Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-12-2010) 15-02-2011, n. 5599 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza emessa dal Tribunale di Padova il 24 Giugno 2005, il Sig. O.N. è stato condannato in concorso con altra persona alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione in relazione al reato continuato di sequestro di persona e violenza sessuale, applicata per questa seconda ipotesi di reato l’ultima parte dell’art. 609-bis c.p..

I due imputati sono stati ritenuti colpevoli di avere con l’inganno condotto in auto la persona offesa presso la loro abitazione e di avere qui il Sig. N. compiuto anche con violenza atti sessuali che erano cessati grazie alla reazione della donna che lo aveva convinto a consentirle di recarsi presso la di lei dimora dietro la promessa che sarebbe poi tornata con lui per iniziare una sorta di convivenza.

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello ha respinto le impugnazioni presentate dai due imputati. In particolare, quanto alla posizione di N.O., la Corte ha respinto le questioni di nullità della notificazione dell’atto di citazione e degli atti successivi alla tardiva decisione in ordine alla istanza di ammissione al patrocinio pubblico; ha, quindi, respinto i motivi di appello concernenti il merito delle accuse e ritenuto attendibili e riscontrate le dichiarazioni della persona offesa, così da concludere in favore della sussistenza di entrambe le ipotesi di reato.

Propone ricorso personalmente il Sig. O.N..

Con primo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 194 c.p.p. e alla valutazione della credibilità della persona offesa. La motivazione risulta manifestamente illogica nella sottovalutazione del rilievo di quanto contenuto nell’atto di querela e delle difformità che tale versione dei fatti presenta rispetto alle dichiarazioni successive, ma ancora di più lo è allorchè dimentica di valutare complessivamente la testimonianza resa dalla persona offesa e procedere ad esaminare singolarmente le imprecisioni e le contraddizioni, finendo per dare di ciascuna una spiegazione che non reggerebbe alla luce di un corretto vaglio dell’intero portato testimoniale. La Corte, poi, ha fornito una precisa motivazione della "capacità a testimoniare" della vittima, mai messa in discussione dalla difesa, ma non ha affrontato le ricadute che le condizioni psichiche della stessa (da tempo seguita dai servizi psichiatrici territoriali) dovrebbero avere ex art. 194 c.p.p. sulla valutazione del racconto. Infine, la Corte ha errato nel ridurre le censure dell’appellante a un problema di totale inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie, che mai è stata prospettata, evitando così di affrontare la manifesta e documentata esistenza di plurime imprecisioni e falsità contenute nel racconto, che la difesa ritiene sufficienti per far venire meno la certezza ricostruttiva che sola consente di giungere alla condanna dell’imputato.

Con secondo motivo lamenta l’errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine al reato di sequestro di persona. Il ricorrente evidenzia come la sentenza impugnata non offra alcuna risposta alle numerose osservazioni che nell’atto di appello portavano ad escludere la contrarietà della persona offesa rispetto al tragitto in auto e alla permanenza presso i due imputati, così come la consapevolezza in capo a costoro di poter essere accusati della commissione di un reato.

OSSERVA 1. Osserva preliminarmente la Corte che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale del principio, secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

2. Un secondo aspetto che i motivi di ricorso impongono di affrontare in via preliminare riguarda i criteri di valutazione della prova dichiarativa in atti. La ormai costante giurisprudenza di questa Corte afferma che i generali criteri di valutazione della prova fissati dagli artt. 192, 194 e 197 c.p.p. per le dichiarazioni testimoniali debbono trovare applicazione anche per la persona offesa e anche nel caso che questa abbia scelto di tutelare i propri diritti mediante l’esercizio dell’azione civile in sede penale (tra tutte, Quarta Sezione Penale, sentenza 19 ottobre 2006, Montefusco, rv 234830). Nondimeno la stessa giurisprudenza ha ricordato l’esigenza che le dichiarazioni della persona offesa, quando costituiscano l’unica fonte probatoria, necessitano di un esame e di un vaglio critico particolarmente attenti (Sesta Sezione Penale, sentenza 14 Aprile 2008, De Ritis, rv 240524; Terza Sezione Penale, sentenza 27 Marzo 2003, Assenza, rv 225232).

3. Muovendo dai principi sopra esposti la Corte ritiene che le censure mosse alla sentenza impugnata non possano trovare accoglimento. La motivazione della Corte di Appello, infatti, non omette di prendere in considerazione i trascorsi esistenziali e le condotte della persona offesa nè omette di operare un vaglio attento delle dichiarazioni che la stessa ha reso (si rinvia alle pagine 8 e seguenti della motivazione), procedendo ad un puntuale esame dei singoli passaggi critici del racconto e delle dichiarazioni della teste F. e giungendo a concludere che "tutto quanto fin qui rilevato…non è tale da indurre quel giudizio di totale inattendibilità tanto sollecitato dalle difese". Del resto, la lettura dell’ampia motivazione consente di verificare come la Corte territoriale abbia puntualmente evidenziato e affrontato le specifiche censure mosse dagli appellanti.

Va, infine, rilevato che le considerazioni espresse a pag. 10 e 11 della motivazioni circa la capacità a testimoniare della persona offesa non incorrono nei vizi denunciati, posto che il giudizio di piena capacità a testimoniare comporta l’esclusione di patologie o deficit in grado di inficiare la correttezza e genuinità del racconto, col risultato di rinviare la valutazione della prova entro i canoni propri della testimonianza e nei confini sopra delineati.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che la motivazione risulti priva di vizi logici e che debbano pertanto dichiararsi infondate le censure mosse alla ricostruzione dei fatti e all’esistenza delle condotte a sfondo sessuale contestate al ricorrente.

5. Quanto alla sussistenza del reato di sequestro di persona, la Corte rileva che, una volta ritenuto attendibile il racconto della persona offesa, i giudici di merito abbiano motivato in modo nè incoerente nè illogico la sussistenza di una privazione della libertà rilevante ai fini penali, anche in questo caso facendosi carico delle censure proposte in sede di appello e superandole con argomentazioni non meritevoli di censura in sede di legittimità.

Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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