T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, Sent., 10-02-2011, n. 87 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Col presente ricorso l’istante chiede il risarcimento del danno asseritamente subito per i reiterati dinieghi di concessione edilizia opposti dal Comune di Claut, gli ultimi dei quali annullati con sentenza di questo Tribunale n. 543/99 (non appellata).

1.1. – In fatto espone di aver proposto, nel 1986, ricorso avverso i dinieghi di concessione edilizia n. 1594 del 6.7.86 e n. 2671 del 10.9.86, che venivano entrambi annullati con la decisione n. 543/99. Medio tempore, peraltro, il Comune di Claut modificava il P.R.G. "con riferimento al quale l’originario progetto per cui era stata chiesta la concessione diveniva non più realizzabile", per il mutamento degli indici edificatori che avrebbe reso "non conveniente dal punto di vista economico e pressoché impossibile dal punto di vista tecnico realizzare un’abitazione che sarebbe di dimensioni eccessivamente limitate".

Ritenendo quindi di aver subito una perdita economica a causa dell’illegittimo operato della P.A. chiede il ristoro dei danni patiti che quantifica in Euro 45.551,00, per il diminuito valore del terreno, ed Euro 155.246.00 "per la differenza di valore della costruzione attualmente edificabile rispetto a quella che si sarebbe potuta costruire con il P.R.G. vigente nel 1986", per un totale di Euro 200.797,00, o altra somma che risulterà dovuta in corso di causa, previo, eventuale, espletamento di C.T.U..

2. – Il Comune, costituito, puntualmente controdeduce nel merito del ricorso, concludendo per la sua reiezione.

In limine, ne eccepisce l’inammissibilità per intervenuta prescrizione, dato che è giurisprudenza oramai consolidata che il risarcimento del danno, ove richiesto con azione autonoma, deve essere proposto entro cinque anni dalla data di commissione dell’illecito (nella specie: dall’emanazione dei provvedimenti di diniego) e non più dalla sentenza di annullamento degli stessi.

3. – Il ricorso non è fondato, il che consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune.

Merita, per una miglior intelligenza della fattispecie, ricostruire brevemente il fatto.

3.1. – Il 6.3.86 il ricorrente richiedeva una concessione edilizia al fine di realizzare, nel lotto di sua proprietà, una casa di civile abitazione; con atto del 13.5.86 (non opposto) l’istanza veniva respinta, per violazione delle altezze previste dal P.R.G..

Nel frattempo, altri soggetti, proprietari di un lotto confinante, avevano, a loro volta, richiesto ed ottenuto (il 30.4.86) il rilascio di un titolo edificatorio per la realizzazione di un edificio ad uso abitativo dotato di finestre lungo la linea prospiciente l’area di proprietà del ricorrente, i cui lavori erano iniziati il 7.5.86.

Il 17.5.86, l’istante presentava un nuovo progetto, che veniva nuovamente valutato negativamente (con atto del 9.7.86) poiché si sarebbe venuto a collocare (con la propria parete finestrata) a soli sei metri di distanza da quello che i confinanti stavano realizzando, parimenti dotato di vedute.

Va precisato che, in data 26.2.83, il Comune, prima munito di Programma di Fabbricazione, aveva adottato il nuovo P.R.G. che, in applicazione dell’art. 9 del D.M. 1444/68 prevedeva, per i nuovi edifici da realizzare al di fuori della zona A, la distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. In sede di esame delle osservazioni erano peraltro state accolte le osservazioni n. 4.1 e 37.4 (si vedano i doc. n. 5 e 6 di parte resistente), che prevedevano la riduzione (nelle zone A e B) delle distanze dai confini a m. 3 e tra fabbricati a m. 6. La Regione, peraltro, in sede di "proposta di modifica", invitava il Comune a ripristinare tale distanza a m. 10 (si veda: il punto 4h del doc. n. 12); in tal senso il Comune provvedeva con la successiva delibera n. 133 del 23.8.86 (doc. 13). Infine il P.R.G. veniva definitivamente approvato il dalla Regione il 10.12.86 (e non impugnato, sul punto, dal ricorrente).

Il 23.8.86 l’istante presentava un’ulteriore istanza di concessione edilizia, identica alla precedente (già respinta), che veniva nuovamente rigettata, richiamando il parere espresso dalla Regione sul punto.

