Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-01-2011) 15-02-2011, n. 5601

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. V.V. e M.P. vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 410 cod. pen. per avere commesso atti di vilipendio mediante mutilazione sopra il cadavere di B.S., disarticolandone gli arti con una taglierina e piegandone il bacino sul tronco al fine di inserirlo in un contenitore di misura inferiore rispetto a quello in cui era prima contenuto.

In sostanza, il giudice del merito ha ricostruito la vicenda nei seguenti termini.

Il cadavere di B.S., deceduto nel (OMISSIS), era stato sepolto in una tomba sotterranea appartenente a parenti. L’ (OMISSIS), S.R., comproprietaria della tomba, aveva telefonato a B.N., avvisandola che il proprio marito C.G. era deceduto e che quindi occorreva togliere dalla tomba il cadavere del fratello B.S. per fare posto al nuovo defunto. La B. si recò al cimitero dove, oltre i parenti del C., erano presenti il V., impresario di pompe funebri, R.A., custode del cimitero (giudicato separatamente) ed il M., dipendente comunale. Per fare spazio nella tomba, si prospettò quindi la necessità di trasferire il cadavere del B. dalla bara originaria in una più piccola di zinco, che già era stata portata sul posto dal V.. Aperta la bara, si constatò però che il cadavere del B. era intatto e mummificato. Si decise quindi di procedere al suo spezzettamento mediante taglio delle articolazioni con uno strumento e quindi al suo inserimento nella bara più piccola. L’operazione fu materialmente compiuta dal R. e dal M..

Il giudice del tribunale di Marsala, con sentenza del 12 maggio 2005, assolse il V. per non avere commesso il fatto ed il M. per non aver commesso il fatto e comunque perchè il fatto non costituisce reato.

Osservò il giudice; – che non vi era prova che il V. avesse partecipato alle operazioni materiali di riduzione del cadavere e che avesse diretto le operazioni, potendo quindi ritenersi che egli si fosse limitato a fornire la cassetta di zinco dove trasferire i resti del B.; – che non vi era prova che la B.N. avesse protestato e si fosse opposta allo smembramento del cadavere del fratello, sicchè poteva presumersi che vi avesse acconsentito; – che, vi era la prova che il M., insieme al R., aveva effettivamente smembrato il cadavere, ma era però probabile egli avesse agito con il consenso della B. e quindi nel ragionevole convincimento putativo che non vi fossero opposizioni alla riduzione del cadavere; – che comunque il vilipendio consiste nel fatto cosciente e volontario di chi intende esternare il proprio dispregio su cose o persone, e pertanto nella specie non vi era stato vilipendio in questo senso, dato che la riduzione del cadavere era avvenuta, dopo oltre trent’anni, al fine di fare spazio nella tomba della famiglia S. per ospitarvi il nuovo defunto.

2. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Marsala propone ricorso per Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 285 del 1990, artt. 83 e segg. e dell’art. 110 cod. pen..

Questa Corte con sentenza n. 24138 del 2010 ha annullato la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Marsala, la cui pronuncia di condanna, in sede di rinvio, è poi stata riformata dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza del 10.2.2010, dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione e nello stesso tempo confermativa della degli imputati al risarcimento del danno in favore della parte civile.

3. Avverso questa pronuncia il V. ha proposto ricorso in tre motivi.
Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in tre motivi, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 521 c.p.p., deducendo in particolare la mancata piena corrispondenza tra il fatto contestato e quello per il quale era stata pronunciata la condanna in primo grado ed era rimasta confermata in grado d’appello la pronuncia al risarcimento del danno.

Il ricorrente poi lamenta anche il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza.

2. Il ricorso è infondato.

Deve premettersi che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 28 maggio 2009 – 15 settembre 2009, n. 35490) hanno affermato in proposito che in presenza di una causa di estinzione del reato, qual è la prescrizione, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. Invece il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. E’ però fatto salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili.

3. Nella specie le censure del ricorrente sono infondate.

Da una parte deve considerarsi che il fatto della mutilazione del cadavere risultava chiaramente nel capo si imputazione laddove la sussunzione dello stesso nella fattispecie di cui all’art. 410 c.p., comma 2, attiene alla esatta qualificazione del reato che ben poteva fare la Corte d’appello pur dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione.

Correttamente poi la Corte d’appello ha negato l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato. Va infatti ribadito (Cass., sez. 3^, 21 febbraio 2003 – 11 aprile 2003, n. 17050) che il reato di vilipendio di cadavere è integrato da qualunque manipolazione dei resti umani che risulti obiettivamente idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti, e nel contempo sia vietata da disposizioni regolamentari (come per il caso dell’esumazione parziale di cadavere) o comunque attuata con modalità non necessarie all’espletamento dell’attività lecita cui risulti eventualmente finalizzata.

Per il resto le censure del ricorrente si sostanziano in un mero dissenso in ordine alla valutazione del materiale probatorio da parte dei giudici di merito, dissenso che non può fondare una ammissibile censura nel giudizio di cassazione.

4. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a quelle della parte civile liquidate in Euro 1.500,00 (millecinquecento) oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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