T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 10-02-2011, n. 280 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Espone il ricorrente di essere proprietario di una civile abitazione situata all’interno di un lotto, destinato dallo strumento urbanistico a zona di completamento B/2, il quale può esprimere una volumetria complessiva pari a mc 3840.

All’interno del medesimo lotto era già presente una azienda vinicola.

In seguito veniva anche autorizzata la realizzazione di un fabbricato destinato a deposito materiali.

Il ricorrente, unitamente ad altri proprietari di fabbricati insistenti sull’area de qua, presentava altresì domanda di sanatoria per la realizzazione di maggiori volumi.

In data 25 novembre 1996 veniva infine rilasciata la concessione edilizia qui impugnata, diretta alla realizzazione di una civile abitazione.

I ricorrenti presentavano al riguardo osservazioni con le quali si eccepiva in sostanza che, per effetto degli interventi che avevano preceduto la concessione da ultimo richiamata, si sarebbe verificato l’esaurimento della volumetria complessivamente consentita sul predetto lotto.

Sul punto, secondo quanto riferito dal ricorrente, l’amministrazione comunale rilevava che nel calcolo della cubatura residuale autorizzabile non era stato tenuto conto dei volumi realizzati dal ricorrente e sanati come innanzi detto: pertanto, al netto degli illeciti edilizi sarebbe residuata una volumetria sufficiente (mc 607) ai fini dell’assentimento dell’intervento edilizio da ultimo richiesto e già autorizzato (per mc 599).

2. Veniva dunque interposto gravame per violazione degli standard edilizi.

3. Si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame. La difesa dello stesso ente proponeva inoltre eccezione di tardività del ricorso il quale, pur a fronte dell’inizio lavori avvenuto in data 15 marzo 1997, sarebbe stato tuttavia notificato soltanto in data 12 giugno 1997.

4. Con ordinanza n. 752 del 1997 veniva respinta l’istanza di tutela cautelare.

5. Con sentenza n. 2129 del 17 marzo 2004, accertato per fatto notorio il decesso dell’Avv. Innocente, originario difensore del ricorrente, veniva dichiarato interrotto il presente giudizio.

Con atto di riassunzione notificato in data 16 giugno 2004 il ricorrente originario chiedeva la prosecuzione del giudizio stesso.

Nel costituirsi nuovamente, l’amministrazione comunale intimata eccepiva la tardività della riassunzione, e ciò dal momento che l’evento interruttivo (decesso del difensore) sarebbe avvenuto in data 7 gennaio 2001, dunque ben oltre – nella prospettiva suddetta – il semestre anteriore alla avvenuta notifica.

In data 17 gennaio 2008 si costituivano poi in giudizio, quali odierni ricorrenti, gli eredi del defunto L.D..

7. Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2010 la causa veniva infine trattenuta in decisione.

08. Tutto ciò premesso, si affrontano preliminarmente le eccezioni di rito sollevate nel complesso dalla amministrazione comunale intimata.

8. Va innanzitutto rigettata l’eccezione riguardante la tardività dell’atto di riassunzione, avvenuto secondo la difesa comunale ben oltre il termine di sei mesi dal verificarsi dell’evento interruttivo.

Al riguardo osserva il collegio che, quanto alla decorrenza del relativo termine, secondo la tesi fatta propria dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sull’art. 24 della Legge TAR ratione temporis applicabile (cfr. dec. 11 ottobre 1983, n. 24) qualora non si sia avuta – come nel caso di specie – dichiarazione, notificazione o certificazione dell’evento interruttivo, il termine di sei mesi decorre da quando la parte ne abbia avuto, ad ogni modo, effettiva conoscenza.

Ebbene, nel caso di specie la difesa dell’amministrazione comunale, in quanto parte del processo che ha sollevato l’eccezione in esame, non ha fornito adeguata dimostrazione circa il fatto che il ricorrente originario avesse avuto in concreto conoscenza dell’evento interruttivo (morte del proprio difensore) prima della sentenza depositata in data 19 marzo 2004 (momento di conoscenza legale dell’evento stesso e rispetto al quale l’atto di riassunzione è stato invece tempestivamente proposto). Motivo questo che induce il collegio a rigettare la specifica eccezione.

9. Quanto invece alla tardività del ricorso originario osserva il collegio che, secondo la giurisprudenza, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del permesso di costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito che, come nella specie, non rispetta ad esempio i limiti volumetrici consentiti dalla strumentazione urbanistica: in questo secondo caso, il mero inizio dei lavori non è sufficiente – da solo – a far decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso "non contiene informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente percepire l’effetto concretamente lesivo per i terzi interessati" (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 25 gennaio 2010, n. 192).

In altre parole, "la piena conoscenza idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione di un permesso di costruire, in difetto della prova della reale conoscenza dei caratteri del progetto assentito, può ritenersi raggiunta solo con il completamento delle opere perché solo in tale momento è possibile avere una reale e non presunta consapevolezza dell’entità delle trasformazioni edilizie consentite e del loro reale impatto sul tessuto urbanistico edilizio (e, quel che più importa, sui propri interessi)" (cfr. T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 15 luglio 2009, n. 700). A nulla rilevando, nella direzione sopra indicata, il mero riferimento temporale all’inizio dei lavori, parametro questo che non permette di valutare l’eventuale lesività degli atti autorizzatori delle opere (cfr., sul punto, T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 11 agosto 2008, n. 1931).

Per le ragioni sopra esposte anche la seconda eccezione deve dunque essere respinta.

