Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-11-2010) 15-02-2011, n. 5598 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.G. era imputato del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. c.p. e 609 bis, ter, quater e septies c.p., per aver costretto N.E., affidata quale allieva di un corso di Karate e minore di anni sei d’età, a subire atti sessuali consistiti nel farsi massaggiare in varie parti del corpo, nonchè nel farsi masturbare dalla stessa al punto di eiaculare e nell’accarezzare la minore stessa nelle parti intime (reati commessi in (OMISSIS) in epoca compresa tra (OMISSIS) con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso).

Si procedeva, a richiesta dell’imputato, a giudizio abbreviato ed il g.u.p. presso il tribunale di Voghera, con sentenza resa in data 27.11.2006, condannava il D. per il reato di cui agli artt. 81, 609 bis, ter, quater e septies c.p. alla pena di anni quattro di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, interdizione perpetua da ogni incarico presso scuole di ogni ordine e grado ed uffici o servizi in istituzioni o in strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori, con condanna al risarcimento dei danni sofferti dalla costituita parte civile (liquidazione rimessa a separato giudizio nella competente sede civile) e con condanna al pagamento in favore della predetta parte di provvisionale, oltre alla refusione delle spese legali.

2. Avverso la sentenza di primo grado il difensore dell’imputato interponeva appello avanti la competente Corte d’Appello di Milano che riteneva necessario sentire la parte offesa e quindi disponeva l’escussione di N.E.; all’esito di tale integrazione probatoria, la Corte, con sentenza del 17.12.2009, rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza emessa dal tribunale di Voghera.

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi.
Motivi della decisione

1. Il ricorso – articolato in quattro motivi con cui si denunciano in particolare la mancata valutazione unitaria della prova, la irritualità dell’assunzione di prova in appello con il rito camerale (assunzione come teste della minore) e l’eccessività del trattamento sanzionatorio – è infondato.

2. Innanzi tutto è infondato il terzo motivo, che logicamente va esaminato per primo perchè attiene all’ambito del compendio probatorio valutato dalla corte d’appello per confermare la pronuncia di primo grado.

La difesa del ricorrente pone una questione processuale sostenendo in diritto che la caratteristica del giudizio abbreviato, quale giudizio a prova "contratta", sia incompatibile con la facoltà, prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 3, per il giudice d’appello di disporre d’ufficio la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale se il giudice la ritiene assolutamente necessaria.

Tale censura va disattesa.

Occorre considerare che già l’art. 441, comma 5, prevede che, in sede di giudizio abbreviato, quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione, fatta salva comunque la disciplina della modifica dell’imputazione posta dall’art. 423 c.p.p..

Il successivo art. 443, comma 4, stabilisce poi che il giudizio di appello si svolge con le forme previste dall’art. 599, il cui comma 3 prevede che nel caso di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma dell’art. 603, con la necessaria partecipazione del pubblico ministero e dei difensori.

Orbene, già prima della riforma che ha introdotto la possibilità di una "integrazione probatoria" nel giudizio abbreviato di primo grado, la Corte cost., con sentenza 16-19 dicembre 1991, n. 470, nel dichiarare non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità dell’art. 247 disp. trans c.p.p., in relazione agli artt. 442 e 443 c.p.p., ed in riferimento all’art. 101 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 1, ha avuto occasione di affermare che, "in particolare, in conseguenza del richiamo operato dall’art. 599, comma 3", "la disciplina posta dall’art. 603 c.p.p. è destinata … a valere anche nell’ambito del giudizio abbreviato", sia "pur sempre entro i limiti in cui la stessa possa risultare compatibile ed adattabile alle caratteristiche proprie di tale giudizio …, ove il giudice dell’appello ritenga assolutamente necessario, ai fini della decisione, assumere di ufficio nuove prove o riassumere prove già acquisite agli atti del giudizio di primo grado".

