LA CORTE COSTITUZIONALE Sentenza 341/2009 del 16/12/2009

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SENTENZA N. 341

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

Omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Omissis

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Piemonte (reg. ric. n. 67 del 2008), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto (reg. ric. n. 70 del 2008), Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008), Valle d’Aosta (reg. ric. n. 84 del 2008) e Calabria (reg. ric. n. 86 del 2008), nonché la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 71 del 2008), impugnano i commi 8, 9, 14, 15, primo periodo, 16, 17, 19, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (d’ora in avanti, «art. 61»). La Regione Calabria ha altresì chiesto la sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall’art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Le Regioni Toscana e Veneto, con successivi ricorsi (reg. ric. rispettivamente n. 23 e n. 25 del 2009) censurano inoltre l’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), introdotto in sede di conversione dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che a sua volta ha inserito il comma 7-bis nel testo dell’art. 61 (d’ora in avanti, la disposizione censurata con i reg. ric. nn. 23 e 25 del 2009 è sinteticamente indicata come «comma 7-bis dell’art. 61»).

La trattazione delle questioni di legittimità costituzionale relative alle suddette disposizioni viene qui separata da quella delle altre questioni, promosse con i medesimi ricorsi, che devono essere riservate ad altre pronunce.

I giudizi, così separati e delimitati, in considerazione della loro connessione oggettiva, devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.

2. – Ciò premesso, ai fini dell’ordine della loro trattazione, le censure proposte dalle ricorrenti vanno suddivise in quattro gruppi, in ragione della omogeneità e della reciproca connessione delle norme cui esse si riferiscono. Il primo gruppo include le censure relative ai commi 7-bis, 8 e 9 dell’art. 61, proposte dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana. Il secondo è dato dalle censure prospettate dalla Regione Valle d’Aosta con riferimento al comma 17 dell’art. 61. Il terzo gruppo riguarda le censure relative ai commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61, prospettate dalle Regioni Emilia-Romagna, Veneto e Calabria. Il quarto, infine, si riferisce alle censure prospettate dalla Provincia autonoma di Trento relativamente ai commi 14 e 15 dell’art. 61.

3. – Le Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana hanno impugnato i commi 7-bis, 8 e 9 dell’art. 61, deducendo la violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

3.1. – Va premesso che le disposizioni censurate si inquadrano nel contesto di una manovra di risanamento della finanza pubblica di ampio respiro, imperniata sull’applicazione di numerose misure di contenimento della spesa corrente, fra cui sono da comprendersi quelle imposte dall’art. 61 a carico di tutte le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. In questo quadro, le norme impugnate concorrono alla realizzazione dei predetti obiettivi di contenimento e razionalizzazione della spesa, imponendo una riduzione delle somme che, in aggiunta alla retribuzione, sono corrisposte, a titolo di incentivo o di compenso, a talune particolari categorie di dipendenti pubblici, per lo svolgimento di specifiche attività.

In particolare, il comma 8 dell’art. 61 si riferisce all’incentivo, «non superiore al due per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o di un lavoro», che, ai sensi dell’art. 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), «è ripartit[o], per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori». Il censurato comma 8 dell’art. 61, a decorrere dal 1° gennaio 2009, ha ridotto tale percentuale, disponendo che essa possa essere destinata solo nella misura dello 0,5 per cento alla finalità di incentivo prevista dal codice dei contratti pubblici, dovendo invece, nella misura dell’1,5 per cento, essere «versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato». Il legislatore ha in séguito abrogato la disposizione impugnata (con l’art. 1, comma 10-quater, lettera b), del decreto-legge n. 162 del 2008), salvo reintrodurre, in un momento ancora successivo (con l’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008), una disposizione identica a quella abrogata, che è attualmente contenuta nel vigente comma 7-bis dell’art. 61.

Il comma 9 dell’art. 61 riguarda, invece, i compensi spettanti ai dipendenti pubblici per arbitrati o collaudi. La norma dispone che sia versato direttamente ad apposito capitolo del bilancio dello Stato il 50 per cento dei compensi spettanti ai dipendenti pubblici per l’attività di componente o di segretario del collegio arbitrale e per i collaudi svolti in relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. La disposizione precisa che il predetto importo è riassegnato al fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del personale di magistratura e dell’Avvocatura generale dello Stato ove esistenti.

