Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-02-2011) 15-02-2011, n. 5760

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 6 ottobre 2010, la Corte di appello di Milano ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l’estradizione del cittadino russo A.O., richiesta dal Governo degli Stati Uniti d’America per il suo perseguimento penale per il reato di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di frode bancaria, postale ed informatica e per i reati di frode bancaria e informatica.

La domanda estradizionale è fondata sul mandato di arresto emesso nei confronti di A.O. il 21 dicembre 2006 dal giudice del Tribunale distrettuale di New York ed ha ad oggetto i reati indicati nell’indictment (che nell’ordinamento statunitense è l’atto con cui viene formalmente elevata un’imputazione a carico dell’indagato e che segna l’inizio dell’azione penale) del Gran Giurì dello stesso Tribunale.

Nell’indictment del 21 dicembre 2006, così come aggiornato dalla medesima autorità giudiziaria il 3 luglio ed il 9 ottobre 2007 (superseding indictments), A.O. è accusato di aver fatto parte fino al (OMISSIS) di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere frodi bancarie, postali e informatiche (count n. 1: Titolo 18, sezione 1349 del Codice degli Stati Uniti);

nonchè della commissione della frode bancaria ai danni della Washington Mutual Bank in relazione a prestiti per un totale di 862.000 dollari, commessa nel (OMISSIS) (count n. 6: Titolo 18, sezione 1344 e 2 dello stesso codice); della frode bancaria contro la Bank United in relazione a prestiti per un totale di circa 900.000 dollari, commessa il (OMISSIS) (count n. 14: Titolo 18, sezione 1344 e 2 dello stesso codice); della frode informatica ai danni della No Red Tape Mortgage in relazione a prestiti di circa 1,3 milioni di dollari, commessa il (OMISSIS) (count n. 19: Titolo 18, sezione 1343 e 2 dello stesso codice); della frode bancaria ai danni della National City Corporation in relazione a prestiti per circa 250.000 dollari, commessa il (OMISSIS) (count n. 25: Titolo 18, sezione 1344 e 2 dello stesso codice); e della frode informatica ai danni della First Magnus Financial Corporation in relazione a prestiti per circa 165.000 dollari, commessa il (OMISSIS) (count n. 32: Titolo 18, sezione 1343 e 2 dello stesso codice).

Dall’indictment risulta che A. avrebbe fatto parte di una ramificata associazione criminale, composta da almeno 26 persone, in prevalenza dipendenti di società di broking di mutui, dedita a frodare vari istituti bancari, ottenendo, attraverso prestanomi o avvalendosi di false identità, la concessione di mutui sulla casa o prestiti garantiti da immobili, dietro la presentazione di falsa documentazione ed utilizzando per perpetrare tali frodi anche i mezzi telematici ed il servizio postale.

In particolare, gli associati, grazie all’opera di intermediazione svolta dai broker, presentavano alle banche, utilizzando false identità o tramite prestanomi, che godessero di un determinato rating creditizio e la cui affidabilità creditizia veniva rappresentata attraverso la falsificazione di dati personali e finanziari (domicilio, attività lavorativa, reddito, risparmi bancari, situazione debitoria, ecc.), domande per l’accensione di mutui immobiliari (nella misura del 100 % del valore stimato), contenenti false attestazioni circa la destinazione e il valore effettivo degli immobili (in tal caso giustificato da false perizie estimative). Gli associati, dopo aver ottenuto il mutuo dalle banche, si rendevano inadempienti al pagamento delle rate, lucrando così, oltre che sulle commissioni ricevute per l’attività di brokerage (tra il 2 ed il 4 % del valore del prestito), sulla differenza tra il valore effettivo e quello artificiosamente "gonfiato" dell’immobile posto a garanzia del prestito, con pari danno delle banche erogatrici.

In tale organizzazione criminale, l’ A. si sarebbe occupato tra l’altro di identificare gli immobili ed i prestanomi da utilizzare per le operazioni fraudolente e di falsificare la documentazione da allegare alle domande di prestito. Il medesimo avrebbe inoltre partecipato a cinque operazioni fraudolente di prestito, nelle quali sono stati anche utilizzati per realizzare il reato mezzi informatici di comunicazione.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario dell’estradando, deducendo le seguenti violazioni di legge:

– l’inapplicabilità del Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Stati Uniti d’America del 13 ottobre 1983, come modificato dall’Accordo del 3 maggio 2006, poichè non ratificato dalla Russia.

