Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
ppellante;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.1. Il Maresciallo ordinario della Guardia di Finanza A.D.R., in servizio presso il Comando Regionale Liguria, ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Liguria il provvedimento di archiviazione dell’11 agosto 2003 adottato dal Comando di appartenenza sull’istanza di trasferimento da lui presentata a" sensi dell’art. 33, comma 5, della L. 5 febbraio 1994 n. 102 nel testo all’epoca vigente, modificato per effetto dell’art.19, comma 1, della L. 8 marzo 2000 n. 53, ed in forza del quale "il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede" (attualmente, per contro, in forza delle ulteriori novelle introdotte per effetto dell’art. 19, comma 1, della L. 8 marzo 2000, n. 53 e dall’art. 24, comma 1, lett. b, della L. 4 novembre 2010 n. 183 "il lavoratore… ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede")
Ad avviso del De Regno, che deduceva al riguardo l’avvenuta violazione della surriportata disposizione legislativa, il requisito di base ivi contemplato – ossia la prestazione assistenziale nella indisponibilità oggettiva e soggettiva di altre persone in grado di sopperire alle esigenze del familiare affetto da handicap- risultava nel suo caso sussistente, nel mentre il provvedimento emesso nei suoi confronti non avrebbe in alcun modo tenuto conto della situazione di fatto integrante il presupposto giuridico richiamato.
1.2. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando Generale della Guardia di Finanza si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
1.3. Con sentenza n. 408 dd. 1 aprile 2005 la Sezione I dell’adito T.A.R. ha accolto il ricorso "per quanto di ragione", evidenziando che secondo il provvedimento impugnato in prime cure difetterebbe nella specie il requisito di fatto dell’assistenza attuale e continuativa del familiare o parente affetto da handicap grave e che, quindi, secondo la tesi ivi svolta dall’Amministrazione ora ricorrente il fine della disciplina legislativa dianzi riferita si identificherebbe nell’assicurare il carattere continuativo della prestazione assistenziale così da "evitare che la persona portatore di handicap si trovi senza assistenza (di cui già fruisce) a causa della sede lavorativa della persona che già se ne occupa".
Secondo il giudice di primo grado "tale conclusione, nella sua assolutezza, non sarebbe condivisibile, posto che – in realtà – nessuna disposizione contenuta nel corpus della L. 104 del 1992 richiederebbe l’attualità e la continuità della prestazione assistenziale già in atto, potendo il carattere attuale e continuativo della prestazione assistenziale essere al massimo desunto in via induttiva laddove si impiega nell’individuazione dei destinatari del beneficio il presente del verbo assistere, ossia "coloro che assistono".
Tale espressione letterale andrebbe peraltro interpretata – sempre secondo il T.A.R. – in via sistematica nella precipua considerazione della natura solidale complessivamente assunta dalla L. 104 medesima, "tenendo conto che il beneficio riguarda il trasferimento presso altra sede di servizio; dandosi cioè per scontato che nella sede di appartenenza non sarebbe comunque possibile assicurare l’assistenza – continuativa – da parte del militare. Rigidamente interpretata la norma infatti porterebbe a ritenere l’endiadi attualità e continuatività come un vero e proprio ossimoro giuridico: la prima condizione postula la coincidenza della sede di servizio del militare con il domicilio del portatore di handicap; ed esclude l’altra, dal momento che proprio per assicurare la prestazione assistenziale continua – supponendo quindi la non coincidenza della sede di servizio – la legge consente il trasferimento. Né in contrario può invocarsi la vicinanza della sede di appartenenza al luogo di prestazione dell’assistenza tale da consentire un sorta di pendolarismo itinerante. Genesi, natura e scopo solidale della normativa sull’assistenza dei familiari o parenti portatori di handicap escludono un simile esito che assumerebbe ad arbitro della normativa un criterio spaziale affatto indefinito, con forti margini di apprezzamento discrezionale da parte di quanti sarebbero di fatto chiamati ad individuare o misurare la vicinitas sufficiente. L’Amministrazione nel respingere l’istanza non ha invece tenuto in nessuna considerazione la situazione in cui versa il ricorrente; né ha verificato la sussistenza degli altri requisiti previsti dalla legge. Analitica verifica che, va sottolineato, non può essere supplita in sede giurisdizionale; bensì, anche in forza di un procedimento svolto in contraddittorio, direttamente eseguita dall’Amminstrazione medesima. Pertanto si impone comunque un rinnovato esame dell’istanza di trasferimento per cui è causa".
2.1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché il Comando Generale della Guardia di Finanza hanno impugnato la sentenza testè ripotata nella sua parte motiva, evidenziando da un lato che, a differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente il fine del beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della L. 104 del 1992 si identifica essenzialmente nella salvaguardia delle situazioni di assistenza già esistenti, e che – comunque – nel caso di specie sarebbero presenti altri familiari in grado di sovvenire alle esigenze della suocera del D.R., portatrice – per l’appunto – di handicap; circostanza, quest’ultima, in alcun modo considerata nella sentenza medesima.