3.2. – Deve essere innanzitutto dichiarata cessata la materia del contendere con riguardo alle censure proposte, in relazione al comma 8 dell’art. 61, dalle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, nonché dalle Regioni Veneto e Toscana. La disposizione censurata, applicabile «a decorrere dal 1° gennaio 2009», è stata infatti abrogata prima che essa potesse esplicare alcun effetto. Né può disporsi, in ragione dell’intervallo di tempo trascorso fra l’abrogazione della norma impugnata (comma 8 dell’art. 61) e la successiva introduzione di diversa disposizione dal contenuto identico (comma 7-bis dell’art. 61), il trasferimento sulla seconda delle censure proposte dalle ricorrenti con riferimento alla prima.

3.3. – Le Regioni Toscana e Veneto hanno proposto autonome questioni di legittimità costituzionale riferite al comma 7-bis dell’art. 61.

Entrambe le ricorrenti deducono, innanzitutto, la violazione dell’art. 117 Cost. Esse ritengono che le disposizioni censurate, ove dovessero ritenersi applicabili anche agli incentivi corrisposti dalle Regioni ai propri dipendenti, interverrebbero in un ambito materiale riservato alle Regioni, perché relativo all’organizzazione amministrativa regionale (Regione Toscana), o perché, comunque, non riconducibile ad alcuna delle materie di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., senza, peraltro, che la disciplina impugnata, in ragione del suo carattere dettagliato, possa ritenersi espressione della potestà legislativa statale di dettare principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (Regione Veneto).

La Regione Veneto, sempre nell’ipotesi in cui le norme impugnate si ritenessero applicabili alle Regioni, lamenta, inoltre, la violazione dell’art. 119 Cost. L’autonomia finanziaria regionale risulterebbe lesa perché il legislatore statale avrebbe imposto «vincoli puntuali e significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali» e, soprattutto, avrebbe disposto «unilateralmente che le risorse intercettate dalle norme confluiscano nel bilancio statale».

La Regione Veneto deduce, ancora, la violazione degli artt. 3 (sotto il profilo della ragionevolezza), 97 e 118 Cost., in quanto l’eccessiva riduzione dell’importo corrisposto al dipendente finirebbe per negare la stessa finalità incentivante dello strumento, comprimendo anche «l’autonomia organizzativo-amministrativa» delle Regioni e «turbando il buon andamento della pubblica amministrazione».

Infine, secondo la Regione Veneto sarebbe altresì leso il principio di leale collaborazione, in quanto, «in un ambito non esclusivamente devoluto alla competenza esclusiva statale, [sarebbe] mancato il coinvolgimento delle Regioni sia al momento di introdurre l’innovazione legislativa, sia in ordine alla programmazione della determinazione della destinazione delle risorse sottratte ai corrispettivi e agli incentivi di programmazione».

3.3.1. – Le questioni di legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposte dalla Regione Veneto in relazione agli artt. 3, 97 e 118 Cost., sono inammissibili.

Quanto alla violazione dell’art. 118 Cost., la censura è motivata in modo del tutto generico, non indicando la ricorrente quali competenze amministrative regionali risulterebbero lese per effetto della disposizione censurata.

Quanto alle censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente non adduce una sufficiente motivazione circa il modo in cui l’asserita violazione di tali parametri costituzionali ridondi in una lesione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie (sentenze nn. 233, 234, 249 e 254 del 2009).

3.3.2. – La questione di legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposta dalla Regione Veneto in relazione all’art. 119 Cost., non è fondata.