– la tardiva presentazione della domanda estradizionale, ai sensi dell’art. 715 c.p.p., comma 6, considerata anche la presentazione della domanda estradizionale all’Ambasciata italiana a Washington, anzichè al Ministero degli Affari esteri o al Ministero della Giustizia in Roma.

– la mancanza di una decisione collegiale sul provvedimento cautelare.

– il difetto del requisito della cosiddetta "doppia incriminabilità".

– la mancanza dei presupposti edittali per l’emissione della misura cautelare per i fatti indicati nella domanda estradizionale.

– il difetto della traduzione in lingua russa degli atti processuali.

– la mancata applicazione dell’indulto.

Con memoria depositata il 28 gennaio 2011, i difensori dell’ A. hanno illustrato alcuni dei suddetti motivi. In particolare, in relazione alla dedotta carenza del requisito della doppia incriminabilità, hanno evidenziato che il reato associativo di conspiracy non presenterebbe alcun carattere comune con il reato di associazione per delinquere previsto dal codice penale italiano, mentre gli episodi di frode contestati all’ A. non avrebbero alcuna rilevanza penale, non potendo essere ricondotti nell’ipotesi di truffa di cui all’art. 640 c.p.. In particolare, viene rilevato che non possono considerarsi artifici e raggiri nè le perizie di stima, considerata l’opinabilità del giudizio circa il valore di un immobile, nè le dichiarazioni presentate dagli apparenti destinatari dei prestiti circa la destinazione degli immobili alla loro residenza, aventi al più valenza nel nostro ordinamento a fini tributari.

Inoltre, la difesa ha lamentato la mancata traduzione dei provvedimenti cautelari emessi dalle autorità statunitensi e da quelle italiane, posto che all’udienza, ex art. 717 c.p.p., l’interprete si sarebbe limitato ad una scarna traduzione del solo capo di imputazione, del tutto generico, riportato nel provvedimento di convalida dell’arresto provvisorio. La mancata traduzione dei suddetti atti avrebbe impedito all’ A. di difendersi nella procedura estradizionale e lo avrebbe privato della possibilità di impugnare il provvedimento impositivo della misura cautelare.

La difesa, nella memoria, ha infine articolato un ulteriore motivo di ricorso, deducendo l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione con riguardo al giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La Corte di appello non avrebbe verificato la fondatezza dell’accusa, essendosi limitata ad un esame formale dei documenti posti a sostegno della domanda estradizionale.

Inoltre, la documentazione trasmessa dalle autorità statunitensi presenterebbe in modo poco chiaro ed evanescente il contributo causale dell’estradando alla commissione degli ipotizzati reati ed il quadro indiziario risulterebbe fondato su testimonianze di persone la cui identità è stata omessa per garanzie di riservatezza, in violazione del diritto al fair trial, così come garantito dalla Carta fondamentale e dalla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo.

All’udienza del 4 febbraio 2011, la difesa ha depositato un documento proveniente dalle autorità russe, con il quale si chiede alle autorità italiane di tutelare i diritti della difesa e della libertà personale dell’estradando, con riferimento a violazioni che sono state loro rappresentate, quali la perenzione dell’arresto provvisorio e la mancata traduzione di atti processuali.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va rigettato in ogni sua articolazione.

2. Del tutto infondato, ai limiti dell’inammissibilità, è il primo motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 696 c.p.p..

Tale norma stabilisce che le estradizioni sono disciplinate dalle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato italiano e che, solo ove tali norme manchino o non dispongano diversamente, si applicano le norme del codice di rito.

Nel caso in esame, l’estradizione è regolata dal Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Stati Uniti d’America del 13 ottobre 1983, vigente tra le Parti dal 24 settembre 1984, così come modificato dall’Accordo sull’estradizione tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America del 25 giugno 2003, vigente anche per l’Italia dal primo febbraio 2010 (G.U.U.E. del 10 dicembre 2009, serie L, n. 323) e recepito tra le Parti con l’Accordo bilaterale del 3 maggio 2006 (L. 16 marzo 2009, n. 25).

