Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-02-2011, n. 918 Silenzio della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza gravata, il TAR per la Campania ha respinto il ricorso n. 1566 del 2010 proposto dalle società odierne appllanti avverso l’asserito silenzio inadempimento serbato dall’I.A.C.P. della Provincia di Napoli sull’atto di diffida e messa in mora, notificato in data 19 novembre 2009, con il quale le stesse società – in proprio nonché nella qualità di facenti parte del costituendo raggruppamento di imprese – hanno intimato l’I.A.C.P. a concludere la procedura di project financing avviata con l’Avviso indicativo del 31 maggio 2005.

Come puntualmente ricostruito dal giudice territoriale:

– giusta avviso del 31 maggio 2005, le società ricorrenti partecipavano in A.T.I. tra loro ad una procedura di project financing per la riqualificazione ambientale e funzionale dell’area di proprietà dello I.A.C.P. della provincia di Napoli sita nel parco urbano dello Scudillo, venendo dichiarate, a seguito della favorevole valutazione della proposta di intervento, "Promotore dei lavori" (delibera n. 35/609 del 20 dicembre 2005 del c.d.a. dello I.A.C.P.);

– lo I.A.C.P. (con nota prot. 0025632 del 10 ottobre 2006) richiedeva quindi loro di predisporre una proposta per l’approvazione di un piano urbanistico attuativo (P.U.A.) ai sensi dell’art. 27 l.r. n. 16/04, trasmessa dallo IACP al Comune di Napoli l’11 ottobre 2007;

– il Comune di Napoli contestava, tuttavia, la mancanza dei titoli abilitativi degli edifici non completati insistenti sull’area e delle relative volumetrie (sulla cui legittimità, invece, il piano fondava in gran parte il calcolo delle cubature edificabili), respingendo perciò la proposta (nota prot. 395/d dell’8 novembre 2007);

– ne seguiva un complesso ed articolato confronto sulla questione della legittimità o meno delle strutture in questione e della relativa consistenza volumetrica;

– le ricorrenti (con nota raccomandata del 2 febbraio 2009) sollecitavano lo I.A.C.P. ad un chiarimento in merito alla legittimità o meno dei volumi esistenti sul suolo di sua proprietà;

– lo I.A.C.P., quindi, con nota del 4 marzo 2009 n 966, sollecitava il Comune di Napoli "a sciogliere definitivamente la paventata perplessità sulla legittimità delle costruzioni esistenti in Largo Caterina Volpicelli", senza, tuttavia, ricevere una risposta esaustiva;

– ne seguiva una ulteriore corrispondenza tra l’A.T.I., lo I.A.C.P. ed il Comune di Napoli;

– il Comune di Napoli, in particolare, con la nota n. 240/0 del 21 luglio 2009 ribadiva la "non accertata legittimità e consistenza volumetrica" delle strutture;

– il contenuto della nota del Comune sarebbe stato integralmente contestato, infine, dallo I.A.C.P. con nota del 14 settembre 2009 prot. 32697;

– non essendo, in definitiva, chiara alle ricorrenti l’esatta consistenza dell’intervento da realizzare e non essendo, perciò, in grado di poter formulare alcuna ulteriore offerta (nella forma della rielaborazione del P.U.A. già presentato), con atto notificato il 19 novembre 2009 diffidavano lo I.A.C.P. a concludere la procedura mediante una precisa indicazione in ordine alla reale consistenza dell’intervento da realizzarsi, onde conoscere se residuasse la possibilità di utilizzare ed adeguare le strutture esistenti, così come originariamente previsto nell’Avviso di gara;

– la diffida è rimasta inevasa.

In primo grado, quindi, le società odierne appellanti, interessate ad un definitivo chiarimento in merito alla sussistenza o meno della concreta possibilità di concludere la procedura di project financing, hanno agito in giudizio per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dallo I.A.C.P. sulla loro diffida.

Ciò posto, il giudice di prima istanza ha respinto il ricorso, osservando che:

o l’arresto procedimentale è collegato innanzitutto alla presenza sull’area di intervento di edifici non completati e, in particolare, alla questione della legittimità delle relative volumetrie, in quanto il piano proposto dalle ricorrenti fonderebbe in parte significativa il calcolo delle cubature edificabili sul computo di volumi sviluppati sulla base delle strutture esistenti;

o la questione della legittimità di tali manufatti – scheletri in cemento armato che lo I.A.C.P. sostiene rappresentare la realizzazione parziale di un complesso di undici edifici, per un totale di 1333 vani, assentito con licenza edilizia n. 547 del 4 agosto 1960, fatta oggetto di successivo provvedimento di revoca che sarebbe stato poi annullato con sentenza n. 45 del 27 gennaio 1982 – esula, tuttavia, dai limiti del giudizio, di cui il Comune di Napoli non è parte;

o la sussistenza di criticità in ordine ad una possibile eccedenza di volumetria rispetto a quella consentita era nota allo I.A.C.P. (chiamato dall’art. 37 ter della legge 109/94 a valutare la fattibilità delle proposte anche sotto il profilo costruttivo, urbanistico ed ambientale) prima della dichiarazione di pubblico interesse della proposta e delle obiezioni del Comune di Napoli, come si evince dal verbale della commissione di studio interna del 17 ottobre 2005;