Va preliminarmente ricordato che la Regione Veneto ha prospettato la censura in esame a titolo cautelativo, per l’ipotesi in cui la disposizione dovesse ritenersi applicabile anche agli incentivi corrisposti dalle Regioni ai propri dipendenti, specificamente lamentando, in tal caso, che le risorse regionali alle quali fa riferimento la norma impugnata confluiscano nel bilancio statale. In realtà, il comma 7-bis dell’art. 61 deve essere interpretato alla luce del successivo comma 17 del medesimo articolo. La prima disposizione stabilisce, infatti, che la somma pari all’1,5 per cento della percentuale prevista dall’art. 92, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, deve essere versata ad apposito capitolo del bilancio statale «per essere destinata al fondo di cui al comma 17» dello stesso articolo, il quale, tuttavia, precisa che l’obbligo del versamento ad apposito capitolo del bilancio dello Stato «non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale». Alla luce di tale disciplina, deve quindi ritenersi che la disposizione censurata sia applicabile anche agli enti territoriali nella parte in cui prevede la riduzione dal 2 per cento allo 0,5 per cento dell’incentivo che può essere corrisposto ai dipendenti ai sensi dell’art. 92, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, ma deve escludersi che essa sia applicabile agli enti territoriali nella parte in cui impone l’obbligo di versare ad apposito capitolo del bilancio dello Stato le riduzioni di spesa derivanti da tale misura (cioè l’1,5 per cento). Pertanto, non risultando applicabile alle Regioni l’obbligo di versare allo Stato le somme non più dovute ai dipendenti regionali, non si produce l’effetto lesivo dell’autonomia finanziaria regionale paventato dalle ricorrenti, consistente nella acquisizione al bilancio dello Stato di risorse regionali dirette a compensare attività svolte da dipendenti regionali.

3.3.3. – Le questioni di legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposte dalle Regioni Toscana e Veneto in relazione all’art. 117 Cost., non sono fondate.

Va preliminarmente osservato che l’interpretazione più sopra prospettata, secondo la quale non è applicabile alle Regioni l’obbligo di versare al bilancio statale le somme risparmiate in virtù della disposizione censurata, esclude l’effetto lesivo di quest’ultima con riferimento all’autonomia finanziaria delle Regioni, ma non con riferimento alla loro autonomia legislativa, dal momento che la riduzione dell’incentivo, disposta dalla norma impugnata, si applica indubbiamente anche ai dipendenti regionali.

Occorre, pertanto, verificare se il comma 7-bis dell’art. 61, nella parte in cui si applica ai dipendenti regionali, intervenga effettivamente in materia di organizzazione amministrativa regionale o, comunque, in un ambito materiale rimesso alla potestà legislativa esclusiva o concorrente delle Regioni.

Questa tesi, sostenuta dalle ricorrenti, non può essere condivisa.

I trattamenti economici incentivanti oggetto della disciplina censurata si riferiscono, infatti, allo svolgimento di attività disciplinate dal codice dei contratti pubblici, alcune delle quali (in particolare, direzione dei lavori e collaudo) sono state ricondotte da questa Corte alla fase di esecuzione del rapporto contrattuale e, quindi, alla materia «ordinamento civile» (sentenza n. 401 del 2007, in particolare nn. 6.8. e 23.2. del Considerato in diritto). Né pare convincente l’argomento sviluppato nella memoria della Regione Toscana, la quale, per un verso, riconosce che la percentuale dell’incentivo in questione debba essere fissata dallo Stato, ma, per altro verso, contesta il fatto che, sulla percentuale del 2 per cento, la norma impugnata imponga «un limite di utilizzabilità, perché l’1,5 per cento deve necessariamente restare nel capitolo di bilancio» regionale. In realtà, per le Regioni, le quali non sono tenute a versare la quota dell’1,5 per cento al bilancio statale, l’effetto prodotto dalla disposizione censurata è sostanzialmente identico a quello che si sarebbe determinato qualora lo Stato, esercitando un potere che la stessa Regione Toscana ad esso riconosce, avesse semplicemente ridefinito la percentuale massima dell’incentivo in questione, fissandola nella misura dello 0,5 per cento. Per tali ragioni, devono ritenersi non fondate le questioni di legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61 proposte, in relazione all’art. 117 Cost., dalle Regioni Toscana e Veneto.

3.3.4. – Da ciò deriva anche la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale del comma 7-bis dell’art. 61, proposta dalla Regione Veneto in relazione al principio di leale collaborazione. Tale principio non può trovare applicazione, infatti, in un ambito che risulta rimesso alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile.

