Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-01-2011) 14-02-2011, n. 5573

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.) la descrizione dei fatti e la sentenza di primo grado.

S.A. risponde del delitto di peculato in quanto, nella sua qualità di farmacista, dipendente dell’Azienda Comunale di Treviglio, era stato accusato di essersi impossessato di una somma complessivamente valutata in diverse decine di milioni di lire appartenente all’azienda.

L’accusa si sostanzia nel fatto che egli avrebbe, in moltissime occasioni consegnato ai clienti farmaci e parafarmaci, registrando l’uscita degli stessi dal magazzino, ma omettendo lo scontrino fiscale, così che il pagamento del prezzo non veniva registrato e conseguentemente egli avrebbe intascato la somma corrispondente.

L’operazione era possibile all’epoca, perchè ogni volta che il farmacista consegnava al cliente una medicina o altro prodotto di farmacia, faceva scorrere la "penna ottica" sul relativo codice a barre e l’effetto era lo scarico del farmaco dal magazzino, ma nel contempo veniva anche registrato il prezzo e veniva emesso lo scontrino di cassa, ma quest’ultimo esito poteva essere annullato se veniva premuto un tasto, pure esistente sulla "penna ottica", per cui non veniva emesso lo scontrino nè risultava entrata in cassa la somma corrispondente al prezzo.

Gli ammanchi pertanto emergevano dalla differenza tra le somme dei prezzi delle merci uscite dal magazzino e le somme versate in cassa che corrispondevano agli scontrini emessi.

Nella farmacia comunale erano impiegati diversi laureati, come tali autorizzati alla consegna dei medicinali, ed anche diversi commessi, questi ultimi autorizzati, per quanto attiene all’attività di banco, soltanto a consegnare e registrare la consegna di parafarmaci, ovvero anche di medicinali, ma sotto il controllo del farmacista: pertanto i sospetti potevano essere indirizzati in varie direzioni, potendo tutte queste persone avere operato nel senso descritto all’atto della consegna di merce.

Tra tutti fu tuttavia indiziato soltanto lo S. perchè era il farmacista più spesso e più a lungo presente nella farmacia, che rimaneva sostanzialmente aperta al pubblico per tutte le ventiquattro ore, ed inoltre perchè emergeva fin dai primi accertamenti che quando era presente lui si verificavano gli ammanchi più rilevanti.

In base alle perizie è stato indicato che nel complessivo numero di ore nelle quali egli era presente si è verificato l’80% circa dell’ammanco totale.

Qualche mese prima dell’episodio che fece scattare gli accertamenti si era verificato un ammanco molto rilevante, di circa tre milioni di lire, che era stato ripianato mediante il versamento di una quota da parte di ciascuno dei dipendenti, senza che venissero fatte segnalazioni in proposito.

Queste avvennero invece in seguito ad un duplice episodio occorso il (OMISSIS): quel giorno alle ore 8,30 la dott. V. F., al termine del suo turno di lavoro, nel controllare la cassa, riscontrò la mancanza di circa L. 500.000 rispetto alla somma che doveva trovarsi in essa, in relazione agli scontrini emessi (nello stesso giorno poi si rilevò essersi verificato un divario di oltre L. 500.000 tra uscite di magazzino e scontrini emessi).

Alla sua reazione agitata il dott. S., presente, la tranquillizzò, facendole presente che doveva esserci un errore e che occorreva rifare i conteggi: qualche ora dopo un nuovo conteggio rilevava la mancanza di circa L. 200.000 e non di 500.000.

Nello stesso giorno avvenne poi che un cliente, tale T. M., ebbe ad osservare che non gli era stato rilasciato dallo S. lo scontrino fiscale per l’acquisto da lui fatto, per una cifra di L. 80.000, mentre il farmacista sosteneva di averglielo rilasciato. In realtà si accertò che non era stato rilasciato e che alla fine del turno mancavano le L. ottantamila.

Fin dalla prime contestazioni ed ancora in seguito lo S. ebbe a dichiarare che egli non si era appropriato di alcuna somma ed ignorava le ragioni per cui si erano verificati quegli ammanchi.