Pertanto – come già affermato da questa Corte (Cass., Sez. 3^, 29 gennaio 2008 – 12 marzo 2008, n. 11100 – la rinnovazione dell’istruttoria in appello ex art. 603 c.p.p., sia disposta d’ufficio che su istanza di parte) è compatibile con il rito abbreviato, specialmente se "condizionato" ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, (conf. Cass., Sez. 1^, 9 giugno 2004 – 9 settembre 2004, n. 36122).

3. Quanto agli altri motivi (primo e secondo) attinenti soprattutto alla insufficiente considerazione degli elementi di prova favorevoli alla difesa, questi sono, nel loro complesso, inammissibili in quanto esprimono un mero dissenso valutativo.

Quella operata dalla Corte territoriale è una valutazione in fatto, ampiamente motivata nella sentenza impugnata, non censurabile in sede di giudizio di legittimità; mentre la difesa del ricorrente invoca nella sostanza una nuova valutazione di merito che è inammissibile nel giudizio di cassazione non ricorrendo l’ipotesi, eccezionale e residuale, della manifesta illogicità, non senza considerare tra l’altro che la difesa del ricorrente non ha neppure specificamente e testualmente denunciato i punti della motivazione che si porrebbero in insanabile contrasto con altri punti della medesima pronuncia.

Infatti il vizio di motivazione di una sentenza art. 606 c.p.p., lett. e), sussiste solo allorchè essa mostri, nel suo insieme, un’intrinseca contraddittorietà ed un’obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento; ossia presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della e l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione adottata.

Può aggiungersi che, nella specie, non rileva il mancato interrogatorio dell’imputato giacchè il rito abbreviato non è stato condizionato alla richiesta di interrogatorio, Nè questa è stata tempestivamente formulata; cfr. Cass., Sez. 4^, 15 gennaio 2007 – 23 marzo 2007, n. 12245, che ha affermato che nel giudizio abbreviato è ammissibile la richiesta dell’imputato di sottoporsi ad interrogatorio ai sensi dell’art. 421 c.p.p., comma 2, purchè sia avanzata prima dell’inizio della discussione per non alterare le regole del contraddittorio in relazione agli elementi di difesa apportati dall’imputato.

Inoltre va rimarcata l’attenta valutazione che la Corte d’appello ha fatto degli elementi di prova ed in particolare delle dichiarazioni della madre della bambina che ha subito l’abuso contestato all’imputato, dichiarazioni ritenute pienamente attendibili. In particolare la Corte d’appello ha evidenziato la puntuale descrizione che della vicenda ha fatto la bambina alla madre subito dopo l’arrivo a casa ("ho fatto i massaggi a G.", "massaggi al pistolino", ha mimato il movimento della mano, ha fatto riferimento all’uscita di "una cremina bianca", ha detto del toccamento delle parti intime della bambina da parte dell’imputato); descrizione questa che mostra l’abuso subito dalla minore e che ha trovato anche riscontro nella certificazione del pronto soccorso (in particolare, "eritema genitali esterni"), oltre che nei cambiamenti comportamentali della bambina notati dalla madre e dalla maestra T.C..

Motivatamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto del tutto attendibile le dichiarazioni della bambina, come del resto aveva già fatto il primo giudice.

4. Quanto al trattamento sanzionatorio, la censura (quarto motivo) è parimenti inammissibile.

Infatti la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Cass., sez. 6^, 5 dicembre 1991, Lazzari); ne consegue che è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena che la Corte d’appello ha motivatamente valutato tenendo conto delle circostanze attenuanti equivalenti e della gravita dei fatti.

In particolare la Corte d’appello ha osservato che, la pena determinata dal primo giudice era congrua e ben rapportata alla gravita del fatto e che il giudizio di equivalenza già operato dal primo giudice non poteva essere spinto oltre, trattandosi di ripetuti abusi in danno di una minore di anni sei anche se non particolarmente invasivi.

5. Pertanto il ricorso nel suo complesso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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