3.4. – Le Regioni Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto hanno proposto questioni di legittimità costituzionale del comma 9 dell’art. 61, deducendo la violazione degli artt. 117 (Piemonte) e 119 Cost. (Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto). Quanto, in particolare, all’asserita lesione dell’autonomia finanziaria regionale, secondo le ricorrenti la disposizione censurata, sempre ove ritenuta applicabile alle somme spettanti ai dipendenti pubblici regionali per attività da questi svolte nell’ambito di un arbitrato o di un collaudo, avrebbe imposto «vincoli puntuali e significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali» e, soprattutto, avrebbe disposto «unilateralmente che le risorse intercettate dalle norme confluiscano nel bilancio statale» (Regione Veneto), «consentendo allo Stato di acquisire al proprio bilancio risorse che provengono dalla Regione e che sono dirette a compensare attività svolte da dipendenti regionali per conto della Regione e in sostituzione della loro normale attività lavorativa» (Regione Emilia-Romagna).

3.4.1. – Le questioni di legittimità costituzionale del comma 9 dell’art. 61, proposte dalla Regione Piemonte con riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. sono inammissibili, perché generiche. La ricorrente si limita infatti a riportare il testo della disposizione denunciata e ad indicare i parametri asseritamente lesi, senza esplicitare alcuna argomentazione a sostegno dell’ipotizzata illegittimità costituzionale.

3.4.2. – Le questioni di legittimità costituzionale del comma 9 dell’art. 61, proposte dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto con riferimento all’art. 119 Cost., non sono fondate.

Come in precedenza chiarito (al paragrafo 3.3.2), il comma 17 dell’art. 61 stabilisce che l’obbligo di versare al bilancio dello Stato le somme provenienti dalle riduzioni di spesa previste dalle disposizioni del medesimo articolo, fra le quali è da comprendersi anche quella di cui al censurato comma 9, non si applica agli enti territoriali. Conseguentemente, deve anche in questo caso, come in quello relativo al comma 7-bis dell’art. 61, escludersi che la norma impugnata abbia effetto lesivo dell’autonomia finanziaria delle ricorrenti.

4. – La Regione Valle d’Aosta ha impugnato il comma 17 dell’art. 61, per l’ipotesi in cui esso dovesse interpretarsi nel senso di imporre anche all’Università della Valle d’Aosta l’obbligo di versare al bilancio dello Stato le somme provenienti dall’applicazione delle misure di contenimento della spesa previste dal medesimo art. 61.

Secondo la ricorrente, ciò rappresenterebbe innanzitutto una violazione delle competenze legislative e amministrative in materia di finanziamento dell’Ateneo valdostano, che sono attribuite alla Regione Valle d’Aosta dall’art. 1 del decreto legislativo 21 settembre 2000, n. 282 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta in materia di potestà legislativa regionale inerente il finanziamento dell’università e l’edilizia universitaria), il quale è stato adottato, in applicazione dell’art. 17, comma 121, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo) in base al procedimento previsto, per l’emanazione delle norme di attuazione dello statuto, dall’art. 48-bis della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta). La norma censurata, pertanto, intervenendo in un ambito materiale (finanziamento all’ateneo valdostano) che spetta alla Regione Valle d’Aosta in virtù di una disposizione attuativa dello statuto, violerebbe, per il tramite di tale norma interposta, l’art. 48-bis dello statuto stesso. Sarebbe poi leso, ad avviso della ricorrente, il principio di leale collaborazione, in quanto la disposizione censurata inciderebbe «negativamente sul finanziamento dell’Ateneo valdostano, senza alcun coinvolgimento della Regione Valle d’Aosta». La ricorrente deduce, infine, la lesione dell’autonomia finanziaria regionale e del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dal momento che l’applicazione della norma censurata all’Università della Valle d’Aosta, che è prevalentemente finanziata dalla Regione, si tradurrebbe «in un irragionevole e illegittimo trasferimento di risorse economiche dalla Regione allo Stato».

Le questioni sono fondate.

Le censure prospettate dalla ricorrente devono essere esaminate alla luce del peculiare regime giuridico dell’Università della Valle d’Aosta, la cui intera disciplina è connotata da forme di intesa e collaborazione fra Stato e Regione Valle d’Aosta, con particolare riguardo al finanziamento dell’ateneo. L’art. 17, commi 120 e 121, della legge n. 127 del 1997, nel consentire nel territorio valdostano l’istituzione di una università non statale promossa o gestita da enti e da privati, ha infatti dettato una disciplina in base alla quale: a) l’autorizzazione al rilascio di titoli di studio universitari aventi valore legale è concessa all’Università della Valle d’Aosta con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, previa intesa con la Regione autonoma della Valle d’Aosta; b) i contributi dello Stato sono determinati annualmente con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, previa intesa con la Regione autonoma della Valle d’Aosta; c) la potestà legislativa in materia di finanziamento all’ateneo valdostano è attribuita alla Regione Valle d’Aosta «ai sensi dell’articolo 48-bis dello statuto speciale per la Valle d’Aosta», cioè mediante un decreto legislativo di attuazione dello Statuto stesso, il cui schema è «elaborat[o] da una commissione paritetica composta da sei membri nominati, rispettivamente, tre dal Governo e tre dal Consiglio regionale della Valle d’Aosta e [è] sottopost[o] al parere del consiglio stesso». Secondo tale procedimento è stato approvato il d.lgs. n. 282 del 2000, in base all’art. 1 del quale «la Regione autonoma Valle d’Aosta emana norme legislative in materia di finanziamento» dell’Università della Valle d’Aosta.

In questo quadro, la disposizione censurata dispone unilateralmente, e senza alcuna forma di coinvolgimento della Regione Valle d’Aosta, l’acquisizione al bilancio statale di somme provenienti dall’applicazione di misure di contenimento che si riferiscono a voci di spesa che sono finanziate anche con risorse poste a carico del bilancio regionale. In tal modo, la norma impugnata, da un lato, viola il principio di leale collaborazione, e, dall’altro lato, lede la potestà legislativa in materia di finanziamento dell’ateneo che è attribuita alla Regione Valle d’Aosta da un decreto di attuazione dello statuto, cui la costante giurisprudenza di questa Corte riconosce forza prevalente su quella delle leggi ordinarie (sentenze nn. 159 e 132 del 2009, n. 341 del 2001, n. 212 del 1994 e n. 20 del 1956). Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale del comma 17 dell’art. 61, nella parte in cui si applica all’Università della Valle d’Aosta.

5. – Le Regioni Emilia-Romagna, Veneto e Calabria hanno impugnato i commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61, deducendo la violazione degli artt. 117 e 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione. In particolare, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 14 e 16 dell’art. 61, per ciascuno di essi prospettando la violazione degli artt. 117 e 119 Cost.; ha inoltre censurato il comma 20, lettera b), dell’art. 61, per violazione dell’art. 119 Cost.; ha infine impugnato il comma 21 dell’art. 61, per violazione dell’art. 119 Cost. e del principio di leale collaborazione. La Regione Veneto ha censurato i commi 14, 19, 20, lettera b), e 21, per ciascuno di essi deducendo la violazione degli artt. 117 e 119 Cost. La Regione Calabria ha impugnato i commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21 dell’art. 61, in ordine a ciascuno di essi lamentando la lesione degli artt. 117 e 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

5.1. – L’analisi delle censure prospettate dalle ricorrenti deve essere preceduta da una sintetica ricostruzione del quadro normativo.

Le disposizioni impugnate sono infatti strettamente collegate l’una all’altra e, nel loro complesso, sono dirette a realizzare un unico risultato. Esse mirano a consentire alle Regioni, con il concorso finanziario dello Stato, di abolire, a beneficio degli utenti dei rispettivi servizi sanitari regionali, la quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti non esentati (d’ora in avanti «ticket»), prevista dall’art. 1, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007). Ai fini della copertura degli oneri derivanti dall’abolizione del ticket (disposta, per gli anni 2009-2011, dal comma 19 dell’art. 61), il legislatore, per un verso, incrementa di una quota pari a 400 milioni di euro su base annua il livello del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale al quale lo Stato concorre ordinariamente (art. 61, comma 20, lettera a), mentre, per altro verso, dispone che la parte residuale della copertura dell’abolizione del ticket debba essere assicurata dalle Regioni, le quali possono, a tal fine, ricorrere a diversi strumenti.

In primo luogo, in base al comma 20, lettera b), numero 1), le Regioni «destinano, ciascuna al proprio servizio sanitario regionale, le risorse provenienti dalle disposizioni di cui ai commi 14 e 16» dell’art. 61: in particolare, il comma 14 prevede una riduzione del 20 per cento dei trattamenti economici di dirigenti e sindaci di strutture sanitarie, mentre il comma 16 prevede l’adozione di misure normative o amministrative «finalizzate ad assicurare la riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi» («con particolare riferimento alla diminuzione dell’ammontare dei compensi e delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi e del numero di questi ultimi, alla soppressione degli enti inutili, alla fusione delle società partecipate, al ridimensionamento delle strutture organizzative ed all’adozione di misure analoghe a quelle previste nel presente articolo»). In secondo luogo, in base al comma 20, lettera b), numero 2), le Regioni «adottano ulteriori misure di incremento dell’efficienza e di razionalizzazione della spesa». Infine, la disciplina censurata prevede anche che le Regioni, ai sensi del comma 21 dell’art. 61, in luogo della «completa adozione» delle misure più sopra indicate, possano «decidere di applicare, in misura integrale o ridotta», il ticket, «ovvero altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria di effetto finanziario equivalente».

5.2. – Con riferimento alla disciplina più sopra illustrata, le Regioni ricorrenti lamentano, innanzitutto, la violazione dell’art. 117 Cost. Tutte le disposizioni impugnate, infatti, detterebbero una disciplina puntuale e di dettaglio in ambiti materiali di potestà legislativa concorrente (tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica), nei quali lo Stato può adottare esclusivamente norme di principio.

Viene dedotta, in secondo luogo, la lesione dell’art. 119 Cost., in quanto ciascuna delle norme impugnate introdurrebbe, ad avviso delle ricorrenti, limiti puntuali a singole voci di spesa. Esse, inoltre, condizionerebbero l’uso delle risorse regionali, imponendo la destinazione dei risparmi conseguiti a copertura dell’abolizione del ticket e, scaricando sulle Regioni le conseguenze finanziarie di tale abolizione, inciderebbero negativamente sull’autonomia finanziaria regionale anche sotto il profilo delle entrate, per giunta violando il principio di corrispondenza fra funzioni e risorse di cui al quarto comma dell’art. 119 Cost.

Le Regioni Emilia-Romagna e Calabria deducono, infine, la violazione del principio di leale collaborazione. Tale violazione, secondo la Regione Emilia-Romagna, deriverebbe dalla circostanza che il legislatore statale, abolendo il ticket senza provvedere all’integrale copertura finanziaria, avrebbe costretto le Regioni a realizzare i risparmi di spesa indicati puntualmente dallo Stato, oppure a reintrodurre il ticket, in quest’ultimo caso dovendosi però assumere la responsabilità di togliere ai cittadini un beneficio loro accordato dallo Stato. La Regione Calabria asserisce invece che questa Corte, con la sentenza n. 203 del 2008, avrebbe dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, allora proposta nei confronti della norma che aveva introdotto il ticket, sul rilievo che tale disposizione era stata adottata in attuazione di un protocollo di intesa fra Stato e Regioni. La ricorrente ne trae la conseguenza che anche la disciplina censurata, la quale incide sul ticket, avrebbe dovuto prevedere forme di intesa con le Regioni. La mancanza di tale intesa, unita alla circostanza che l’intervento statale è suscettibile di determinare una «disomogeneità, da Regione a Regione, del regime di compartecipazione economica per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale», rappresenterebbe, secondo la ricorrente, una violazione del principio di leale collaborazione.

5.3. – Le questioni non sono fondate.

5.3.1. – Le censure proposte in relazione agli artt. 117 e 119 Cost. possono essere affrontate congiuntamente. L’intera disciplina impugnata, infatti, in quanto complessivamente rivolta a permettere l’abolizione del ticket, individuando le relative modalità di copertura, ha palesemente una finalità di coordinamento finanziario, in un settore rilevante della spesa pubblica come quello sanitario. Di conseguenza, per valutarne la legittimità, tanto in relazione all’art. 117 Cost., quanto con riferimento all’art. 119 Cost., risulta decisivo verificare se tale disciplina si mantenga sul piano delle norme di principio e della indicazione di complessivi obiettivi di riequilibrio finanziario, lasciando alle Regioni sufficienti margini di autonomia circa i mezzi necessari per la realizzazione degli obiettivi stessi.

