Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-12-2010) 14-02-2011, n. 5379 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

vanni che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza pronunziata in data 27 luglio 2010, il Tribunale di Lecce – Sezione del riesame, in accoglimento di appello proposto dal P.M. avverso il provvedimento di diniego emesso dal GIP dello stesso Tribunale in data 2 luglio 2010, applicava ad P.A.M. la misura cautelare della custodia in carcere, quale indagato del delitto di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis per aver detenuto, per uso non esclusivamente personale, in concorso con T.F., gr. 225 di cocaina; in (OMISSIS). Ha ritenuto, in primo luogo, il Tribunale la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del P. integrati dalla chiamata di correità del T., tratto in arresto dalla P.G. nella flagranza del suddetto delitto perchè trovato in possesso, a seguito di perquisizione domiciliare, di un quantitativo di sostanza stupefacente custodito all’interno di una cassetta metallica chiusa a chiave nonchè dello strumentario tipico dello spacciatore.

Le dichiarazioni etero-accusatorie del T. erano risultate soggettivamente ed oggettivamente attendibili, attesi:

1. i rapporti di frequentazione tra i due nei giorni immediatamente precedenti l’arresto, accertati dalla stessa P.G. e riferiti dalla moglie del T. che aveva veduto tale M. lo stesso giorno dell’arresto del marito all’interno dell’abitazione coniugale, in due distinti orari, sentendolo con lo stesso conversare e che aveva allo stesso M. chiesto per telefono dove fosse la chiave della cassetta metallica, durante l’esecuzione della perquisizione, dopo averne reperito il numero telefonico nella memoria del cellulare del coniuge;

2. l’effettiva disponibilità di una moto di colore bianco (come dichiarato dalla moglie del T.) alla cui guida il P. era stato visto transitare da agenti della Squadra Mobile, sulla tangenziale est, prima dell’arresto (riuscendo peraltro a dileguarsi) senza esser più rintracciato, nei giorni successivi presso la sua abitazione, al pari della moglie e del suddetto motoveicolo;

3. la telefonata ricevuta dalla moglie del T. mentre era in Questura con cui un anonimo interlocutore, presentatosi come avvocato, si era messo a sua disposizione per la difesa del marito, senzachè alcun parente avesse conferito un siffatto incarico;

4. l’assenza di qualsivoglia contrasto tra T. e P. (soggetto di maggior spessore criminale in quanto colpito da precedente penale specifico per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti) tale da indurre ad ipotizzare la chiamata in correità "calunniosa", di persona estranea al reato ed ad escludere, nel contempo, atteggiamenti ritorsivi.

Ha desunto poi il Tribunale, la sussistenza di esigenze cautelari – in rapporto al pericolo di reiterazione del reato – tali da rendere adeguata e proporzionata l’applicazione della custodia in carcere (ben potendo la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari esser verosimilmente elusa) sia dalla gravità del fatto – attesa la tipologia e la quantità della sostanza stupefacente detenuta – sia dalla intensa capacità criminale del prevenuto che si era servito di un terzo per la custodia dello stupefacente onde allontanare da sè il sospetto di un proprio coinvolgimento nella vicenda criminale.

Ricorre per Cassazione il P., tramite il difensore, deducendo l’illegittimità dell’ordinanza impugnata sotto il profilo dell’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione al disposto degli artt. 273 c.p.p., commi 1 ed 1 bis e art. 274 c.p.p. nonchè della contraddittorietà della motivazione. La chiamata in correità effettuata dal T. era priva di ogni riscontro oggettivo stante l’evidente interesse della moglie G. M. a favorire il coniuge e la contraddittorietà delle dichiarazioni di entrambi, avendo la donna riferito che la cassetta era in uso al marito ed a "tale M. … che possedeva una moto bianca di grossa cilindrata"; mentre il T. aveva negato di esser a conoscenza del contenuto della cassetta metallica che l’amico P.M. gli aveva chiesto la Cortesia di detenere nella sua abitazione, non possedendone comunque la chiave. Nè da alcun altro elemento in atti sarebbe stato possibile dimostrare che il P. era passato davanti all’abitazione del T. in sella alla moto, essendone peraltro dubbia l’avvenuta identificazione quale conducente del veicolo, a causa della verosimile presenza anche sul volto, del casco integrale. Inoltre, alla stregua di mere considerazioni di ordine astratto, il Tribunale aveva ritenuto la ricorrenza della pericolosità dell’indagato e del pericolo di fuga quali esigenze cautelari ostative alla concessione della meno afflittiva misura cautelare degli arresti domiciliari, da ritenersi al contrario, adeguata in ragione dell’unicità dell’episodio commesso e della stessa dinamica dei fatti.

Con memoria depositata nell’imminenza dell’odierna udienza, insiste il difensore dell’indagato nell’accoglimento del ricorso,con annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, sottolineando:

– il difetto di motivazione in ordine alla ricorrenza di riscontri esterni delle pretese chiamate in reità, effettuate dal T. e dal coniuge, come peraltro già eccepito dalla difesa con altra memoria (allegata), già prodotta dinanzi al Tribunale del riesame,ma del tutto negletta;

– il vizio di violazione di legge in punto all’asserita inadeguatezza di misura meno afflittiva della custodia in carcere, da ritenersi, à sensi di legge, connotata da "residualità" rispetto alle altre misure alternative. Il ricorso è infondato e va quindi, per quanto di ragione, respinto. Va premesso che, à sensi dell’art. 311 c.p.p., contro le decisioni emesse a norma dell’art. 310 c.p.p., è ammesso ricorso per Cassazione unicamente per violazione di legge ivi incluso il solo vizio di omessa motivazione, obbligatoriamente prescritta per le sentenze e le ordinanze dall’art. 125 c.p.p., comma 3, con esclusione di quello di contraddittorietà della motivazione, di cui invece si duole inammissibilmente il difensore dell’imputato con il ricorso.

Ciò detto, osserva la Corte che il provvedimento impugnato è del tutto immune dalla denunziata violazione dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, art. 274 c.p.p., art. 192 c.p.p., commi 3 e 4.

Come già adeguatamente o correttamente evidenziato dal Tribunale di Lecce, le chiamate in correità ed in reità, effettuate dal T. e dalla consorte (dalle quali è raggiunto il P.) risultano intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili, attesa, da un lato, la mancanza di elementi idonei ad inficiare la credibilità dei propalanti e, dall’altro, la ricorrenza di "riscontri estrinseci individualizzanti". A tale proposito è sufficiente far diretto rinvio alle circostanze riferite in narrativa da n. 1 a n. 4 la cui gravità indiziaria, maxime in sede cautelare, deve ritenersi indiscussa. A ciò aggiungasi, contrariamente agli infondati assunti del ricorrente, che, sulla base di una lettura obiettiva delle dichiarazioni rese dal coindagato T. e dalla moglie, non sussiste alcuna discrasia tra le stesse, agli effetti che qui vengono in gioco. Tantomeno può dubitarsi della genuinità delle dichiarazioni accusatorie rese da G.M. "in considerazione di un evidente interesse della G. a favorire il proprio coniuge", come si sostiene in ricorso. In verità la donna, ben lungi dal favorire il marito, aveva riferito che la cassetta metallica, rinvenuta nella casa coniugale in esito alla perquisizione "è in uso a mio marito ed a tale M." dando quindi per pacifico il concorso di entrambi su di un piano di "parità, nel fatto della detenzione cui fa da logico corollario la indubbia conosapevolezza, in capo ad entrambi i codetentori, di che cosa in essa fosse contenuto, pur possedendone la chiave il solo P.. Il T. invece aveva, a propria discolpa, dichiarato spontaneamente in sede di arresto (confermando il tutto nel corso dell’interrogatorio di garanzia) di esser del tutto estraneo alla detenzione della cassetta "di proprietà del mio amico P.M., il quale mi aveva chiesto la Cortesia di tenerla presso la mia abitazione "tantochè ne ignorava totalmente il contenuto. E’ quindi acclarato che, grazie alle dichiarazioni del coniuge, il quadro indiziario a carico del T. sia risultato arricchito, in senso accusatorio e non viceversa.

Da qui l’obiettiva sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.

Il Tribunale di Lecce ha altresì fatto corretta applicazione dei precetti dettati dall’art. 275 c.p.p., rimarcando adeguatamente che l’unica misura cautelare in concreto idonea a contenere l’obiettivo pericolo di reiterazione dei reato (e quindi a salvaguardare le condizioni minime del vivere civile) era quella della custodia in carcere, risultandone inadeguata, ogni altra meno afflittiva, in particolare quella degli arresti domiciliari. Depone indiscutibilmente in tal senso il rilevante spessore criminale del P. desumibile dagli ancor più gravi precedenti penali specifici in quanto di recente condannato per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74; dal grave reato per il quale risulta indagato nel presente procedimento (illecita detenzione di gr. 225 di cocaina) nonchè dalla condotta improntata a rilevante capacità e "professionalità "criminali "per aver utilizzato altro soggetto per la custodia della sostanza stupefacente" (come osservato dal Tribunale di Lecce) onde meglio allontanare da sè ogni sospetto.

E’ quindi del tutto ovvio che, attesi siffatti elementi concreti denotanti la pericolosità sociale del P., la misura custodiale meno afflittiva degli arresti domiciliari (nella quale l’osservanza del divieto di allontanamento dal luogo di esecuzione, in difetto di istituzionalizzazione dell’indagato intra moenia, è frutto di determinazioni personali del prevenuto) non appare proporzionata a contrastare efficacemente la gravità delle esigenze cautelari da tutelare. Nè sussiste infine alcun difetto di motivazione, ad onta delle doglianze del difensore.

Questi aveva effettivamente prodotto dinanzi al Tribunale di Lecce la memoria (la cui copia risulta allegata a quella depositata in atti il 14 dicembre 2010) alla quale si era riportato, instando per la conferma del provvedimento del GIP, di reiezione dell’ordinanza cautelare ed a confutazione dell’appello del P.M. Ora, pur non facendone espressa menzione il Tribunale nell’ordinanza impugnata, è assolutamente pacifico che l’accoglimento dell’appello del P.M. ha quale ineludibile presupposto il previo l’esame delle argomentazioni dedotte dalla difesa, come tali logicamente ed implicitamente assorbite a contrario nello stesso provvedimento di accoglimento del proposto gravame. Nè l’omesso richiamo al complesso degli ulteriori elementi indiziari evidenziati dalla Pubblica Accusa in relazione alla sospetta sproporzione tra valore dei beni mobili (due automobili ed una motocicletta di grossa cilindrata) posseduti dal P. o comunque a lui riconducibili e le condizioni reddituali dello stesso vale ad inficiare in alcun modo l’esaustività e la sufficienza della motivazione del provvedimento (unico profilo dell’apparato argomentativo, sindacabile in questa sede), attese le ulteriori, articolate e diffuse ragioni, evidenziate dal Tribunale di Lecce a sostegno dell’accoglimento dell’appello del P.M..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al competente Tribunale Distrettuale del riesame perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 92 disp. att. c.p.p. a quanto stabilito dall’art. 92 disp. att. c.p.p..

Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *