Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 14-02-2011, n. 5403

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o.
Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 15 luglio 2009, rigettava l’appello proposto da R.D. avverso il provvedimento del Tribunale di Nola del 24 marzo 2009, di rigetto della richiesta di declaratoria di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere per decorrenza dei termini massimi calcolati secondo le regole della ed "contestazione a catena". La Corte di Cassazione sezione 6^, con sentenza del 21 dicembre 2009, annullava la predetta ordinanza, disponendo che il giudice di rinvio si dovesse far carico di verificare "se ed in quale misura al momento dell’emissione della prima ordinanza applicativa della misura cautelare carceraria erano effettivamente desumibili dagli atti gli elementi giustificanti l’ordinanza successiva" e, in caso positivo, "se la decisione di tenere separati i due ambiti cautelari risponda o meno a concrete esigenze processuali o non sia frutto di una separazione dei procedimenti e di un frazionamento dei reati contestati al R. valutabili non sorretti, l’una e l’altro, da concreta giustificazione".

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 21 giugno 2010, in sede di rinvio, riconosceva che alla data di emissione della prima ordinanza, concernente un tentativo di estorsione, riguardante oltre al ricorrente altri due indagati, erano già disponibili gravi indizi per l’applicazione della seconda misura; riteneva, peraltro, che i tempi di richiesta e di applicazione della prima misura fossero correlati ad esigenze concrete in ordine all’attualità del rischio per le persone offese, mentre la seconda misura era l’esito di un’ampia indagine riguardante vari gruppi camorristici, con i relativi reati associativi contestati a 115 persone, tra le quali il R., e con un vasto numero di reati fine. Il Tribunale concludeva nel senso che la scelta del pubblico ministero di non riunire i due procedimenti non aveva avuto carattere elusivo del rispetto delle regole in tema di termini di custodia cautelare, anche perchè non sarebbe stato possibile uno stralcio che avrebbe costretto il p.m. a rendere noti elementi di prova riguardanti altre persone, trattandosi di procedimenti iniziati sulla base di diverse notizie di reato portati a conoscenza con diversi atti della polizia giudiziaria.

Propone ricorso per cassazione il difensore del R., deducendo violazione di legge e illogicità della motivazione, rilevando che il Tribunale avrebbe una scarsa conoscenza degli atti processuali, in quanto le condotte contestate con la prima ordinanza (tentativo di estorsione) si erano esaurite molto tempo prima che le persone offese si decidessero a denunciare quanto accaduto; osservando, poi, che l’ordinanza impugnata trascura la possibilità di richiedere la misura cautelare nei confronti dei soli partecipanti (42 soggetti) al clan Russo, rispetto ai quali, così come per il R., gli elementi indiziari erano già noti alla data della prima ordinanza, in tal modo ponendo a carico dell’indagato il "vezzo" delle Procure di instaurare processi con numerosissimi indagati, con manifesta difficoltà a gestirli nelle varie fasi processuali.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e devono essere dichiarati inammissibili. E’ manifestamente infondata la deduzione di violazione di legge, poichè l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione in sede di rinvio del principio di diritto formulato da questa Suprema Corte con la sentenza di annullamento. Ugualmente manifestamente infondata è la deduzione di illogicità della motivazione, in quanto il ricorrente, in realtà, richiede a questa Corte una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto emergenti dagli atti, sulla base dei quali il giudice di merito ha motivatamente ritenuto che la scelta del pubblico ministero di non riunire i due procedimenti non aveva avuto carattere elusivo del rispetto delle regole in tema di termini di custodia cautelare.

D’altro canto, il ricorrente neppure formula censure che possano considerarsi specifiche, dilungandosi nel denunciare, in modo del tutto generico ed avulso dalla concreta fattispecie, il "vezzo" delle Procure di instaurare processi con numerosissimi indagati. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario, affinchè provveda a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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