Nel corso dell’istruttoria dibattimentale il tribunale ha disposto una perizia, eseguita dal rag. Sp.Pa., il quale ha svolto un accertamento profondo ed accurato, prendendo in considerazione tutti i giorni, tutte le ore, tutti gli ammanchi giornalieri (sempre sulla base del confronto tra le uscite di magazzino e gli scontrini di cassa), li ha posti in relazione alle presenze dei singoli farmacisti e dipendenti della farmacia, ed ha concluso sostanzialmente negli stessi termini dell’inchiesta interna, rilevando quella notevole differenza dell’ammontare degli ammanchi quando era presente lo S. rispetto ai giorni o ai turni nei quali lo stesso non era presente, sia pure considerando che mai nessuno tra coloro che azionavano la cassa si trovava solo al banco, anzi nei giorni feriali normalmente erano presenti più di due, nei giorni festivi normalmente due.

Il tribunale nella sua sentenza pone in rilievo diverse osservazioni del consulente della parte civile, che ha concluso come in base ai conteggi l’imputato è il farmacista in presenza del quale si sono verificati i maggiori ammanchi, che l’ammontare degli stessi è in salita nel corso del tempo nel periodo nel quale ha lavorato nella farmacia comunale di Treviglio (settembre 99 – giugno 2000), che quando è presente lui insieme con un commesso (nelle domeniche) gli ammanchi sono più elevati rispetto a quando è presente altro farmacista insieme con un commesso, anzi in questi ultimi casi gli ammanchi sono modestissimi.

Il tribunale ritiene dunque l’imputato responsabile del delitto ascrittogli e lo condanna nei termini sopra riferiti, sulla scorta di queste emergenze, che, se pure consentono diverse interpretazioni, sono confermate in senso accusatorio dai singoli episodi specificati:

l’ammanco rilevato dalla dott. V. e la reazione dell’imputato, seguita, a parere del tribunale significativamente, da un parziale reintegro della somma mancante, il caso del cliente T. per il quale non venne rilasciato lo scontrino e le rispettive reazioni dello S., le sue mancate giustificazioni.

2.) la motivazione della decisione della Corte di appello.

Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la difesa dell’imputato, chiedendo l’assoluzione perchè il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso; in via subordinata la riduzione della pena e degli aumenti fissati per la continuazione, e, sotto il profilo degli interessi civili, osservando che il tribunale ha liquidato i danni patrimoniali in via equitativa, sostenendo che il primo giudice è andato oltre il "petitum".

La Corte di appello, rigettando le critiche difensive, ha affermato in punto di responsabilità, che, anche se si ammettesse che le cifre degli ammanchi possano essere inferiori, sia pure in maniera non rilevante, occorre considerare che la difesa sostiene l’impossibilità di addossare la responsabilità del peculato al solo S..

Il tema investe la questione dell’attendibilità dell’accertamento svolto dalla perizia d’ufficio su basi statistiche e sul punto la corte distrettuale ha sostenuto che gli strumenti stocastici erano nella specie i soli possibili e indispensabili ai fini dell’accertamento degli ammanchi e delle relative responsabilità e che i risultati ai quali il perito è giunto erano tali da soddisfare le esigenze della decisione giudiziale.

In particolare i giudici di merito hanno evidenziato che il perito ha tenuto conto della possibilità che tutti i dipendenti della farmacia, e non solo i farmacisti laureati, procedessero alle vendite ed utilizzassero la cassa ed ha proceduto nell’unico modo possibile atto a rilevare i divari tra le uscite di magazzino e gli scontrini di cassa, distinguendo le ore nelle quali i singoli si trovavano da soli e quelle nelle quali erano presenti più persone dietro il banco, in questi ultimi casi, dividendo le somme degli ammanchi per il numero dei presenti. In questo modo si è giunti ad attribuire una parte degli ammanchi a ciascuno dei dipendenti.

3.) i motivi di ricorso dello S. e la decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento al ritenuto delitto di peculato, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza e manifesta illogicità.

Rileva il ricorrente che la Corte territoriale ha affermato la penale responsabilità di S.A. essenzialmente sulla base delle considerazioni squisitamente statistiche, svolte nella perizia del Rag. Sp.Pa. e nella consulenza della parte civile, peraltro senza riservare la medesima attenzione alle osservazioni critiche svolte dal consulente della difesa.

In estrema sintesi, la sentenza, sulla base del citato accertamento peritale, ha sostenuto che gli ammanchi di magazzino emergerebbero dal raffronto tra le uscite di magazzino e gli scontrini di cassa, e che essi si collocherebbero in misura maggiore nelle ore di apertura della farmacia, in cui era presente al lavoro S.A. rispetto alle ore in cui egli era assente. Più in particolare, l’80% degli ammanchi si sarebbe verificato quando l’imputato era presente al lavoro, mentre "solo" il 20% si sarebbe verificato in sua assenza.

Su tali presupposti si afferma quindi che responsabile di simili ammanchi, o di parte di essi, sarebbe S.A..

