T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 10-02-2011, n. 246 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le ricorrenti hanno acquistato il mappale 2612 sul quale hanno realizzato, con licenza edilizia n. 1042 del 10 giugno 1974 rilasciata ai rispettivi coniugi, un edificio bifamiliare dotato di due box, la cui area di pertinenza è stata successivamente recintata, in parte pavimentata e in parte destinata a giardino. Tale edificio, denominato 7/C costituisce uno dei quattro realizzati nell’ambito di un’unica lottizzazione che ha interessato i fondi rappresentanti dai mappali n. 4084 e n. 2612 e per la sistemazione esterna dei quali il Comune aveva rilasciato, all’arch. S., nel 1978, una concessione edilizia.

In data 28.11.1991 il Comune rendeva noto che, con sentenza del TAR di Brescia n. 423/85 era stato accolto il ricorso presentato dai sig.ri R. e B. e, conseguentemente, annullata la concessione edilizia del 1978 relativa alla sistemazione delle aree esterne ai quattro edifici oggetto di lottizzazione, rendendo necessaria, quindi, la riduzione in pristino dei luoghi sulla scorta della situazione di fatto illustrata dalla planimetria allegata alla scrittura privata Rep. 47474 del 19 novembre 1976, in ragione della quale si sarebbe dovuto procedere alla realizzazione di un piazzale ad uso comune di parcheggio e all’allargamento della stradina privata di accesso agli edifici.

A ciò si opposero, dapprima in via amministrativa, le sig.re M., evidenziando come la citata scrittura fosse intercorsa tra soggetti diversi e, quindi, non potesse esplicare alcun effetto nei confronti delle stesse.

Dopo anni di silenzio, il 17 novembre 1998, il Comune rendeva noto di aver dato avvio al procedimento amministrativo necessario per l’esecuzione della sentenza del TAR Brescia n. 423/1985.

Visionato il progetto di massima predisposto dall’Amministrazione, le sig.re M. presentavano, in data 14 dicembre 1998, una memoria, apprendendo solo il 6 aprile 1999 che, già in data 9 dicembre 1998, era stato approvato il progetto esecutivo per la realizzazione dell’intervento in questione.

Detto progetto, oltre a qualificare apoditticamente come atto dovuto l’intervento previsto, prevedeva la realizzazione di 3 posti macchina privi del necessario spazio di manovra e, quindi, inutilizzabili, se non invadendo un’ulteriore porzione della proprietà delle ricorrenti.

Il provvedimento è stato, quindi, impugnato, avanti il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sede di Milano, deducendo:

1. violazione di legge ed in particolare dell’art. 7 della legge n. 241/90: la delibera di Giunta è stata adottata senza esaminare la memoria delle ricorrenti, nonostante la stessa fosse stata presentata meno di trenta giorni dal ricevimento dell’avviso, il quale non conteneva un termine;

2. violazione dei limiti oggettivi del giudicato, eccesso di potere per travisamento, erroneità e difetto dei presupposti: la sentenza ha annullato la concessione edilizia con espressa salvezza delle ulteriori determinazioni dell’Autorità amministrativa, così privando le opere del titolo legittimante, ma senza imporre alcunché al Comune. La realizzazione delle opere progettate andrebbe, dunque, oltre i limiti di quanto imposto dalla sentenza e, pertanto, non potrebbe configurare un mero intervento ripristinatorio, anche se nella sentenza si legge che le opere di sistemazione esterna ritenute illegittime avrebbero soppresso un preesistente piazzale parcheggio posto al servizio dei quattro edifici;

3. incompetenza in quanto i provvedimenti sanzionatori sarebbero di competenza del Dirigente e non della Giunta;

4. violazione dell’art. 16 della legge 109/94, norma che disciplinerebbe esclusivamente la realizzazione di opere pubbliche: categoria cui non può essere ricondotta l’opera in questione, rappresentata dalla realizzazione di un parcheggio ad esclusivo uso privato;

5. violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90, non essendo sufficiente a supportare il provvedimento il generico riferimento alla necessità di adempiere alla più volte citata sentenza;

6. violazione dei limiti soggettivi del giudicato;

7. eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, in ragione del lungo tempo trascorso dalla sentenza;

8. violazione degli art. 23 e 42 della Costituzione. La deliberazione impugnata pone tutte le spese a carico dei proprietari dei terreni, ma una tale imposizione non risulterebbe giustificata né da una disposizione di legge, né dalla sentenza, non opponibile alle ricorrenti;

9. eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e contrasto con precedenti provvedimenti: con il progetto in questione si imporrebbe il sacrificio alla proprietà privata, senza ottenere un risultato soddisfacente delle esigenze sottese, essendo il parcheggio sottodimensionato ed inutilizzabile una volta provveduto al ripristino della recinzione della proprietà delle ricorrenti.

