimento al quantitativo globale delle cessioni, per sommatoria, invece che analizzarle nella singola consistenza, valutazione particolarmente delicata nella specie ove non risultano operati sequestri, nè analisi sui principi attivi della sostanza.

11. Con il quinto motivo si denunciano i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni, respinta nel presupposto che, essendosi scelto il rito abbreviato, e riguardando l’eccezione un difetto di motivazione del provvedimento autorizzativo, non fosse possibile per il rito prescelto, operare tale rilievo, assunto la cui fondatezza si contesta in diritto. Si eccepisce inoltre sul punto che la Corte ha operato una motivazione per relationem a pagine specifiche della sentenza di primo grado, omettendo di analizzare i rilievi, altrettanto specifici, di segno contrario, contenuti in atto di appello.

12. Con il sesto motivo si eccepisce la presenza di analoghi vizi in merito alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 6 fondata sul dato storico della presenza di un provvedimento restrittivo, omettendo di argomentare in ordine alla conoscenza dello stesso da parte dell’interessato, malgrado la riforma dell’art. 59 c.p., comma 2 richiedesse uno specifico accertamento in tal senso.

Si chiede pertanto l’annullamento della sentenza indicata.
Motivi della decisione

1. I rilievi svolti dalla difesa B. e M. sull’applicabilità dell’attenuante della collaborazione, sia in relazione al delitto di cu al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, che in riferimento all’ipotesi associativa non colgono nel segno. A dispetto della difforme allegazione, nelle sentenze di merito risulta congruamente motivata la ragione del mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione, che sia nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 che, con modalità più incisive, nel delitto associativo di cui all’art. 74, comma 7 L.cit. è configurata come un’attività di grande incidenza nel lavoro investigativo, con la funzione di garantire risultati concreti alle indagini e di interrompere il circuito dell’attività illecita. Essenziale a tal fine è quindi la tempestività dell’indicazione, che permetta di agire per interrompere l’attività, nonchè la completezza delle indicazioni rese dal dichiarante, che deve fornire tutto il suo patrimonio di conoscenza. In riferimento all’attività associativa il collaborante deve per di più raggiungere con le sue affermazioni l’obiettivo di scardinare l’attività del gruppo, offrendo prove del reato, o privando il gruppo di risorse decisive.

Come compiutamente motivato dai giudici di merito, i cui provvedimenti ove conformi nelle conclusioni vanno letti ponendoli in correlazione tra loro, tali estremi di fatto non sussistono nella specie e la motivazione espressa risulta coerente, competa, ed immune da vizi logici, rilevabili nella fase del giudizio di legittimità.

Tali provvedimenti hanno posto in rilievo, quanto al B., la natura graduale, strumentalmente reticente, ed in alcuni casi mendace, dei contributi offerti nei successivi interrogatori resi, circostanze di cui sì da compiutamente atto nella sentenza di primo grado, che analizza in maniera documentale e specifica le progressioni dichiarative, ove si illustra che questi, pur fornendo nomi di pretesi complici,negava che le conversazioni si riferissero ad operazioni illecite giunte a buon fine, offrendo affermazioni confessorie solo nel corso del giudizio abbreviato. Per di più, rispetto agli obiettivi indicati nella norma, la stessa allegazione contenuta nei ricorsi rivela genericità. Risulta irrilevante evidenziare che alcune conversazioni siano state interpretate anche con le indicazioni fornite dal B., poichè questo non esclude la frammentarietà del contributo, che non permette l’applicazione dell’attenuante invocata, per la mancanza di efficacia dell’intervento, non essendo neppure allegato dalla difesa che il suo assistito abbia offerto tutte le sue conoscenze, ed essendo tale dato di fatto escluso proprio dagli specifici richiami della sentenza di primo grado. La condotta tenuta, se pure ha prodotto una conferma della bontà della ricostruzione degli inquirenti o ha facilitato l’attività di interpretazione delle conversazioni in atti, non ha integrato gli elementi costitutivi descritti nelle disposizioni premiali di cui si rivendica l’applicazione, garantendo un più ampio risultato nell’indagine in corso, non l’interruzione di un’attività illecita nell’arco temporale del suo sviluppo.