2.2. Si è costituito in giudizio il D.R., replicando puntualmente alle deduzioni avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3. Con ordinanza n. 4123 dd. 30 agosto 2005 la Sezione, "considerato che si trovano in loco altri familiari che possono assistere il soggetto handicappato", ha accolto a" sensi dell’allora vigente art. 33, commi terzo e quarto, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come modificato dalla L. 21 luglio 2000 n. 205, la domanda di sospensione cautelare della sentenza di primo grado, avanzata dalla parte appellante.
3. Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1. Tutto ciò premesso, l’appello va accolto.
4.2. Questa Sezione ha già avuto modo di affermare, anche con recente decisione n. 4115 dd. 25 giugno 2010 a sua volta resa sulla scorta di ormai consolidata giurisprudenza dalla quale non sussiste ragione per discostarsi, che sia con riferimento al testo originario dell’art. 33, comma 5, della L. 104 del 1992 (cfr. Sez. IV, 21 aprile 1997 n. 425) che a quello modificato con la novella introdotta con L. 53 del 2000 (cfr. il parere della Sez. III 26 novembre 2000 n. 1623), la disciplina contenuta nell’art. 33, comma 5, della L. 104 del 1992 nel testo antecedente all’attuale comunque si riferisce solo al lavoratore che già assista con continuità un familiare portatore di handicap, e non anche al dipendente che, non assistendo in atto con continuità un familiare, aspiri al trasferimento proprio al fine di poter instaurare il detto rapporto di assistenza continuativa.
L’esclusione di questa seconda ipotesi è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale la quale, con la sentenza 29 luglio 1996 n. 325, ha precisato che la norma si inserisce in un sistema che prevede anche altre forme di assistenza ai portatori di handicap al di fuori dell’ambito familiare; sicché con il medesimo art. 33, comma 5, il legislatore ha ragionevolmente previsto, quale misura aggiuntiva, la salvaguardia dell’assistenza in atto nell’ambito familiare, senza prevedere anche, nell’esercizio della sua discrezionalità, la possibilità di trasferimenti del lavoratore dipendente finalizzati a instaurare un rapporto di assistenza, nell’ambito familiare, al portatore di handicap (cfr. al riguardo, ex multis, la decisione n. 565 dd. 21 febbraio 2005 resa sempre da questa stessa Sezione).
Né, più in generale, va sottaciuto che la disciplina in esame non configura in realtà un diritto soggettivo di precedenza al trasferimento del familiare lavoratore, bensì un interesse legittimo a scegliere la propria sede di servizio, "ove" – per l’appunto – "possibile" (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Comm. spec., 19 gennaio1998 n. 394), con l’ineludibile conseguenza che la pretesa del lavoratore che effettivamente assiste con continuità un parente portatore di handicap alla scelta della sede di lavoro deve trovare accoglimento solo se risulta compatibile con le specifiche esigenze funzionali dell’Amministrazione di appartenenza: e, in tal senso, non possono non assumere rilievo, con riferimento alle Forze Armate e – in particolare – alla stessa Guardia di Finanza, le situazioni di deficit organico in particolari reparti ovvero le necessità operative che impongono un obbligato utilizzo di personale in possesso di talune specializzazioni; a fronte di tali evenienze organizzative all’Amministrazione può dunque ben chiedersi di tenere in debito conto i bisogni, personali e familiari, dei suoi dipendenti, ma non certo di subordinare ad essi la realizzazione dei propri compiti istituzionali, ai quali invece, nel bilanciamento, deve riconoscersi priorità assoluta, in quanto preordinati a quella cura di interessi pubblici che non tollera soluzione di continuità.
Per quanto, poi, attiene all’assunto dell’Amministrazione appellante secondo il quale – nella specie – sussistono altri parenti, diversi dal D.R., che possono prestare assistenza al portatore di handicap, va ribadito che in tale ipotesi – in alcun modo considerata dalla sentenza impugnata – il diniego opposto alla richiesta del trasferimento è, di per sé, legittimo (cfr. sul punto, ad es., la decisione n. 2422 dd. 18 maggio 2005 resa sempre da questa stessa Sezione).
L’Amministrazione medesima aveva infatti rilevato, nell’istruttoria da essa svolta in esito all’istanza di trasferimento, la presenza di numerosi parenti con residenza in loco, ovvero in località viciniore rispetto alla sede di servizio del medesimo D.R., in ordine ai quali non sono state fornite da parte dell’interessato puntuali giustificazioni sulla sussistenza di impedimenti per la prestazione in sua vece dell’assistenza; e l’allegazione, da parte dello stesso D.R. e soltanto nella presente giudizio di secondo grado, della medio tempore sopravvenuta inabilità di taluni familiari considerati dall’istruttoria predetta non può per certo refluire sulla legittimità della disposta archiviazione, posto che la legittimità del provvedimento amministrativo va essenzialmente riguardata da questo giudice al momento della sua adozione, nel mentre i fatti sopravvenuti non ne giustificano l’annullamento in sede giurisdizionale, ma – sempreché ne sussistano i presupposti – il riesame da parte dell’Amministrazione su istanza del soggetto interessato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 2 aprile 2010, n. 1891).
4.3. Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto accolto.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere peraltro compensate, sussistendo al riguardo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e – per l’effetto – in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
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