Secondo il ricorrente tale motivazione sarebbe viziata sotto i diversi profili che seguono:

a) le considerazioni di tipo statistico non possono giustificare l’attribuzione ad un determinato soggetto di una condotta delittuosa con certezza oltre ogni ragionevole dubbio: la statistica può infatti consentire di raggiungere conclusioni possibili o al più probabili, ma non certe;

b) è erronea l’affermazione che gli strumenti della scienza statistica nel caso di specie sarebbero stati i soli possibili e quindi indispensabili ai fini dell’accertamento degli ammanchi e delle relative responsabilità, e che i risultati della perizia sono tali da soddisfare le esigenze della decisione giudiziale (sentenza impugnata, p. 10), posto che la perizia fornisce indicazioni di possibilità e non di certezza;

c) vi è inosservanza del disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1, che pone il principio per cui le prove indiziarie possono essere poste a base di un giudizio di penale responsabilità solo ove siano caratterizzate da chiarezza, precisione e concordanza, così escludendo qualsiasi ipotesi alternativa e quindi in definitiva fornendo la certezza della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio;

d) vi è mancata risposta alle specifiche doglianze svolte nell’atto di appello ed intese ad evidenziare l’incertezza delle risultanze dibattimentali;

e) è stato dato eccezionale rilievo al dato statistico secondo il quale gli ammanchi di magazzino si collocherebbero in misura maggiore nelle ore di apertura della farmacia in cui era presente al lavoro S.A. rispetto alle ore in cui egli era assente;

f) la correlazione tra le differenze contabili e la presenza dei vari addetti è stata basata sul duplice rilievo statistico: degli "ammanchi individuali" (quelli che si riscontrano nei rari casi di esclusiva presenza di un solo addetto nella farmacia) e degli "ammanchi collettivi" (cioè della riferibilità a ciascun dipendente degli ammanchi verificatisi in presenza di più persone, attribuita secondo un calcolo di media), senza considerare che nella graduatoria dei presunti ammanchi individuali, il dott. S. è il terzo della lista: la prima essendo invece la dottoressa Se. e che, per gli ammanchi collettivi, cioè verificatisi in presenza di più persone, il dott. S. figura al primo posto, ma è seguito a breve distanza da altri dipendenti (i commessi M. e C., i farmacisti Ma., Se., m., P., Pe. e V., gli addetti Co., N., D. e To.);

g) non è stata valutata la circostanza che tutti i dipendenti in egual misura hanno dato un contributo alla discrepanza tra il dato contabile di magazzino e quello di cassa e che la graduatoria, indicata sub f), corrisponde soltanto al diverso numero di ore lavorate e la discrasia tra i dati contabili può essere verosimilmente attribuita ad errori di gestione;

h) è stato attribuito un valore dominante al dato contabile che risulta invece non suscettibile di configurare un indizio preciso, con una non corretta considerazione della discrepanza fra libro magazzino e scontrini fiscali;

i) non è stato operato un chiaro "discrimen" tra condotte appropriative ipotizzate sulla base del dato contabile, quelle effettivamente ascrivibili all’imputato e quelle invece attribuibili ad altri, oppure addirittura non corrispondenti ad un vero ammanco.

Le censure nei termini sopra riassunti sono inaccoglibili in quanto per alcuni profili inammissibili e per altri infondate, con il conseguente rigetto del ricorso.

Quanto al valore probatorio dei dati statistici (critiche sub a e sub b) va rammentato che, per risalente giurisprudenza (Cass. pen. sez. 4, 11243/1987, Mancinelli, conf. Rv. 174512), nell’ambito del diritto penale, in considerazione del fine di repressione che l’ordinamento persegue, la prova non può essere identificata esclusivamente in un dato di certezza scientifica fondato sulla "regolarità senza eccezioni" nella successione di determinati fenomeni.

In molti casi debbono considerarsi validi e sufficienti, al fine dell’indagine causale, anche i risultati di generalizzazioni del senso comune, fermo restando che è doveroso, da parte del giudice, orientare l’indagine verso una spiegazione scientifica, o comunque verso una spiegazione statistica esplicativa dei fenomeni, condotta quest’ultima che risulta in concreto seguita dai giudici di merito.

Tanto premesso e con riferimento alle osservazioni critiche del primo motivo, che hanno investito il protocollo operativo del perito d’ufficio (punti sub e-f-g-h-i), va subito rilevato che il consulente della difesa non ha contestato la validità del metodo utilizzato dal perito dell’ufficio e dal consulente della parte civile, ma ha obiettato soltanto che l’imputato era, tra gli addetti, colui che ha lavorato, per ragioni personali, un numero di ore superiore a quello degli altri.