Contestualmente le ricorrenti proponevano anche istanza di risarcimento del danno ex art. 35 del d. lgs. 80/98 per l’ingiusta imposizione di oneri non dovuti.

Si è costituito in giudizio il controinteressato R., che, oltre ad aver eccepito l’incompetenza per territorio che ha determinato la traslazione del ricorso dal Tribunale Amministrativo Regionale di Milano alla sezione staccata di Brescia, ha evidenziato l’inammissibilità del ricorso in ragione del fatto che le opere in questione insisterebbero solo sul mappale 7344 e 7345, ma non anche sul 2612. E’ pur vero che le ricorrenti godono, di fatto, dell’aiuola che verrà eliminata, ma tale godimento non legittima in alcun modo l’opposizione all’esecuzione dei lavori.

Esso ha dedotto, altresì, tardività conseguente al fatto che già in data 14 dicembre 1998 le ricorrenti sarebbero state a conoscenza della volontà del Comune di intervenire (in tale data, infatti, esse avrebbero presentato le proprie osservazioni, attestando di aver preso visione della documentazione inerenti il procedimento, tra cui, secondo la tesi qui sostenuta, anche la deliberazione di approvazione del progetto, la quale era, a tale data, già stata approvata), nonché l’infondatezza nel merito, essendo il provvedimento evidentemente preordinato all’esecuzione della sentenza più volte citata.

Si è, invece, costituito ad adiuvandum l’arch. S., evidenziando come il Comune, legittimato solo alla riduzione in pristino, sia andato ben oltre, impropriamente facendo applicazione della normativa in materia di opere pubbliche per la realizzazione di un’opera di natura privata.

In vista della pubblica udienza il controinteressato sig. R., insistendo per la tardività del ricorso e per la carenza di titolo legittimante in capo alle ricorrenti, ha anche sostenuto l’infondatezza nel merito del ricorso: i provvedimenti impugnati tenderebbe al mero ripristino della situazione precedente, ricreando quel parcheggio che era stato originariamente realizzato e che, nonostante le ridotte dimensioni, risulta rispettare gli standards urbanistici, utilizzando a tal fine gli unici strumenti di cui l’ente pubblico dispone. Nessuna irregolarità sarebbe riscontrabile nel procedimento, atteso che il cittadino ha diritto a formulare osservazioni, ma non anche a vederle accolte.

Anche le ricorrenti hanno depositato una memoria nella quale, richiamati tutti i motivi di ricorso dedotti e sostenuta l’esistenza di un interesse concreto ed attuale ad agire, hanno dato atto del fatto che, in esito alla concessione sospensione degli effetti del provvedimento, il Comune ha soprasseduto alla realizzazione delle opere in questione, con la conseguenza che non si è verificato il paventato danno di cui si chiedeva il risarcimento nel ricorso.

A ciò ha fatto seguito il deposito di reciproche memorie di replica, che nulla aggiungono alle posizioni delle parti come sopra rappresentate.

Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2011 la causa, su conforme richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente affrontata la questione pregiudiziale connessa alla legittimazione ad agire delle ricorrenti, posta in dubbio dall’eccezione del controinteressato sig. R., in ragione del fatto che le opere contestate interesserebbero solo i mappali 7345 e 7344, i quali non risultano essere di proprietà delle sig.re M., benché le stesse godano, di fatto, di una piccola aiuola insistente sul mappale 7345.

In effetti, le ricorrenti glissano completamente sul sopra ricordato profilo e non forniscono prova di essere proprietarie dalle aree interessate dalle opere in questione. Ciononostante è indiscusso il fatto che le stesse saranno chiamate a sostenere, in quota parte quali destinatarie del provvedimento, le spese di realizzazione delle medesime, con la conseguenza che ciò è sufficiente ad integrare la sussistenza di un interesse concreto ed attuale all’annullamento del provvedimento impugnato di cui sono soggetti passivi e, quindi, a fondare la loro legittimazione ad agire.

Superata tale eccezione, non può trovare accoglimento nemmeno quella volta a sostenere la tardività del ricorso.

Il solo fatto che, nelle proprie osservazioni datate 14 dicembre, le odierne ricorrenti attestino genericamente di aver preso visione della documentazione depositata non è sufficiente a comprovare che a tale data esse avessero già avuto conoscenza dell’avvenuta approvazione del progetto delle opere (risalente al 9 dicembre).