La circostanza che lo Stato di cittadinanza dell’estradando non sia parte alle suddette convenzioni non ha alcun rilievo, in quanto non previsto dai suddetti strumenti pattizi (in tal senso, Sez. 6, n. 297 del 29/01/1999, dep. 29/03/1999, Sardinas, Rv. 214135). A ciò deve aggiungersi che l’estradizione è un rapporto di diritto internazionale che si instaura tipicamente tra lo Stato che richiede la consegna e lo Stato sul cui territorio il soggetto ricercato è localizzato, nel quale non ha alcuna ingerenza l’eventuale Stato terzo del quale quest’ultimo sia cittadino.

3. Dal rigetto del suddetto motivo, tendente a rendere applicabili al caso in esame le norme codicistiche, discende la infondatezza delle altre doglianze che deducono specifiche violazioni della disciplina dettata dal codice di rito, inapplicabile nella specie per il principio della prevalenza delle norme internazionali.

Va in ogni caso rilevato, con riferimento alla più volte prospettata tardiva presentazione della domanda estradizionale da parte delle autorità statunitensi rispetto al termine previsto per la perenzione dell’arresto provvisorio, che un’eventuale ritardo (nella specie neppure ricorrente) non produce alcun effetto sulla decisione dell’autorità giudiziaria italiana sull’esistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda stessa, in quanto l’art. 12, par. 5, del Trattato bilaterale prevede espressamente che la cessazione dell’arresto provvisorio per il tardivo arrivo della documentazione estradizionale "non pregiudicherà..l’estradizione della persona richiesta se la domanda di estradizione e la documentazione relativa verranno consegnate in una data successiva".

D’altra parte, il ricorso alle misure coercitive nei confronti dell’estradando rappresenta anche nel nostro ordinamento interno un’eventualità (giustificata da specifiche esigenze cautelari) nella procedura estradizionale e non certo il suo presupposto.

Sulla base di quanto ora osservato, deve essere rigettata la connessa doglianza, con la quale si intende denunciare l’irregolarità del deposito della domanda estradizionale e conseguentemente la tardività della sua presentazione. In ogni caso, vai la pena di osservare, a dimostrazione della completa infondatezza dell’assunto, che la domanda estradizionale di A. è stata presentata dal Governo degli Stati Uniti d’America tempestivamente, ovvero entro 45 giorni dal suo arresto, come prevede l’art. 12, par. 4, del Trattato bilaterale, e "per via diplomatica", essendo stata depositata, come ora espressamente prevede l’art. 10, par. 8 dello stesso Trattato, presso l’Ambasciata italiana a Washington. 4, Nessun pregio hanno le censure riguardanti pretese violazioni afferenti la misura cautelare applicata all’estradando.

Il provvedimento impugnato infatti non si è pronunciato sullo status detentionis dell’ A. e le dedotte doglianze devono essere fatte valere con l’impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari, come previsto dall’art. 719 c.p.p..

Al riguardo deve rilevarsi che questa Corte, con sentenza n. 42706 del 21 ottobre 2010, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’ A. avverso l’ordinanza con cui la Corte di appello di Milano aveva rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare detentiva, fondata sulle stesse censure oggi riproposte dal ricorrente.

5. Con riferimento alla doglianza relativa alla omessa traduzione degli atti della procedura estradizionale, deve osservarsi che risulta che l’ A. è stato assistito nell’udienza camerale, ex art. 704 c.p.p., da un interprete di lingua russa. Pertanto, l’estradando è stato posto nella condizione di esercitare pienamente i diritti di difesa e non risultano avanzate in quella sede richieste per la specifica traduzione di atti processuali.

Come ha ripetutamente affermato la Corte Europea dei diritti dell’uomo, l’art. 6, par. 3, CEDU richiede che la persona, che non comprenda o non si esprima nella lingua usata nel processo, sia assistita da un interprete, ma non che sia effettuata la traduzione scritta di ogni documento della procedura (tra le tante, Corte EDU, 24/02/2005, Husain c. Italia; 11/01/2011, Hacioglu c. Romania).

Quanto in particolare alla dedotta mancata traduzione della sentenza favorevole all’estradizione della Corte di appello, deve ribadirsi che non sussiste alcun obbligo di traduzione della motivazione della sentenza di estradizione nella lingua nazionale dell’estradando che non conosca la lingua italiana. La circostanza che, al fine dell’esercizio della facoltà di impugnazione, l’interessato debba avvalersi di un interprete per la traduzione della sentenza (anche senza oneri personali, quando sussistano i presupposti del patrocinio a spese dello Stato) può soltanto comportare l’eventuale differimento del relativo termine per l’impugnazione (Sez. 6, n. 38639 del 30/09/2009, dep. 05/10/2009, Pantovic, Rv. 245314).