L’istante opponeva entrambi i dinieghi, e il suo ricorso veniva accolto con la citata sentenza n. 543/99, avendo il Collegio ritenuto insufficiente la motivazione in quanto i provvedimenti impugnati risultavano "fondati sul richiamo ad un parere sul P.R.G. della Direzione Regionale della Pianificazione Urbana privo degli estremi di riferimento".

La sentenza non veniva appellata e il ricorrente non presentava altre richieste di rilascio di titoli edilizi; chiede invece, in questa sede, il ristoro dei danni asseritamente patiti.

3.2. – L’infondatezza della domanda emerge di tutta evidenza, già dalla descrizione in fatto.

E’ infatti giurisprudenza pacifica che per poter addivenire a risarcimento è necessario dimostrare di essere titolari della situazione lesa dall’illegittimo provvedimento o comportamento della P.A.. Ciò significa, innanzi tutto, che l’annullamento di un atto amministrativo per meri vizi di forma (qual è la carenza di motivazione, per di più, nella specie, riferita solo alla omessa menzione dei dati identificativi di un provvedimento), senza che il Giudice si sia pronunciato sulla spettanza del diritto o dell’interesse fatto valere è, per sé solo, inidoneo a fondare una domanda risarcitoria (si vedano sul punto, da ultimo: Tar Piemonte n. 15/111 e Tar Veneto n. 1715/10 e 2518/10; sulla insufficienza del mero annullamento cfr: C.S. n. 248/08 e, sull’esclusione di ogni effetto automatico del mero annullamento di un atto sulla pretesa risarcitoria: C.S. n. 995/07; infine, sull’insufficienza dell’annullamento per carenza di motivazione cfr.: Tar Sicilia – Catania n. 490/09).

Nel caso di specie, nulla essendo contenuto nella sentenza in merito alla spettanza del titolo, era onere del ricorrente fornire la positiva dimostrazione che, se la P.A. avesse correttamente esercitato il suo potere, la concessione edilizia avrebbe dovuto essere rilasciata.

Il ricorrente infatti non può fondare la pretesa risarcitoria sulla sola circostanza che i dinieghi di concessione edilizia sono stati annullati; ma avrebbe dovuto dimostrare che la sua pretesa avrebbe dovuto essere accolta, alla stregua della normativa urbanistica vigente al momento in cui aveva presentato la domanda.

Di ciò il ricorrente non fornisce neppure un principio di prova, limitandosi alla, del tutto generica, affermazione che il P.R.G. – in itinere al momento della domanda e successivamente approvato (peraltro non impugnato) – ha modificato (ma ciò non rileva, come precisa il Comune) gli indice edificatori di zona, privandolo così della possibilità di realizzare l’edificio progettato.

In realtà, ostava in allora (e osta ancora oggi) alla possibilità di realizzare il manufatto non la modifica degli indici di edificabilità, bensì l’intervenuto obbligatorio recepimento (e, ancor prima del suo recepimento, l’obbligatoria osservanza, nulla disponendo sul punto il Programma di Fabbricazione) del D.M. 1444/68 sulle distanze tra edifici, che deve inderogabilmente essere di 10 m., laddove il progettato manufatto veniva a collocarsi a soli 6 m dalla parete finestrata della casa dei confinanti.

Quanto agli indici di edificabilità, il Comune osserva che la doglianza è infondata, dato che è in ragione della conformazione del fondo (e della preesistenza del manufatto dei confinanti dotato di pareti finestrate) che il fabbricato realizzabile sul lotto "verrebbe ad avere una forma tale da privarlo di ogni interesse dal punto di vista edificatorio ad uso residenziale", dato che la cubatura oggi realizzabile è comunque maggiore di quella assentibile al momento della presentazione del progetto.

In definitiva, poiché il ricorrente non poteva pretendere il rilascio del titolo edilizio di cui si controverte, ancorchè il diniego sia stato dichiarato illegittimo in quanto insufficientemente motivato, esso non risulta, nella sostanza, iniuria datun e conseguentemente non ha provocato nella sfera giuridica del ricorrente nessun pregiudizio economicamente apprezzabile.

La domanda va quindi respinta.

4. – Sussistono tuttavia giuste ragioni per disporre la totale compensazione, tra le parti, delle spese e competenze di causa.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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