Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-02-2011, n. 920 Amministrazione pubblica Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Palmieri e l’avvocato De Gregorio;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR Abruzzo, Sezione di Pescara, ha accolto un ricorso avente ad oggetto un diniego di accesso agli atti di un verbale ispettivo relativo a violazioni giuslavoristiche.

1.1. Il diritto di accesso era stato negato dall’Amministrazione in applicazione dell’art. 2, lett. c), del d.m. 4 novembre 1994, n. 757, che sottrae all’accesso tutti i documenti contenenti notizie acquisite nel corso dell’attività ispettiva in quanto dalla loro divulgazione possano derivare pregiudizi a carico di lavoratori e di terzi.

1.2. La sentenza ritiene invece che – rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori – debbano prevalere le esigenze di difesa del datore di lavoro, tanto più che nella specie non sussisterebbe il pericolo di pregiudizio per i lavoratori, essendo incontestabilmente cessato il rapporto di lavoro.

L’accesso è stato peraltro ordinato dal T.a.r. "con il limite del necessario oscuramento di quelle parti delle dichiarazioni dei dipendenti e collaboratori idonee a identificarli con certezza".

1.3. Avverso la sentenza, notificata in data 30 luglio 2010, l’Amministrazione ha proposto rituale e tempestivo appello notificato il 4 ottobre 2010 e depositato il successivo 11 ottobre 2010.

L’amministrazione lamenta che, secondo il costante orientamento del Consiglio di Stato, in casi come quello di specie l’accesso andrebbe negato, anche se è cessato il rapporto di lavoro.

Inoltre, Le modalità di accesso "con oscuramento" sarebbero inidonee a impedire l’identificazione dei lavoratori, stante le esigue dimensioni nel caso di specie dell’impresa.

1.4. Si è costituito l’appellato, replicando che – per la giurisprudenza del Consiglio di Stato – è consentito l’accesso ai verbali ispettivi se non ne risulti pregiudizio per i lavoratori e con modalità che ne impediscano l’identificazione.

Inoltre, l’appellato ha osservato che l’art. 3 del citato d.m. n. 757 del 1994 vieta l’accesso ai verbali ispettivi solo in costanza del rapporto di lavoro.

2. L’appello va respinto.

2.1. L’art. 2, lett. c), del d.m. n. 757/1994 vieta l’accesso ai documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi.

2.2. La più recente giurisprudenza della Sezione, che considera tale norma valida e non disapplicabile, comunque ha richiamato l’esigenza di evitare possibili pregiudizi per i lavoratori (Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 736; Cons. St., sez. VI, 22 aprile 2008 n. 1842), così superando la precedente giurisprudenza secondo cui le norme regolamentari (che precludono l’accesso alla documentazione contenente le dichiarazioni rese in sede ispettiva da dipendenti delle imprese che richiedono l’accesso – fondate su un particolare aspetto della riservatezza, quello cioè attinente all’esigenza di preservare l’identità degli autori delle dichiarazioni per sottrarli a potenziali azioni discriminatorie, pressioni indebite o ritorsioni da parte del datore di lavoro) recedono a fronte dell’esigenza contrapposta di tutela della difesa dei propri interessi giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa garantita "comunque" dall’art. 24, comma. 7, della legge n. 241/1990 (Cons. St., sez. VI: 29 luglio 2008 n. 3798; 10 aprile 2003 n. 1923; 3 maggio 2002 n. 2366, 26 gennaio 1999 n. 59).

Si afferma infatti che le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione – nei termini di cui all’art. 22, l. n. 241/1990 – con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi – specificamente – quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili"…che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza" (art. 22 cit., co. 1, lett. c).

Il successivo art. 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al comma 6 i casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi – al punto d) – quelli relativi ai "documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono".

In rapporto a tale quadro normativo, si è osservato che se è vero che, in via generale, le necessità difensive – riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione – sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti terzi (Cons. St., ad plen., 4 febbraio 1997 n. 5) ed in tal senso il dettato normativo richiede l’accesso sia garantito "comunque" a chi debba acquisire la conoscenza di determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti (art. 20, co. 7, l. n. 241/1990); la medesima norma tuttavia – come successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 l. n. 45/2001, art. 176, comma 1, d.lgs. n. 196/2003 e art. 16 l. n. 15/2005) – specifica come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia "strettamente indispensabile" la conoscenza di documenti, contenenti "dati sensibili e giudiziari".

Ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione "caso per caso", che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3798/2908 del 29 luglio 2008, che ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni di lavoratori agli ispettori del lavoro, ma "con modalità che escludano l’identificazione degli autori delle medesime"), non può però dirsi sussistente una generalizzata soccombenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione.

Il primo di tali interessi, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.

2.3. Alla luce dell’orientamento della Sezione si deve pertanto affermare che la sottrazione all’accesso degli atti dell’attività ispettiva in materia di lavoro postula che risulti un effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori, sulla base di elementi di fatto concreti, e non per presunzione assoluta. Si può anche ritenere che il pericolo di pregiudizio sia presunto, ma la presunzione va ritenuta relativa e suscettibile di prova contraria da parte del richiedente l’accesso.

2.4. Va poi considerato che il successivo art. 3, co. 1, lett. c), del citato d.m. del 1994 dispone specificamente che la sottrazione all’accesso permane finché perduri il rapporto di lavoro, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale.

Nel caso di specie non è in contestazione che il rapporto di lavoro sia cessato, né è stato altrimenti dimostrato, al di là della generica deduzione, che in concreto il pericolo di pregiudizio per i lavoratori si protrarrebbe oltre la cessazione del rapporto lavorativo.

L’Amministrazione – nel proporre l’appello – ha pertanto agito "contra factum proprium’, invocando, in sostanza e impropriamente, la disapplicazione di una norma regolamentare da essa stessa adottata, e rispetto alla quale è titolare del potere di modifica (sulla base del prescritto procedimento ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, ove non la ritenga adeguata), ma che è tenuta, come Amministrazione attiva, ad osservare, finché in vigore.

2.5. Inoltre le modalità di oscuramento disposte dal T.a.r. garantiscono con sufficienza la non identificabilità dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni durante la visita ispettiva.

2.6. Deve pertanto ritenersi prevalente, nel caso specifico, il diritto di difesa, cui è strumentale la domanda di accesso, rispetto alle esigenze di riservatezza dei terzi, stante il difetto di prova di un pericolo di pregiudizio per i lavoratori.

3. L’appello va per l’effetto respinto, ma le spese del secondo grado del giudizio possono essere compensate in considerazione della non univocità dell’orientamento della giurisprudenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 8409 del 2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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