6. Non può essere accolta neppure la censura riguardante la ritenuta non ostatività all’estradizione dell’indulto.

L’indulto concesso nello Stato richiesto non costituisce motivo di rifiuto della consegna estradizionale previsto dal Trattato bilaterale. L’unica causa di estinzione della pena che rileva ai fini del Trattato bilaterale è la "prescrizione per decorso del tempo" (art. Vili).

7. Quanto al requisito della cosiddetta "doppia incriminabilità", va rilevato che la Corte di appello, se pur con motivazione sintetica, ha dato atto del controllo effettuato sul punto.

In ogni caso la questione risulta essere anche nel merito infondata.

Con riferimento alla fattispecie penale della conspiracy (consistente nell’accordo tra due o più persone per la commissione di un fatto genericamente illecito oppure di un fatto lecito per il tramite di mezzi illeciti), deve osservarsi che il Trattato bilaterale all’art. 2, par. 2, al fine di dirimere la controversa questione delle condizioni e dei limiti di estradabilità dall’Italia agli Stati Uniti di tale reato e di superare il raffronto diretto con l’associazione per delinquere come prevista dal nostro sistema penale, ha considerato il reato di conspiracy automaticamente estradabile nelle ipotesi in cui l’accordo sia finalizzato alla commissione di un reato per il quale sussistano le condizioni di estradabilità di cui al paragrafo 1 del medesimo articolo. In altri termini, l’estradabilità per il reato di conspiracy si commisura alla sola estradabilità del reato-fine dell’associazione criminosa, attuandosi così indirettamente il rispetto del principio della previsione bilaterale del fatto (Sez. 6, n. 28825 del 17/05/2002, dep. 26/07/2002, Buti, Rv. 222136).

Venendo all’esame dei reati-fine dell’associazione criminale contestata all’ A., deve rilevarsi che i fatti, così come dettagliatamente rappresentati dall’autorità dello Stato richiedente (essendo irrilevante, per costante giurisprudenza, il loro nomen juris) configurano il reato di truffa previsto dall’art. 640 c.p.. I macchinosi stratagemmi attuati dagli associati, grazie in particolare all’opera fuorviante di interposizione svolta dalla gran parte di essi in veste di broker, erano elementi obiettivamente idonei ad indurre in errore le banche sulle scelte che dovevano compiere in ordine all’accensione dei mutui. All’evidenza, pertanto, siamo di fronte a quel quid pluris, rispetto alla semplice promessa di adempimento non onorata, che colloca la fattispecie, altrimenti solo a rilievo civilistico, nell’ambito penale (per una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurare la truffa contrattuale anche il solo silenzio dolosamente serbato dal cliente su una circostanza determinante per le decisioni o "scelte imprenditoriali" dell’istituto bancario creditore, si veda Sez. 2, n. 35185 del 04/10/2006, dep. 19/10/2006, Dazzi, Rv. 235141).

8. Quanto, infine, alle censure relative al presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, peraltro avanzate solo con la memoria, deve osservarsi che l’art. 10, par. 3, lett. b) del Trattato bilaterale di estradizione prevede l’allegazione alla domanda di estradizione, fra gli altri documenti, di una relazione sommaria dei fatti, che fornisca una "base ragionevole" per ritenere che la persona richiesta abbia commesso il reato per il quale viene domandata l’estradizione.

Questa disposizione, a differenza di quanto accade per il regime previsto dall’art. 705 c.p.p., comma 1, non prevede che lo Stato richiesto valuti autonomamente la base indiziaria (non è prevista infatti la trasmissione del materiale probatorio), ma soltanto che accerti che nella relazione sommaria risultino evocate le ragioni per le quali appare probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato oggetto dell’estradizione.

Sul punto la Corte di appello si è pronunciata, seppure succintamente, ritenendo che dalla documentazione allegata emerga il ruolo significativo svolto dall’estradando nella vicenda criminosa descritta.