Neppure risultano censurabili le conclusioni dei giudici di appello ove hanno richiamato la fase processuale, il giudizio abbreviato, nel corso della quale B. ha offerto le sue dichiarazioni, poichè il rilievo di tale indiscutibile dato di fatto non è stato operato per evocare una sorta di insussistente preclusione processuale (Sez. 6, Sentenza n. 34402 del 17/05/2007 imp. Comparini, Rv. 238109), ma per descrivere l’irrilevanza del dato offerto, rispetto alle finalità richiamate dalla disposizione normativa, quale elemento di chiusura della valutazione di parzialità, gradualità e sostanziale ininfluenza delle ammissioni, rispetto allo sviluppo delle indagini, valutazione che, ancora una volta, deve considerarsi coerente, esaustiva, e non posta in crisi dalla genericità dei rilievi contenuti in ricorso, che non aggrediscono l’impianto ricostruttivo complessivo della pronuncia.

L’analisi ricostruttiva svolta nel ricorso in merito agli arresti giurisprudenziali in relazione all’applicazione delle attenuanti della collaborazione previste per il delitto di cui all’art. 73 cit. e quella tratteggiata per l’ipotesi associativa non coglie nel segno, omettendo di confrontarsi con la situazione concreta, esaustivamente tratteggiata dai giudici di merito nel senso ostativo all’applicazione della normativa premiale.

Analogamente il richiamo alle dichiarazioni rese da M. quale elemento utile per condurre all’emissione di ordinanza di custodia cautelare in danno di tre persone non rileva ove, come nella specie, non collegata all’entità delle conoscenze in suo possesso, ed al risultato concreto di scardinare il traffico cui M. ha partecipato; si osserva a riguardo che nè dai provvedimenti di merito, nè dalle stesse allegazioni contenute in ricorso, è possibile desumere la correlazione tra l’attività illecita realizzata da M. e quella attribuita ai tre sottoposti a misura cautelare per effetto delle sue dichiarazioni, sicchè le osservazioni sul punto, oltre a non evidenziare illogicità della motivazione, non permettono di superare il vaglio di ammissibilità, per la loro assoluta genericità e mancanza di pertinenza rispetto ai presupposti applicativi della disciplina invocata, ed alle specifiche osservazioni contrarie espresse a riguardo dai giudici di merito, i quali hanno posto in luce la tardività, genericità ed inveridicità del contributo offerto, giunto ad ammettere quel che emergeva pacificamente dal intercettazioni solo ad iter criminoso già ultimato. Infatti è del tutto pacifico che l’attenuante non possa essere applicata ove l’interessato si sia limitato all’indicazione dei correi (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 20799 del 02/03/2010 imp. Sivolella, Rv. 247376) non dimostrando di aver fornito tutto il suo patrimonio di conoscenze (Sez. 6, Sentenza n. 19082 del 16/03/2010, imp. Khezami, Rv. 247082).

2. Sulla base dei medesimi elementi di fatto risulta inammissibile anche l’ulteriore motivo di ricorso denunciato da B., non ravvisandosi nella pronuncia alcuno dei profili di contraddittorietà segnalati. In particolare si rileva che la concessione delle attenuanti generiche non può porsi in contraddizione con l’accertata pericolosità sociale, costituendo un riconoscimento rispetto alle ammissioni ed allegazioni offerte al termine del processo di primo grado, che non dimostrano, proprio per la loro incapacità di incidere sull’attività illecita nel suo complesso, la recisione dei legami con quell’ambiente, che sola potrebbe far concludere per il venir meno della pericolosità. Come si ricava dalla pronuncia impugnata il trattamento sanzionatorio è stato mitigato a prescindere dall’accertamento della irrevocabilità della scelta di interruzione dei contatti illeciti, il che esclude la contraddizione rilevata.