o successivamente all’individuazione della proposta come di pubblico interesse, lo I.A.C.P., con la nota n. 25632 del 10 ottobre 2006, rappresentava alle imprese promotrici che per l’area in questione il P.R.G. prevedeva l’elaborazione di un piano urbanistico di iniziativa pubblica o privata e perciò richiedeva loro di predisporre tutti gli atti e documenti necessari per la presentazione al Comune di una proposta per l’approvazione dì un piano urbanistico attuativo ai sensi dell’art. 27 della LR. della Campania n° 16/04;

o il progetto preliminare del P.U.A. era trasmesso allo I.A.C.P. dall’impresa mandataria del raggruppamento in data 25 luglio 2007;

o che l’intervenuta valutazione di pubblico interesse del progetto non precludeva di chiederne la modifica, prima ancora che fosse messo a gara;

o che l’amministrazione comunale aveva ritenuto il progetto preliminare del P.U.A. non conforme al piano regolatore generale – peraltro, non soltanto in relazione alla legittimità ed alla consistenza volumetrica delle strutture insistenti sull’area, ma anche in relazione ad ulteriori e diversi profili (cfr. nota prot. 351/D del 2 ottobre 2008 del Comune di Napoli) – richiedendone al proponente la modifica.

Sulla base delle esposte premesse, il Tribunale amministrativo regionale ha concluso sostenendo che l’arresto procedimentale è da imputarsi proprio al soggetto proponente, che non ha ottemperato alle condizioni necessarie per il prosieguo della procedura.

Il TAR ha anche precisato che l’I.A.C.P., lungi dal serbare una condotta di tipo omissivo, ha rappresentato alle ricorrenti, riscontrandone la diffida del 22 giugno 2009, di avere "interesse alla realizzazione dell’intervento posto alla base dell’Avviso Indicativo di project" soltanto "ove il promotore manifesti la volontà di conformare il preliminare di pua alle prescrizioni del Dipartimento di Pianificazione Urbanistica" (nota prot. n. 28198 del 9 luglio 2009).

Propongono gravame le società ricorrenti, ritenendo l’erroneità della sentenza impugnata di cui chiedono l’annullamento, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

All’udienza del 14 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello va respinto.

Giova considerare che oggetto del giudizio non è certo la legittimità della procedura di project financing avviata dall’I.A.C.P. della Provincia di Napoli con l’Avviso indicativo del 31 maggio 2005, né tanto meno la sussistenza di eventuali responsabilità.

Il Collegio, invero, è solo chiamato a verificare se l’I.A.C.P. della Provincia di Napoli sia o meno incorso in un silenzio inadempimento a seguito dell’atto di diffida e messa in mora, notificato in data 19 novembre 2009, con il quale le società ricorrenti hanno chiesto che fosse conclusa la procedura di project financing avviata con l’Avviso indicativo del 31 maggio 2005.

2. Ciò posto, ritiene la Sezione che non sussista la dedotta violazione dell’obbligo di provvedere da parte dell’Istituto appellato, senza che alcun rilievo possa ascriversi, ai fini della definizione della presente vicenda contenziosa, alle questioni, pure dedotte nell’atto di gravame, in qualche modo involgenti l’accertamento di eventuali responsabilità connesse alla situazione procedimentale determinatasi.

Invero, come emerge dalla puntuale ricostruzione della vicenda procedimentale compiuta dal primo giudice (e sopra sintetizzata nella parte in fatto), nessun inadempimento procedimentale può essere addebitato all’Istituto appellato, che ha viceversa posto in essere, peraltro anche nei giorni che hanno preceduto l’udienza di discussione innanzi al Collegio, atti amministrativi di varia natura, volti da un lato a sollecitare il Comune di Napoli a rivalutare la questione della legittimità e della consistenza volumetrica delle strutture insistenti sull’area, dall’altro a rappresentare alle stesse società ricorrenti la necessità di attivarsi anche per un "ripensamento" del progetto preliminare di P.U.A., apportandovi quelle modifiche in ipotesi necessarie a fronte di una persistente posizione contraria della competente Amministrazione comunale.

In altri termini, dalla documentazione acquisita emerge che l’Istituto ha posto in essere una pluralità di atti riguardanti la vicenda.

L’appellante ha ripetutamente manifestato critiche sulla idoneità dei medesimi atti a risolvere le obiettive difficoltà, sorte in sede amministrativa, per una positiva definizione del procedimento.

Si tratta, tuttavia, di doglianze che – oltre a non aver evidenziato alcuno specifico profilo di illegittimità della azione amministrativa (da valutare sulla base del principio della indefettibilità delle previsioni urbanistiche) – non è consentito introdurre con lo strumento rimediale azionato con il ricorso di primo grado.

3. Alla stregua delle esposte ragioni va dunque respinto il gravame.

Consegue la condanna della società appellante al pagamento delle spese processuali del secondo grado, liquidate in complessive 3.000 euro.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7661 del 2010, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali del secondo grado, liquidate in complessivi 3.000 (tremila) euro, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *