Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 14-02-2011, n. 5407 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 13 settembre 2010, rigettava l’appello proposto da R.M. avverso l’ordinanza del Tribunale di Nola del 9 luglio 2010, con la quale veniva rigettata l’istanza di declaratoria di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere, per decorrenza dei termini massimi ex art. 303 c.p.p. in relazione all’art. 297 c.p.p., comma 3.

Il Tribunale rilevava che il R. era stato già colpito da ordinanza custodiale del G.I.P. del Tribunale di Napoli, in data 10 ottobre 2006, per il reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 2, in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7, commesso in (OMISSIS); lo stesso R. veniva, poi, raggiunto da nuovo titolo custodiale, emesso dallo stesso G.I.P. in data 11 maggio 2007, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4 e 5 contestato come commesso "in atto" in (OMISSIS).

Il Tribunale escludeva la sussistenza della connessione qualificata, richiesta dall’art. 297 c.p.p., comma 3, tra delitto associativo e reati fine, ed affermava che, nel caso di specie, difettava il requisito della anteriorità dei fatti oggetto del secondo titolo custodiale rispetto all’emissione della prima ordinanza, in quanto, nella vicenda in esame il vincolo associativo è sicuramente perdurato sino all’interruzione della permanenza, avvenuta, al più, con la seconda ordinanza di custodia cautelare eseguita in data 11 maggio 2007.

Il Tribunale aggiungeva che il meccanismo della contestazione a catena neppure è invocabile nel caso di specie, poichè nell’ambito del primo e diverso procedimento in cui è stata emessa la misura custodiale era intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, in applicazione del principio fissato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 20780 del 23 aprile 2009, Iaccarinco rv. 243322), che, ad avviso del Tribunale, è suscettibile di applicazione anche quando il passaggio in giudicato della sentenza sia successivo all’emissione del primo titolo cautelare.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:

1) vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per errata applicazione ed interpretazione dell’art. 297 c.p.p., nonchè illogicità della motivazione.

Il ricorrente osserva che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, richiamato dall’ordinanza impugnata, si riferisce all’ipotesi dell’ordinanza cautelare emessa quando il procedimento nascente dalla prima ordinanza sia stato definito con sentenza passata in giudicato, mentre nell’ipotesi in cui al momento dell’emissione della seconda ordinanza esiste ancora una misura cautelare ed è in atto, come nel caso in esame, non vi sarebbe alcuna ragione per ritenere che il titolo custodiale non sia più l’ordinanza cautelare ma la sentenza di merito. Per quanto concerne il requisito dell’anteriorità dei fatti di cui alla seconda ordinanza rispetto all’emissione del primo titolo cautelare, l’ordinanza impugnata, ad avviso del ricorrente, sarebbe illogica ed errata, fondandosi unicamente sulla fictio iuris della perduranza del reato associativo che, convenzionalmente, si fa cessare alla data di emissione della sentenza di primo grado; tale convenzione non dovrebbe pregiudicare l’applicabilità dell’art. 297 c.p.p., comma 3, ove risulti, come nel caso di specie, che i fatti di partecipazione, qualificanti e costituenti la condotta associativa, siano tutti antecedenti all’emissione della prima ordinanza cautelare. 2) vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per omessa, apparente o carente motivazione circa il rilievo difensivo concernente l’interruzione della permanenza della condotta associativa in conseguenza della detenzione ininterrotta del R..

Il ricorrente rileva che il R. è stato arrestato in data 21 settembre 2006 per il reato di tentata estorsione, di cui al primo titolo cautelare ed è da allora ininterrottamente detenuto: tale circostanza non consentirebbe di presumere automaticamente la perduranza della condotta associativa.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati e devono essere rigettati.

Con riferimento al requisito della anteriorità dei fatti oggetto del secondo titolo custodiale rispetto all’emissione della prima ordinanza, questa Corte, a Sezioni Unite (Sez. U., n. 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, Librato, Rv. 235910) ha chiarito che "la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza (Sez. 2, 16 marzo 2006, n. 17575, Cardella, rv. 233833; nello stesso senso, tra le più recenti, ved. Sez. 2, 16 febbraio 2006, n. 12984, Locorotondo, rv. 233807;

Sez. 2, 9 febbraio 2006, n. 7615, Motta, rv. 233162; Sez. 2, 9 febbraio 2006, n. 6252, Anfuso, rv. 233857; Sez. 5, 14 dicembre 2005, n. 3098/06, Lanzino, rv. 233746). E’ solo rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297 c.p.p., comma 3, che prende in considerazione solo i "fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza". (…) E’ noto che la permanenza in carcere normalmente non recide i legami degli associati, e soprattutto dei capi, con l’associazione mafiosa e se, permanendo il reato associativo, fosse preclusa l’adozione di ulteriori misure cautelari l’ordinamento resterebbe sguarnito nei confronti di fenomeni criminali di grande pericolosità, che secondo la previsione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, devono di regola essere contrastati con l’applicazione della custodia in carcere".

I principi di diritto, come sopra formulati, sono decisivi per il rigetto del relativo motivo di ricorso e ciò sarebbe sufficiente per il rigetto del ricorso nella sua interezza. Comunque, con riferimento all’altro motivo, con il quale si contesta che sia rilevante la circostanza che il procedimento nascente dalla prima ordinanza sia stato definito con sentenza passata in giudicato successivamente all’adozione del secondo provvedimento cautelare, il collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale "in tema di cosiddetta contestazione a catena, l’operatività della disciplina presuppone che i procedimenti cui attengono le diverse ordinanze cautelari siano tutti in itinere, sicchè essa non trova applicazione nell’ipotesi in cui il primo procedimento si sia concluso con una sentenza di condanna passata in giudicato, sia pure in epoca successiva alla seconda ordinanza cautelare (Sez. 1, n. 12551, 16/03/2010, Cava, rv. 246704; Sez. 6, n. 26184 del 05/05/2009, Humo, Rv. 244286; Sez. 1, n. 10443 del 04/03/2010, Diviggiano, Rv. 246512).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con la conseguenza della condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario, affinchè provveda a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

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