Respinte le eccezioni in rito, prima di entrare nel merito delle doglianze di cui al ricorso occorre chiarire come, nel caso di specie, la necessità di riportare in pristino stato i luoghi non deriva dal fatto che gli stessi fossero stati effettivamente adibiti a parcheggio e ad un più largo sedime della strada, bensì dalla mera, incontestabile perché passata in giudicato e mai opposta dalle ricorrenti, illegittimità delle opere eseguite sulla scorta della concessione edilizia annullata. Di tal che il ripristino non può che consistere nella rimozione delle recinzioni e delle pavimentazioni che impediscono, di fatto, l’utilizzazione della aree individuate come necessarie all’ampliamento della strada di accesso e alla creazione del piccolo parcheggio necessario per il rispetto degli standards urbanistici. La realizzazione di tali opere risulta, quindi, imposta ai proprietari lottizzanti non tanto in ottemperanza della sentenza in questione, bensì in ragione della riscontrata mancata esecuzione delle medesime e, quindi, della ravvisata violazione della normativa urbanistica (accertata con la sentenza n. 423/85), che dovrebbe essere contestata ai proprietari stessi al fine di eliminare l’abuso edilizio così integrato.

Abuso derivante dalla accertata violazione dell’art. 89 del regolamento edilizio che si non imponeva, di per sé, la realizzazione di un vero e proprio parcheggio comune, bensì che gli spazi esterni alle abitazioni fossero destinati a parcheggio privato scoperto, libero, in misura pari ad almeno 1 mq ogni 20 mc di volume della costruzione: destinazione comune che è stata preclusa dalla realizzazione della recinzione della proprietà privata che ha anche portato ad una larghezza della strada di accesso inferiore a quella imposta dall’art. 95 del Regolamento stesso.

Appare quindi chiaro che era la situazione di fatto, ritenuta da questo Tribunale, nel 1985, non conforme alla disciplina edilizia dell’area in questione che legittimava ed imponeva al Comune di procedere a rimuovere l’abuso edilizio secondo quanto disposto dall’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, conformemente a quanto indicato dalla sentenza n. 423/85 laddove, nel dispositivo, ha fatto salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Ciò chiarito, pertanto, il ricorso merita accoglimento in ragione dell’utilizzo, da parte del Comune, di un procedimento del tutto improprio per addivenire al risultato, legittimamente perseguendo.

La sentenza n. 423/85 imponeva, infatti, il ripristino dello stato precedente agli abusi commessi, con la conseguenza che al Comune sarebbe spettato adottare il procedimento espressamente previsto a tal fine dalla normativa edilizia, che passa attraverso l’adozione di un’ordinanza che ingiunge ai responsabili dell’abuso e ai proprietari dell’area la rimozione delle opere abusivamente realizzate e, in caso di prolungata inerzia degli intimati, la reiterazione dell’ordine, fissando a tal fine, un termine, decorso il quale si sarebbe dovuto provvedere a disporre l’esecuzione in danno dei soggetti obbligati al ripristino.

Solo laddove l’esecuzione di tale ordine, mediante la rimozione delle opere di recinzione e sistemazione delle parti esterne degli edifici realizzati abusivamente realizzate, non avesse comunque prodotto il risultato della costruzione di una strada della dimensione prevista dall’art. 95 del regolamento comunale allora vigente e di uno spazio adibito a parcheggio libero delle dimensioni di cui all’art. 89 del regolamento stesso, il Comune avrebbe dovuto, ancora una volta, contestare l’abuso così integrato.

Ricostruito l’iter imposto dalla legge per dare puntuale attuazione al principio di diritto affermato con la sentenza n. 423/85, parte ricorrente non introduce una specifica censura in tal senso, il cui accoglimento sarebbe stato assorbente di ogni altro motivo, ma ciò non esclude che il ricorso possa trovare accoglimento in ragione della fondatezza di alcune delle specifiche censure mosse avverso il provvedimento.

Rigettate le censure di cui ai numeri 2 e 6, volte a contestare il contenuto stesso della sentenza n. 423/85 e l’estensione dell’effetto del giudicato, per le ragioni sopra esposte, appare meritevole di positivo apprezzamento la prima censura.

Nel tentare di dare esecuzione alla sentenza più volte richiamata, infatti, il Comune risulta essere incorso nella violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90. Il principio che impone di garantire la partecipazione al procedimento del soggetto destinatario del provvedimento finale, seppur non assicura al cittadino, come evidenziato da parte resistente, l’accoglimento delle sue osservazioni, per converso non può dirsi rispettato laddove – in assenza di un termine più breve di quello ordinario considerato pari a trenta giorni, nonché di ragioni di urgenza che legittimino una tale scelta – il provvedimento conclusivo sia adottato a distanza di pochi giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento (21 giorni, nel caso di specie).