Sul punto, e per rispondere alle doglianze del ricorso, va evidenziato che la corte distrettuale non si è affatto sottratta al suo obbligo di motivazione, considerato che in termini vi è una precisa osservazione del giudice di merito il quale, nell’esame della situazione nel suo complesso, ha rilevato che se è vero che lo S. ha lavorato più ore degli altri, ciò non sempre risulta, posto che dall’esame dei singoli mesi "altri" hanno lavorato un numero di ore uguale o superiore, in particolare nel mese di gennaio 2000 lo S. ha lavorato meno di tutti (per motivi di salute e per ferie), ma il risultato finale – per la Corte – non cambia agli effetti di riconoscere che i maggiori ammanchi si verifica va no inoppugnabilmente in occasione della presenza in farmacia dell’imputato.

Conclusione questa che il giudice di merito ritiene non modificabile – con una ulteriore corretta e logica considerazione – anche ove si consideri che l’ammanco individuale più rilevante non è attribuito allo S., ma ad altri e quando si sostiene che gli ammanchi attribuibili ad altri addetti non sono molto inferiori.

Tale giudizio di irrilevanza viene poi giustamente rafforzato dalla corte distrettuale con l’asserzione – che costituisce una incensurabile e non illogica valutazione di merito- che il sospetto che altri addetti si siano appropriati di denaro delle vendite non esclude la certezza che l’imputato sia il principale responsabile degli ammanchi, stante l’elevatissimo divario tra gli ammanchi avvenuti in sua presenza e quelli riscontrati quando egli era assente.

Infine quanto alle doglianze sub c) e sub d), va rammentato che il giudice, il quale ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri – come avvenuto nella specie – di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente e potendosi quindi ravvisare vizio di motivazione solo se queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante e inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali (Cass. pen. sez. 1, 6528/1998;

Cass. pen. 1999, 2951 s.m.).

Ed ancora, in ordine alla doglianza sub c) va precisato che i giudici di merito non hanno tratto il convincimento di responsabilità dello S. dalle mere indicazioni peritali, di natura statistica, ma hanno rafforzato il quadro di colpevolezza con ulteriori elementi sintonici, che, per quanto non decisivi, sono stati considerati tali da indurre ulteriori sospetti sulla condotta dell’imputato (la testimonianza di Ma.M.Ga.; la sospetta "reintegrazione" di un ammanco; il mancato rilascio dello scontrino di cassa al cliente T.).

In ogni caso va evidenziato che in più parti dell’impugnazione ciò che appare sostanzialmente prospettato, non è tanto una radicale assenza di responsabilità dello S., quanto invece una disparità di trattamento, in questa sede non valorizzabile, rispetto ad altri operatori della farmacia, rimasti estranei all’azione penale.

In conclusione e da ultimo, l’esito del giudizio di responsabilità non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente, le quali si risolvono nel delineare una "mirata rilettura" di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonchè nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili, oppure perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata.

Con un secondo motivo si lamenta la severità del trattamento sanzionatorio sia nella scelta della pena base che per gli aumenti in continuazione.

La critica involge profili di assoluta infondatezza ed inammissibilità.

Le doglianze risultano infatti inammissibili nella misura in cui involgono censure di mero fatto; invero per risalente ed immutata giurisprudenza (Cass. Penale sez. 5, 9074/1983, Siani; mass. 158977;

158834; 157655; 156961; 158285), in tema di determinazione della pena (anche nei conteggi intermedi di attenuazione od aumento), la valutazione del giudice di legittimità, in ordine all’efficacia ed alla completezza degli argomenti svolti in sede di merito, non può andare scissa dal risultato decisorio sotto il duplice profilo della pena in concreto irrogata e del giudizio globalmente espresso, come manifestazione del convincimento del giudice di merito.

Tali statuizioni inoltre sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. Penale sez. 3, 26908/2004, Rv. 229298 Ronzoni), nella specie non rilevabile, tenuto conto della adeguatezza e correttezza della giustificazione espressa.

Nella vicenda, il ragionamento nella motivazione, in punto di determinazione della sanzione, risulta peraltro essere stato analiticamente proposto nel rispetto delle regole tecniche dell’argomentare giuridico, con un esame completo di tutti gli elementi processualmente disponibili, i quali risultano correttamente interpretati con risposte esaustive alle deduzioni di parte.

In conclusione, il ricorso risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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