Sotto tale profilo, le disposizioni censurate lasciano alle Regioni sufficienti margini di scelta. Innanzitutto, le Regioni non sono tenute ad abolire il ticket. Esse possono decidere di continuare ad applicarlo integralmente. Oppure possono decidere di ridurre il ticket, anziché abolirlo. Ancora, possono decidere di sostituire il ticket con «altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria di effetto finanziario equivalente». In tutte queste ipotesi, le Regioni non sono obbligate alla «completa adozione» delle misure di contenimento della spesa asseritamente lesive dell’autonomia legislativa e finanziaria regionale. Ciò significa che esse possono applicare in modo parziale le misure di riduzione della spesa indicate dalle disposizioni impugnate, oppure possono applicare alcune di esse e non altre, o, ancora, possono applicare in modo parziale soltanto alcune delle misure indicate dal legislatore. Va considerato, inoltre, che, anche qualora le Regioni, scegliendo di abolire il ticket, siano tenute ad applicare in modo completo le disposizioni censurate, tuttavia queste ultime, almeno in alcuni casi, prevedono comunque margini di flessibilità e di autonomia. Il comma 16 dell’art. 61, ad esempio, prevede un generico obbligo delle Regioni di assicurare la riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi, indicando alcune più specifiche misure, ma facendo anche riferimento a «ulteriori misure analoghe a quelle previste nel presente articolo». Analogamente, il comma 20, lettera b), dell’art. 61, stabilisce che, ai fini della copertura degli oneri derivanti dall’abolizione del ticket, le Regioni «adottano ulteriori misure di incremento dell’efficienza e di razionalizzazione della spesa».

Da tutto ciò deriva che le disposizioni impugnate, ove correttamente considerate nel loro insieme e in relazione al risultato finale che esse si prefiggono di raggiungere, non si pongono in contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., in quanto non prevedono «in modo esaustivo e puntuale strumenti o modalità per il perseguimento» di obiettivi di riequilibrio finanziario (sentenza n. 284 del 2009), ma lasciano alle Regioni la possibilità di scegliere in un ventaglio di «strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenza n. 237 del 2009).

5.3.2. – Con riguardo all’asserita violazione del principio di leale collaborazione, deve osservarsi che questa Corte ha effettivamente riconosciuto che l’introduzione di un ticket fisso in tutto il territorio nazionale è stata correttamente preceduta da una intesa fra Stato e Regioni, con cui le parti hanno convenuto «di omogeneizzare le forme di compartecipazione alla spesa in funzione di una maggiore appropriatezza delle prestazioni» (si veda la sentenza n. 203 del 2008). Da ciò non può tuttavia trarsi come conseguenza che la disciplina attualmente censurata, nel consentire una differenziazione delle forme di compartecipazione alla spesa, senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni, violi il principio di leale collaborazione. In primo luogo, le norme impugnate non contraddicono l’omogeneità delle forme di compartecipazione alla spesa, dal momento che esse si limitano a consentire una contenuta variabilità dell’importo del ticket fra Regione e Regione, pur sempre entro una soglia massima fissata dallo Stato. In secondo luogo, e soprattutto, non può ritenersi in contrasto con il principio di leale collaborazione una disciplina che, sotto lo specifico profilo qui considerato, amplia e non comprime l’autonomia delle Regioni. Queste ultime, per effetto delle disposizioni censurate, possono applicare, ridurre o abolire un ticket che, in precedenza, erano invece tenute ad applicare. Il fatto che il legislatore statale, nel rispetto del principio di leale collaborazione, abbia acquisito l’intesa delle Regioni per introdurre una norma che pone un limite alla loro autonomia (il ticket fisso su tutto il territorio nazionale), non significa che una analoga intesa sia necessariamente richiesta anche per la rimozione, sia pur condizionata, di tale limite.

6. – La Provincia autonoma di Trento ha impugnato il combinato disposto dei commi 14 e 15 dell’art. 61. La seconda disposizione è infatti censurata nella parte in cui dovesse intendersi nel senso di imporre alle Province autonome l’applicazione della prima. La ricorrente lamenta, oltre alla violazione degli artt. 117 e 119 Cost., nell’ipotesi in cui tali disposizioni costituzionali si ritenessero estendibili alla Provincia, anche la lesione di altri parametri. In primo luogo, gli artt. 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10), e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in quanto la disciplina censurata violerebbe la potestà legislativa esclusiva della Provincia di Trento in tema di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto» e la potestà legislativa concorrente in materia di «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera». In secondo luogo, viene dedotta la violazione del Titolo VI del d.P.R. n. 670 del 1972, che disciplina l’autonomia finanziaria delle Province autonome, la quale sarebbe irragionevolmente lesa mediante «l’imposizione di precisi limiti di spesa da parte dello Stato in un ambito nel quale la Provincia non dipende dalle risorse del bilancio statale», dal momento che al finanziamento della spesa sanitaria nel proprio territorio la Provincia autonoma di Trento provvede «senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato», come previsto dall’art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Infine, ad avviso della ricorrente, la disposizione censurata lederebbe anche l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento). In base a quest’ultima norma, infatti, anche qualora la disciplina censurata dovesse ritenersi idonea a vincolare la Provincia ai sensi dello statuto, in ogni caso essa non potrebbe avere immediata applicazione, potendo comportare soltanto un obbligo di adeguamento entro sei mesi, restando ferma, nel frattempo, la disciplina provinciale preesistente.