Peraltro il provvedimento non appare propriamente affetto da incompetenza, in quanto l’approvazione del progetto di un’opera pubblica rientra nella competenza della Giunta e non anche del Dirigente. Al contrario sarebbe stato quest’ultimo, effettivamente, a dover adottare il provvedimento sanzionatorio, impositivo dell’obbligo di provvedere al ripristino.

Ne discende che l’incompetenza, non ravvisabile rispetto all’atto in concreto adottato, deve invece riscontrarsi con riferimento all’obiettivo perseguito, competendo al funzionario preposto al controllo dell’attività edilizia l’adozione dell’ordine di ripristino e, quindi, il perseguimento dell’obiettivo imposto dalla sentenza n. 423/85.

Il ricorso alla normativa sui lavori pubblici e, conseguentemente, la classificazione dell’opera come opera pubblica appare invero illegittimo, atteso che trattasi di opera insistente su proprietà privata, destinata a rimanere in proprietà privata e a soddisfare interessi privati, ancorchè nel rispetto dei parametri fissati dalla normativa edilizia e, quindi, nessuna norma imponeva al Comune il ricorso alla legge 109/94 per addivenire all’approvazione di un progetto, per l’esecuzione di un intervento, in danno di privati, finalizzato all’eliminazione di un abuso edilizio.

Ne risulta fondata la quarta censura e così anche quelle indicate coi numeri 5 e 7, in cui si lamenta una violazione dell’obbligo di motivazione, dal momento che è stata richiamata, a fondamento del provvedimento impugnato, la necessità di eseguire una sentenza passata in giudicato che, invece, avrebbe dovuto condurre all’adozione di tutt’altro procedimento. In altre parole l’approvazione di un progetto di un’opera pubblica ai sensi della legge 109/94 non può avere quale adeguata motivazione la necessità di andare a realizzare un’opera di natura privata, la cui esecuzione sarebbe dovuta essere intimata ai soggetti individuati come responsabili dell’abuso edilizio, accertato con sentenza passata in giudicato.

Nessun problema di opponibilità della sentenza n. 423/85 si pone nei confronti delle ricorrenti, essendo esse destinatarie degli effetti indiretti della sentenza e cioè dell’accertamento del mancato rispetto degli standards ubanistici, il quale impone al Comune di reprimere il comportamento abusivo nei confronti di tutti i soggetti che di tale violazione siano responsabili.

È irrilevante, a tale proposito, quanto dedotto dalle ricorrenti, circa il fatto che le stesse non avrebbero avuto la possibilità di partecipare al giudizio. Proprio per tutelare la posizione di soggetti terzi, che possano subire danno dall’esecuzione di una sentenza pronunciata nella controversia intercorrente tra altri soggetti, l’ordinamento prevede lo specifico istituto dell’"opposizione di terzo".

Strumento cui le odierne ricorrenti non risulta abbiano fatto ricorso, con la conseguenza che esse hanno prestato acquiescenza agli effetti concreti che produrrà l’esecuzione della sentenza stessa.

In particolare, avrebbe dovuto essere rappresentata in quella sede giudiziale la tesi secondo cui la strada in questione si sottrarrebbe alle misure minime di cui all’art. 95 del regolamento per la sua natura stessa di strada privata.

L’aver consentito il formarsi del giudicato sulla questione rende incontestabile l’assoggettamento dell’opera alla ora richiamata norma regolamentare e, conseguentemente, l’adeguamento della sua consistenza reale a quella richiesta dalla norma.

Deve, quindi, essere respinta l’ottava censura, né miglior sorte tocca all’ultima, posto che del tutto irrilevante appare la circostanza che, così come verrebbe a essere realizzato, il parcheggio in questione non sarebbe funzionale, posto che le sue dimensioni sono quelle che derivano dalla puntuale applicazione del regolamento edilizio alla fattispecie concreta.

Conclusivamente, per le ragioni sopra esposte, merita accoglimento l’istanza di annullamento cui tende il ricorso in esame, mentre deve essere dato atto della dichiarazione con cui parte ricorrente ha attestato che non si è verificato il paventato danno di cui si chiedeva, originariamente, il risarcimento nel ricorso.

Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, atteso che l’accoglimento del ricorso è disceso dall’erronea individuazione, da parte del Comune, della strumento atto a perseguire un risultato imposto sia dalla legge, che dall’ottemperanza alla sentenza n. 423/85 di questo Tribunale e dal successivo vizio formale in cui l’Amministrazione è incorsa nell’ambito del relativo procedimento.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio, fatto salvo per il contributo unificato dalle ricorrenti anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che viene posto a carico dell’Amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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