Il requisito richiesto dalla norma pattizia risulta in ogni caso ampiamente soddisfatto dal Governo richiedente con la presentazione dell’Affidavit a firma di W.A., Vice Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud di New York, e dell’Affidavit, allegato al primo, a firma di S.M., Agente Speciale del Federai Bureau of Investigation (FBI) degli Stati Uniti.

Da tali atti emerge che gli elementi probatori a carico dell’estradando sono stati acquisiti attraverso la documentazione ottenuta dalle banche e da altri istituti finanziari, i servizi di intercettazione telefonica (in una conversazione captata in particolare l’ A. e uno dei broker coinvolti nell’associazione discutono in ordine al reperimento di un perito per gonfiare il valore di un appartamento) e varie testimonianze.

In particolare, alcuni di questi testimoni – la cui identità è stata mantenuta segreta in questa fase – hanno dichiarato di essere stati avvicinati dall’ A. per fare da prestanome per l’acquisto di immobili o per la richiesta di prestiti o di aver lavorato nella società di brokeraggio coinvolta nelle intermediazione e di essere al corrente di una serie di operazioni di prestito, effettuate con i mezzi fraudolenti descritti nell’indictment, nelle quali era direttamente coinvolto anche l’ A..

In ordine alle censure difensive sulla legittimità dell’uso di queste testimonianze "anonime", vanno avanzate due considerazioni.

In primo luogo, ai fini del controllo sul requisito della gravità indiziaria, come definito poc’anzi, appare irrilevante che, nella relazione sommaria, sia taciuta l’identità dei testimoni, posto che al giudice italiano non è richiesta (e neppure è consentita) una diretta valutazione delle prove, dovendo il suo compito limitarsi alla verifica della consistenza del quadro probatorio così come rappresentato dallo Stato richiedente.

Sotto altro verso, la segretazione dell’identità dei testimoni in questa fase non costituisce neppure una violazione dei diritti del fair trial, garantiti dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Secondo il consolidato orientamento della Corte di Strasburgo, l’utilizzo delle dichiarazioni di un testimone anonimo a fondamento di una sentenza di condanna non è di per sè incompatibile con il dettato della Convenzione; infatti, per quanto non espressamente menzionati dall’art. 6, i diritti alla vita, alla libertà ed alla sicurezza dei testimoni sono protetti da altre disposizioni della Convenzione, il che impone allo Stato di organizzare il processo penale in modo tale da non mettere ingiustificatamente in pericolo tali beni giuridici; in quest’ottica, i principi del "giusto processo" richiedono che, "in determinate ed opportune circostanze, gli interessi della difesa siano bilanciati con quelli degli individui e delle vittime chiamati a rendere la propria testimonianza". Tuttavia, quando è concesso l’anonimato ai testimoni di accusa, la sentenza di condanna non può essere fondata, in misura esclusiva o determinante, su dichiarazioni rese da testimoni anonimi (Corte e.d.u., sent. 20/11/1989, Kostovski c. Paesi Bassi; sent.

26/03/1996, Doorson c. Paesi Bassi; sent. 14/02/2002, Visser c. Paesi Bassi).

Nei limiti segnatati dal giudice Europeo, l’utilizzazione processuale della testimonianze di persona la cui identità sia celata all’imputato non è neppure vietata nel nostro ordinamento, come dimostra la scelta di recente effettuata dal legislatore di introdurre, con la L. 13 agosto 2010, n. 136, una disciplina eccezionale che prevede il ricorso all’identità fittizia per il personale di polizia giudiziaria e ai suoi collaboratori privati che sono stati impegnati in attività sotto copertura, anche nell’esame dibattimentale, derogando pertanto rispetto alle ordinarie forme di esercizio del diritto al contraddittorio nella formazione della prova.

Nel caso in esame, peraltro non vengono in gioco i limiti indicati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in quanto non siamo in presenza, come la difesa sostiene, di testimonianze anonime da utilizzare contro l’estradando nel processo che verrà celebrato negli Stati Uniti, ma soltanto della possibilità, riconosciuta al Prosecutor dall’ordinamento federale nella fase pre-trial, di non fornire alla difesa le generalità dei potenziali testimoni, della quale l’imputato potrà venire a conoscenza in sede dibattimentale, in ossequio al principio fondamentale della confrontation clause, garantito dal sesto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

9. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti previsti dall’art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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