10. Nel merito il ricorso è infondato.

10.1. Si rileva in via preliminare che, nella prospettiva del Comune, in assenza dei volumi realizzati e destinati a sanatoria in quanto frutto di abusi edilizi, sussisterebbe una volumetria residuale (pari a mc 607) sufficiente ad ospitare l’intervento da ultimo assentito con la concessione qui impugnata (pari a mc 599).

Su tale specifica circostanza (sufficienza della volumetria in caso di scomputo degli illeciti edilizi) il ricorrente non ha mosso contestazione alcuna, di modo che possa ritenersi dimostrato il concreto assetto urbanistico raffigurato dal Comune.

10.2. Ciò premesso, occorre stabilire se la scelta dell’amministrazione (di non considerare quanto realizzato mediante abusi nel calcolo della complessiva volumetria) possa ritenersi o meno condivisibile.

Al riguardo va innanzitutto osservato che, alla data del rilascio della concessione edilizia qui impugnata, la domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente D. (e relativa all’immobile le cui dimensioni avrebbero poi influito sul complessivo dato volumetrico) non era stata ancora definita, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985, né è stata fornita in tale direzione adeguata dimostrazione circa la possibile formazione del silenzioassenso di cui al comma diciassettesimo della richiamata disposizione.

Pertanto, considerato che in caso di mancata conclusione del procedimento di condono (mediante determinazione sindacale oppure mediante silenzioassenso) "il richiedente il titolo in sanatoria non acquisisce nessuna situazione soggettiva intangibile, ancorché abbia versato l’oblazione" (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 1998, n. 207), ne consegue che la presentazione della sola istanza (di condono) era di per sé inidonea ad incidere sui parametri edilizi vigenti al momento del rilascio della concessione edilizia impugnata, e ciò anche in considerazione degli effetti non retroattivi della predetta sanatoria.

In questa prospettiva deve dunque ritenersi che l’amministrazione comunale abbia correttamente operato, nel senso di non considerare gli immobili abusivamente realizzati (e non ancora effettivamente assentiti sul piano del condono edilizio) ai fini del calcolo della residuale parte di volumetria disponibile.

Tale conclusione è determinata dal fatto che il titolo edilizio contestato è stato rilasciato quando l’abuso non era stato ancora condonato e non può,di conseguenza,dar vita ad un principio di carattere generale in ordine al computo o meno dei volumi condonati ai fini della quantificazione dei volumi realizzabili in base all’indice di fabbricabilità fondiaria.

Sotto un’angolazione più ampia si deve poi osservare che il condono sana l’abuso non in base ai parametri edilizi (come invece avviene per l’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del testo unico edilizia), ma per motivi differenti, fra i quali il recupero e il riordino dell’esistente ai fini urbanistici, l’esazione dell’oblazione, l’assoggettamento alle imposte dirette, etc..

Il beneficio del condono è circoscritto all’immunità dalle sanzioni penali ed amministrative, senza che sortiscano ulteriori effetti giuridici, non espressamente previsti dalla norma clemenziale.

In quanto il condono costituisce una misura extra ordinem, i volumi antecedentemente condonati non concorrono alla determinazione della volumetria complessivamente insediabile. Infatti, ragionando a contrario e computando nel volume insediabile in applicazione degli indici di edificabilità anche i volumi condonati, si riconducono quest’ultimi nell’ambito della edificazione legittima, mentre si tratta di edificazione abusiva, condonata a seguito del pagamento dell’oblazione. Questi volumi giustificano la loro esistenza solo con il condono e, grazie a questo, sfuggono all’applicazione degli indici di fabbricabilità della zona. L’inclusione nel computo dei volumi realizzabili in base agli indici di fabbricabilità, inoltre, determinerebbe l’inutilità dell’oblazione versata (in tal senso, Tar Lecce, n.2606/2010).

Il Collegio è consapevole dell’esistenza di un contrario orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato,Sez. V, n.1479/1997; Tar Liguria, n.1769/2008); non rinviene tuttavia argomenti che possano invalidare quanto sopra affermato dato che le due situazioni (l’una solo sottratta alle sanzioni amministrative e penali,ma non legittimata,l’altra legittima) si collocano su piani diversi e non possono di conseguenza interagire.

Sul piano degli effetti, si pensi poi alla edificazione legittima con esaurimento degli indici volumetrici ed alla successiva realizzazione di un abuso poi condonato: questo assetto non differisce da quello che la soluzione data comporta, articolato nella edificazione legittima senza l’esaurimento degli indici, in un successivo abuso e poi in una ulteriore edificazione con esaurimento degli indici (senza il computo di quanto edificato abusivamente).

Ad avviso del Collegio va fatta solo una precisazione.

Se viene compiuto un abuso e lo stesso è condonato e successivamente una nuova strumentazione urbanistica prevede indici di edificabilità maggiori, chi intenda edificare nel rispetto dei nuovi indici non può non computare nell’edificazione quanto abusivamente costruito.

Questo, perché il nuovo strumento urbanistico muove dalla ricognizione dell’esistente, ricognizione che investe sia l’edificazione legittima sia quella condonata.

Il nuovo strumento,sulla base della ricognizione dell’esistente e delle previsioni relative alla popolazione prevista ed al fabbisogno abitativo,dato dalla differenza fra quanto esistente e quanto ritenuto necessario,quantifica i volumi edificabili,cioè i volumi da edificare in aggiunta a quelli esistenti (quale che sia il titolo del quale sono dotati). L’esaurimento della volumetria realizzabile non può,di conseguenza, prescindere dal computo dell’esistente, sia stato esso legittimamente edificato o condonato.

10.3. Deriva da quanto detto che ben ha operato l’amministrazione comunale, nel senso di non tenere conto, ai fini del calcolo della volumetria disponibile, delle opere abusivamente realizzate.

11. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Data la peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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