Analogamente non sussiste l’ulteriore motivo di contrasto logico della decisione di applicazione della misura di sicurezza poichè l’entità del traffico realizzato e la sua ramificazione anche intercontinentale, non è affatto smentita dalla mancata applicazione dell’aggravante di cui alla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4, cui si è giunti esclusivamente in ragione della compiuta delimitazione dell’epoca del commesso reato, che ha condotto ad escludere l’applicazione di una disciplina sanzionatoria entrata in vigore in epoca successiva. Contrariamente a quanto prospettato in ricorso non è intervenuta nessuna esclusione della circostanza in fatto, mentre dall’esame delle conversazioni richiamate nei provvedimenti di merito si ricava ampiamente che B. teneva contatti sia con I., all’epoca risiedente in sud America, sia con F. in Olanda, che con altri correi in diversi Stati Europei, contatti che gli permettevano di richiedere la consegna della droga in nazioni diverse, dove aveva sempre la possibilità di stoccare la merce presso persone a lui collegate, e ciò evidenzia sia la presenza di legami internazionali, sia l’estrema pericolosità dell’azione, legittimando l’applicazione della misura di sicurezza, di cui risulta corretta anche la quantificazione, non valorizzandosi elementi di contrasto motivazione sul punto.

3. Inammissibile è il ricorso di M., volto a limitare l’efficacia temporale dell’attività illecita, riportandola ad epoca antecedente il (OMISSIS), data del reperimento dei 314 gr di cocaina nell’abitazione di suo padre. Il giudice ha congruamente motivato in merito alla riconducibilità di tale sostanza al M., in ragione della sua esclusiva legittimazione ad entrare nell’alloggio, e la diversa allegazione circa la possibilità che tale accesso fosse consentito anche al cugino, non è in alcun modo circostanziata, sicchè non risulta idonea a scalfire la ricostruzione accusatoria. In particolare, non risulta a quale titolo la persona indicata potesse entrare a piacimento nell’abitazione paterna, tale assoluta disponibilità del luogo essendo necessaria alla gestione del prezioso carico. Peraltro risulta che M., all’epoca residente in Romagna, fosse in contatto proprio con T. P., fratello della persona astrattamente legittimata ad entrare a casa del padre dell’odierno ricorrente, e che tale contatto fosse funzionale a consegnargli la droga che doveva smistare nell’isola, elemento di fatto che escluderebbe, anche ove provata l’interposizione di T.M., l’autonomia di tale intervento rispetto all’azione del ricorrente. La natura non dirimente dell’assunto, e soprattutto la mancanza di prove a fondamento del dato di fatto allegato, esclude che sul tale punto della decisione possa riconoscersi un difetto di motivazione.

Anche il modus operandi dell’imputato, come richiamato nelle sentenze di merito, ove è stata accertata la presenza dello stupefacente nelle sue pertinenze, denota la riconducibilità allo stesso della droga reperita nell’aprile 2006 nell’abitazione siciliana, rientrante tra i luoghi a lui riconducibili.

4. Corretta risulta la motivazione riguardo l’applicazione dell’aggravante dell’ingente quantitativo, la cui sussistenza è stata dimostrata non sulla base della considerazione complessiva del quantitativo trattato, ma sull’analisi della portata economica delle singole transazioni; peraltro, la presenza di collegamenti intercontinentali per l’acquisizione dello stupefacente, ed il proposito di acquisire una società di import export di pesce per facilitare le transazioni che hanno riguardato quanto al M. 12 kg di sostanza ceduta ad Euro 30 al grammo, inviata nel piccolo centro siciliano di Mazara del Vallo, – circostanze emergenti dalle intercettazioni e compiutamente valorizzate nelle sentenze di merito- denotano l’entità economica dei traffici e consentono l’applicazione dell’aggravante, pur in mancanza di sequestro di stupefacente e della sua analisi, non essendo lo svolgimento di un’attività economica a fini di lucro della portata descritta spiegabile diversamente, se non con l’acquisizione di ingenti quantitativi di stupefacente. E’ del tutto acquisito in giurisprudenza che al fine dell’individuazione concreta dell’ingente quantitativo non sia più necessari analizzare la potenzialità della sostanza di saturare il mercato, per la natura soggettiva e variabile di tale valutazione, inevitabilmente priva di saldi approdi concreti di riferimento, ma sia sufficiente la considerazione complessiva della sostanza, attesa la sua elevata potenzialità lesiva del diritto alla salute.(Sez. 4, Sentenza n. 24571 del 03/06/2010, imp. Iberdemaj, Rv. 247823), sicchè l’omessa valutazione della potenzialità saturante della sostanza nella specie, da parte del giudice di merito, non costituisce la denunciata violazione di legge o difetto di motivazione.

5. Neppure può trovare accoglimento la richiesta di esplicitazione della limitazione temporale dell’azione illecita, poichè tale finalità non rientra tra i casi di ricorso in Cassazione di cui all’art. 606 c.p.p.; viceversa, proprio la circostanza di fatto richiamata nella memoria integrativa- l’emergere della collocazione temporale della fine della partecipazione all’associazione dal corpo del provvedimento impugnato- evidenzia la compiuta possibilità di far valere la circostanza nel giudizio di esecuzione, al fine di consentire a quell’autorità la valutazione dell’applicabilità del provvedimento di clemenza.

6. Passando all’esame dell’impugnazione F., ed esaminando i motivi di ricorso in ordine logico, deve respingersi la fondatezza del rilievo della inutilizzabilità delle intercettazioni per difetto di motivazione, risultando al contrario dalla sentenza di primo grado, compiutamente richiamata dalla Corte d’appello, l’analitica ricostruzione delle motivazioni contenute nei decreti autorizzativi, che hanno esaustivamente indicato l’insufficienza degli impianti interni allo svolgimento delle intercettazioni che era necessario eseguire nell’immediatezza, in ragione dell’azione illecita in corso, il che esclude la fondatezza della eccezione contenuta in atto di appello, basata sull’assunto dell’insufficiente motivazione; nè in mancanza di aggressione di specifici elementi di tale motivazione era necessario per la Corte ripetere le osservazioni di fatto richiamate dal primo giudice, alle cui conclusioni correttamente ha potuto fare richiamo, senza ripercorrere il testo dei singoli decreti autorizzativi. Si rileva sul punto che la difesa si limita nel ricorso a richiamare parti del proprio atto di appello, senza indicare quali doglianze sulla sentenza di primo grado siano rimaste prive di argomentazione in ragione della tecnica espositiva utilizzata dal giudice di appello, così non superando il ricorso il vizio di genericità.

La motivazione espressa ad abundantiam dalla Corte con il richiamo al rito prescelto, al di là della sua maggiore o minore fondatezza, non supera l’accertamento dell’ampiezza della motivazione dei decreti impugnati, illustrata compiutamente nella sentenza di primo grado, situazione rispetto alla quale nulla deduce il ricorrente di specifico, nè dimostra, in senso contrario, rendendo inammissibile il rilievo svolto in questa sede. Tale aspetto, come si è detto, costituisce un’osservazione ulteriore, che si aggiunge alle compiute analisi del primo giudice sulle motivazioni dei decreti, che risultano esaustive ed idonee a sorreggere la legittimità delle intercettazioni disposte.

7. Del pari corretta ed esaustiva è l’identificazione del ricorrente quale interlocutore di B. nell’illecito traffico di cui ai capi b) e d), che si svolgeva su quantitativi elevati, come è dato desumere dall’entità economica delle transazioni commerciali, e con particolare efficacia, posto che dall’esame delle conversazioni è dato ricavare la costanza della disponibilità di elevati quantitativi di droga, e la molteplicità dei canali di approvvigionamento e dei ruoli svolti da F., che rendeva possibile in ogni momento accontentare le richieste, ed offrire inoltre una scelta di maggiore o minore economicità. Il richiamo al contenuto delle conversazioni in proposito e le ammissioni di B. a riguardo risultano completi elementi a carico di F. che permettono di valutare come correttamente motivata la sua affermazione di responsabilità per le imputazioni di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, essendo la diversa ipotesi tratteggiata dalla difesa, relativa alla presenza di contatti non andati a buon fine, efficacemente esclusa dall’omesso riferimento a tale situazioni nel medesimo materiale probatorio richiamato.

8. Corretta risulta altresì il riconoscimento dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, in relazione ai quantitativi trattati, come desumibili dalle conversazioni, cui non è di ostacolo il mancato sequestro della sostanza. Poichè i singoli contatti attengono decine di chili neppure coglie nel segno la contestazione relativa alla considerazione globale del traffico da parte del giudice di merito, al contrario legittimandosi l’applicazione dell’aggravante anche nel caso di una isolata cessione di ingente quantità nell’ambito del reato continuato, circostanza neppure verificatasi nel caso concreto, ove è stata accertata in più di una occasione la natura ingente quantitativo trattato, come ricostruibile dalla individuazione dei quantitativi ed all’entità del rapporti economici evocati nelle conversazioni.

9. Fondati risultano invece i rilievi di cui al capo 3 e 6 del ricorso. Sotto il primo profilo infatti deve darsi atto che, al di là della scarsa precisione nella ricostruzione dell’attività illecita in forma organizzata da parte di F., che pacificamente dalle conversazioni risulta agire su più fronti, garantendosi costanti canali di approvvigionamento, la Corte nulla ha argomentato rispetto allo specifico motivo d’appello fondato sull’analisi del contenuto della conversazione telefonica intercorsa tra M. e B., valorizzato dall’appellante al fine di porre in dubbio la sussistenza di contatti con coimputati, diversi da B., circostanza che, ininfluente sulla partecipazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 di cui al capo d) dell’imputazione, che invece si riferisce ai contatti B. – F. – G., di natura autonoma rispetto al filone sud americano, incide invece sulla raffigurabilità del delitto associativo, la cui consumazione presuppone, quanto meno, evidenza della sussistenza e consapevolezza della struttura organizzativa, a livello strumentale e personale, che sembrerebbe essere posta in dubbio, quanto alla partecipazione di F., dal tenore della conversazione evocata. In argomento, pur essendo stata tale conversazione richiamata nei motivi di appello, non risulta sottoposta ad analisi nella sentenza, profilandosi in tal modo un insuperabile difetto di motivazione. La sussistenza della figura associativa andrà dunque rivalutata, argomentando anche su tale elemento contestato.

Negli stessi termini risulta viziata la pronuncia impugnata riguardo all’applicabilità dell’aggravante della latitanza, non essendo evocata in motivazione la consapevolezza dell’emissione del provvedimento restrittivo a carico del F. che sola legittima l’applicazione dell’aumento di pena, pur se la presenza di tale circostanza risulta contestata in atto di appello. Di conseguenza la pronuncia va annullata su tali punti, con rinvio per nuovo giudizio, e correlativa rideterminazione complessiva della sanzione.

10. Gli ulteriori motivi di ricorso proposti dal F. sono, per quanto detto, meritevoli di rigetto.

11. L’accertata inammissibilità dei ricorsi proposti da B. e M. impone, ex art. 616 c.p.p. la condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali, nonchè alla corresponsione di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata come in dispositivo.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.G., limitatamente al reato associativo e all’aggravante della latitanza e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso del F..

Dichiara inammissibili gli altri ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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