Cons. Stato Sez. IV, Sent., 11-02-2011, n. 927 Dimmisioni dal lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ega di de Jorio, e l’avv. dello Stato Bruni;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Gli attuali appellanti, tutti ex dipendenti dell’ASST (Azienda di Stato per i servizi telefonici) con ricorso proposto a suo tempo dinanzi al TAR per il Veneto esponevano che- a seguito dell’entrata in vigore della riforma del settore delle telecomunicazioni (di cui alla legge n.56/1992) con la quale erano stati attribuiti all’I.- T. i servizi di telecomunicazione ad uso pubblicoessi avevano rassegnato le dimissioni in quanto indotti in errore dalla circolare telegrafica del 23 settembre 1993 che escludeva ai fini del trattamento di quiescenza i benefici previsti dall’art.50 del DPR 1092/73 (supervalutazione dei periodi di servizi prestati alla commutazione telefonica).

Dopo aver richiamato la nota della Ragioneria dello Stato del 4/12/1995 recepita dal Ministero del Lavoro e dall’INPS che ha ritenuto di includere la maggiorazione predetta nelle posizioni assicurative presso il fondo di previdenza telefonici, gli interessati chiedevano che fosse dichiarata la illegittimità della circolare 23/9/93 per ingiustizia manifesta ed erroneità dei presupposti, delle dimissioni rassegnate dagli stessi ricorrenti per vizio del consenso, con l’accertamento del diritto al rinnovo dell’opzione a suo tempo dispiegata sulla scorta della circolare de qua nonché del diritto al risarcimento dei danni subiti per il mancato guadagno al momento delle dimissioni.

L’adito TAR con sentenza n.4649/03 rigettava il proposto ricorso, dichiarando infondata la pretesa sia di annullamento che di accertamento ivi fatta valere.

Gli interessati hanno impugnato tale sentenza ritenendola erronea ed ingiusta, con conseguente richiesta di riforma delle statuizioni assunte dal primo giudice.

A sostegno del proposto gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1) mancata considerazione dell’art.1 n.1 della direttiva del Consiglio 14.2.1977,77 /187/CEE circa l’affidamento in ordine al mantenimento dei diritti dei lavoratori nel caso di trasferimento di imprese e stabilimento;

2) motivazione erronea ed insufficiente, atteso che nella sentenza sarebbe mancata la valutazione del’antigiuridicità del comportamento tenuto dal vertice della P.A. rappresentata dal Ministero del Tesoro e della Funzione pubblica;

3) violazione di legge, in quanto a suo tempo i ricorrenti hanno denunciato la volontà viziata e distorta delle rassegnate dimissioni derivante dalla circolare ministeriale che ha erroneamente indotto i dipendenti in epigrafe indicati ad assumere la scelta di andare anzitempo in pensione;

4) obliterazione e violazione dell’art.1 della direttiva del consiglio 14 febbraio 1977,77/187/CEE (art.1);

5) erroneità della sentenza relativamente alla definizione di una parte del petitum.

Con memoria difensiva del 12/2/2010 gli appellanti hanno ulteriormente chiarito i motivi di gravame, richiamando la giurisprudenza della Corte europea sul principio di tutela del legittimo affidamento e precisando come in concreto nei confronti degli atti impugnati in primo grado abbiano rivolte le censure di eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia manifesta ed erroneità dei presupposti.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico- Comunicazioni e il Ministero dell’Economia e delle Finanze che hanno contestato la fondatezza della proposta impugnativa di cui hanno chiesto la reiezione.

Tanto premesso, l’appello si appalesa infondato, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma.

La questione fondamentale posta all’attenzione del Collegio e propedeutica al variegato petitum avanzato in primo grado e qui integralmente riproposto, è quella di verificare la legittimità o meno della condotta tenuta dalle Amministrazioni pubbliche intimata in relazione alle dimissioni dal servizio rassegnate dagli attuali appellanti prima della privatizzazione dell’ASST, loro ex datrice di lavoro, in I..

In sostanza gli interessati assumono di essere stati indotti in errore nella scelta di lasciare anzitempo il lavoro e chiedono che venga riconosciuta la nullità delle dimissioni ed il conseguente diritto degli stessi al rinnovo dell’opzione, con ogni conseguenza d’ordine economico ai fini della pensione e del trattamento di liquidazione e con la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni.

La pretesa fatta valere in giudizio si rivela destituita di giuridico fondamento.

In via preliminare, il Collegio deve rilevare come non sia smentita in causa la circostanza acutamente posta in evidenza dal TAR per cui un gruppo di attuali appellanti (otto) al momento della diramazione del telegramma -circolare in contestazione aveva già dato le dimissioni e lasciato il lavoro, di guisa che per costoro non sussiste minimamente alcun rapporto di presupposizionedipendenza tra circolare ministeriale e dimissioni dall’impiego.