La questione avente ad oggetto il comma 14 dell’art. 61 è fondata.

Le risorse provenienti dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie, prevista dalla disciplina impugnata, devono essere destinate dalle Regioni al finanziamento dei rispettivi servizi sanitari regionali, per finanziare l’eventuale abolizione del ticket. Come in precedenza chiarito (al paragrafo 5.3.1), il censurato comma 14 dell’art. 61 è strettamente connesso con le altre disposizioni contenute nel medesimo articolo, insieme alle quali esso è diretto a consentire alle Regioni di abolire o ridurre il ticket, in precedenza fissato dal legislatore statale, alla condizione che le Regioni stesse concorrano con lo Stato alla copertura dei relativi oneri. Pertanto, se considerata alla luce del più complessivo sistema normativo in cui risulta inserita, tale disposizione costituisce legittimo esercizio del potere dello Stato di dettare principi fondamentali di coordinamento finanziario.

Ma a simili conclusioni non può pervenirsi nello specifico caso della Provincia autonoma di Trento, la quale provvede interamente al finanziamento del proprio servizio sanitario provinciale, «senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994). In tale diverso e peculiare contesto, l’applicazione alla Provincia autonoma di Trento del comma 14 dell’art. 61 non risponderebbe alla funzione che la misura in questione assolve per le altre Regioni. Dal momento che lo Stato non concorre al finanziamento del servizio sanitario provinciale, né quindi contribuisce a cofinanziare una eventuale abolizione o riduzione del ticket in favore degli utenti dello stesso, esso neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento. Per tali ragioni, del resto, la stessa Avvocatura generale dello Stato ha prospettato, nella memoria, una interpretazione secondo la quale non deve ritenersi applicabile alla Provincia autonoma di Trento la disciplina censurata. Peraltro, poiché il tenore letterale di quest’ultima non consente di raggiungere un tale risultato in via interpretativa, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale del comma 14 dell’art. 61, nella parte in cui si applica alla Provincia autonoma di Trento. Tale dichiarazione di illegittimità costituzionale, essendo basata sulla violazione del sistema statutario del Trentino-Alto Adige, deve estendere la sua efficacia anche alla Provincia autonoma di Bolzano.

L’accoglimento, nei termini più sopra prospettati, della questione di legittimità costituzionale riferita al comma 14 dell’art. 61, priva inoltre la ricorrente dell’interesse ad impugnare il comma 15, primo periodo, del medesimo articolo, la questione di legittimità costituzionale del quale deve, pertanto, dichiararsi inammissibile.

7. – Avendo la Corte deciso il merito del ricorso, non vi è luogo a provvedere in ordine alla istanza di sospensione delle disposizioni impugnate, formulata dalla Regione Calabria.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi e riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Valle d’Aosta e Calabria, nonché dalla Provincia autonoma di Trento con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, comma 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui si applica all’Università della Valle d’Aosta;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, comma 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui si applica alle Province autonome di Trento e di Bolzano;

dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 8, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, proposta, in relazione all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposte, in relazione all’art. 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione all’art. 119 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi 14 e 16, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 20, lettera b), del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta, in relazione all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta, in relazione all’art. 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi 14, 19, 20, lettera b), e 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, proposte, in relazione agli artt. 3, 97 e 118 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposte, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 15, primo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione, agli artt. 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10), 16 e da 69 a 86 (Titolo VI) del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2009.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/scheda_ultimo_deposito.asp?sez=ultimodep&Comando=LET&NoDec=341&AnnoDec=2009&TrmD=&TrmM=

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