Ciò precisato, nella vicenda all’esame, non vi sono i presupposti per ritenere, come sostenuto dagli appellanti che l’atto di dimissioni sia da considerarsi nullo in ragione dell’errore nel quale sarebbero stati tratti dal telegramma ministeriale che riferiva della non spettanza dei benefici ex art.50 DPR 1092/73 per coloro che transitavano in I., così come non sussiste, a carico dell’Amministrazione pubblica intimata un comportamento nel quale siano ravvisabili profili di illegittimità sussumibili sotto le figure della disparità di trattamento, contraddittorietà, ingiustizia manifesta.

Quanto al primo aspetto della controversia il Collegio ritiene di non doversi discostare da quanto osservato e concluso in analoga controversia da questo Consiglio di Stato -Sez. VI – con la sentenza n.6510 del 22/11/2005, dovendosi qui ribadire come nella fattispecie de qua non è rinvenibile l’ipotesi di errore quale causa di annullamento dell’atto negoziale ex art.1428 c.c, mancando, in concreto il duplice requisito dell’essenzialità e della riconoscibilità dall’altra parte.

Anzi, sempre al riguardo il Collegio ritiene di potere condividere i rilievi esposti nell’impugnata sentenza circa la non applicabilità nella materia del pubblico impiego delle norme privatistiche concernenti l’errore essenziale e la violenza morale come vizi invalidanti il negozio: invero, attesa la specialità del diritto amministrativo e in particolare, la non disponibilità e irretrattabilità delle disposizioni dettate in tema di instaurazione e cessazione del rapporto di impiego pubblico l’Amministrazione non è tenuta a vagliare le valutazioni soggettive poste alla base della scelta di rassegnare le dimissioni, essendo sufficiente prendere atto della espressa volontà di risolvere il rapporto di servizio.

Le considerazioni sin qui svolte sono di per sé decisive ai fini della definizione in senso negativo del petitum sostanziale fatto valere dalla parte interessata, non potendo gli stessi appellanti essere rimessi in corsa per rinnovare l’opzione a suo tempo loro concessa in ordine alla volontà o meno di passare in I. né vantando, in presenza di atti di dimissioni rivelatori di un volontà di diverso contenuto validamente formulati, quale che sia pretesa patrimoniale connessa a tale mancata opzione.

Ad ogni modo, ove si voglia passare a valutare la legittimità della condotta dell’Amministrazione procedente alla stregua dei parametri dell’eccesso di potere sotto i profili pure dedotti, rileva il Collegio che il comportamento tenuto risulta indenne dai vizi denunciati, se è vero che l’orientamento ministeriale di cui al telegramma del 23 settembre 1993, si limitava ad esprimere un avviso interpretativo della normativa che in sé poteva anche essere errato, ma che certo non precludeva affatto agli interessati di optare per il passaggio ad I.:

In particolare, ai fini dell’incidenza sulla scelta poi effettuata dagli interessati qui appellanti di risolvere il rapporto di servizio, la condotta dell’Amministrazione, per come estrinsecatasi non ha un rilievo determinante per i fini fatti valere in giudizio e perciò stesso è insuscettibile di essere apprezzata negativamente alla stregua di profili di illegittimità che si rivelano in configurabili.

Parte appellante poi con il proposto gravame formula delle critiche specifiche nei confronti del dictum di primo grado, lì dove, in particolare, a suo avviso il TAR avrebbe mancato di fornire una sufficiente motivazione in ordine ai motivi fondamentali esposti nell’originario ricorso ed avrebbe inoltre obliterato di tener conto della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977,77/187/CEE.

Le dedotte censure non sono condivisibili.

Il giudice di prime cure ha correttamente focalizzato sia il petitum sia la causa petendi fatti valere dai ricorrenti, avendo cura di smentire, con appropriate, doviziose argomentazioni di fatto e di diritto la fondatezza della tesi dell’illegittimità degli atti e dei comportamenti della P.A. denunciati, in particolare, la non fondatezza della questione – principe oggetto della intera controversia dispiegata sia in primo che secondo grado del giudizio, costituita dalla pretesa invalidità delle presentate dimissioni e tutto ciò, lo si ripete, a mezzo di una corretta oltreché esaustiva motivazione.

Quanto alla censura della obliterazione e violazione dio disposizione della direttiva sopra indicata, la doglianza è inammissibile e comunque infondata, perché solo genericamente formulata e dovendosi, comunque, rilevare come il richiamo a tale normativa sia del tutto inconferente atteso che non vi sono spazi di tutela di affidamento in presenza di una condotta della P:A. del tutto esente da vizi di legittimità.

Occorre infine, precisare, relativamente alla censura dedotta al punto "V" dell’appello, che il difetto di giurisdizione dichiarato dal giudice di primo grado vale unicamente per l’avanzato riconoscimento di un trattamento pensionistico più favorevole e cioè per una parte marginale dell’intero petitum articolato in prime cure e per il quale il Tar ha avuto modi di trattenere la sua giurisdizione definendo le relative questioni e rivendicazioni ivi dedotte.

Conclusivamente l’appello è infondato e va, perciò, respinto.

Sussistono giusti motivi, in ragione, in particolare, della specificità della controversia, per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta..

Spese e competenze del presente grado del giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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