Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-11-2010) 15-02-2011, n. 5761 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Gli attuali ricorrenti, per quanto qui interessa, con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari del 5 aprile 2004, sono stati ritenuti, in esito a giudizio abbreviato, responsabili tutti, ad accezione del Ma.Lu., del reato di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso; D. R.F. anche del reato di detenzione di una pistola;

Me.Vi. anche di detenzione e porto di una quantità imprecisata di armi; T.F. anche del reato di detenzione delle stesse armi che, secondo l’ipotesi di accusa, aveva affidato al Me.; Ma.Lu. del reato di procurata inosservanza di pena in favore di P.A.V., così derubricata l’originaria imputazione di partecipazione alla stessa associazione per delinquere contestata ai coimputati.

In secondo grado l’affermazione di responsabilità è stata confermata.

Il processo concerne le vicende, successive al (OMISSIS), relative all’attività del sodalizio criminoso di tipo mafioso noto come la "Società", che si dice operante nel foggiano fin dagli inizi degli anni novanta, già oggetto di altri tre procedimenti penali, indicati dalla corte territoriale con i nomi convenzionali (OMISSIS), conclusisi con sentenze passate in giudicato, che avevano accertato non solo resistenza ed operatività dell’associazione illecita, ma anche l’adesione al sodalizio di taluno degli attuali ricorrenti, ed in particolare del M., del Pr., del P. e del T., affermata nel processo "(OMISSIS)".

La penale responsabilità era stata ritenuta sulla base della premessa in fatto della sicura esistenza dell’associazione criminosa, attestata dalle sentenze di cui s’è detto, nonchè di un cospicuo compendio intercettivo valutato come dimostrativo della permanenza ed ulteriore operatività della "Società" e dei rapporti che gli attuali ricorrenti intrattenevano con il sodalizio illecito.

2. Avverso la sentenza di secondo grado (Corte di Appello di Bari del 29 maggio 2009) hanno proposto ricorso D.R.F., M. M., Ma.Lu., Me.Vi., P. A.V., Pr.Sa. e T.F., deducendo l’erroneità o l’inadeguatezza delle motivazioni con cui la corte territoriale aveva disatteso i motivi di appello da loro rispettivamente proposti.

In particolare:

2.a il D.R. deduce:

1) con motivo comune anche al P., l’inutilizzabilità delle captazioni ambientali autorizzate con decreti affetti da vizi motivazionali sia in ordine alla loro necessità che all’uso di impianti esterni alla Procura, eccezioni che la corte territoriale aveva superato osservando che erano state proposte solo con l’appello, quando erano ormai precluse dalla richiesta di rito abbreviato, vertendosi in ipotesi di inutilizzabilità fisiologica;

2) contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza della associazione per delinquere, atteso che la corte territoriale, pur avendo riconosciuto che l’associazione si era ridotta numericamente;

che gli omicidi consumati nel periodo contestato non avevano matrice mafioso; che l’associazione non aveva riti di affiliazione, tuttavia aveva ritenuto sussistente il sodalizio illecito;

3) contraddittorietà della motivazione sulla sua responsabilità in ordine al reato associativo, ritenuta pur in assenza di qualsivoglia intercettazione di conversazioni cui esso ricorrente avesse preso parte, nè le conversazioni tra terzi che erano state utilizzate per identificarlo come partecipe dell’associazione, a suo avviso avevano valenza indiziaria decisiva ed univoca;

4) erroneo diniego dell’esimente della legittima difesa quanto alla detenzione della pistola, cui era stato costretto dopo l’attentato cui era sfuggito.

2.b M.M. deduce la nullità della sentenza impugnata per l’omessa delibazione della memoria difensiva, ritualmente prodotta a migliore illustrazione dei motivi di appello, che la corte territoriale non aveva esaminato sostenendo che ivi si prospettassero censure non contenute nell’atto di appello, circostanza ad avviso del ricorrente smentita proprio da quest’ultimo atto, pur integralmente trascritto nella sentenza impugnata.

Con il suddetto scritto difensivo il ricorrente aveva dettagliatamente e più specificamente contestato il valore probatorio di sei intercettazioni telefoniche e due captazioni ambientali, motivo che era stato già dedotto, ancorchè più stringatamente, nell’atto di appello che aveva investito gli stessi capi e punti della sentenza impugnata, più diffusamente trattati nella memoria successiva.

2.c P.A.V. deduce, come il D.R., l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, questione disattesa dalla corte territoriale, che aveva, a suo avviso erroneamente, ritenuto che nella specie ricorresse un’ipotesi di inutilizzabilità fisiologica, non più eccepibile per la preclusione conseguente alla scelta del rito abbreviato, mentre invece si verteva in ipotesi di inutilizzabilità patologica.

Deduce poi l’inadeguatezza della motivazione con cui la corte territoriale aveva ritenuto l’esistenza dell’associazione per delinquere armata e la sua partecipazione alla stessa, ed infine difetto di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed all’entità della pena irrogata, a suo avviso determinata in misura troppo severa.

2.d Ma.Lu. deduce l’erroneità e contraddittorietà della motivazione relativa all’interpretazione delle intercettazioni telefoniche; l’inadeguatezza della motivazione con cui era stata ritenuta la sussistenza dei presupposti in fatto per la configurazione del reato di cui all’art. 390 c.p.; la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. in relazione alla L. n. 251 del 2005, art. 6, in relazione alle ipotesi di sospensione del procedimento;

infine la prescrizione del reato ritenuto, verificatasi a suo dire nel (OMISSIS).

2.e Me.Vi. deduce la contraddittorietà ed illogicità della motivazione con cui era stato ritenuto responsabile della detenzione di armi e della partecipazione all’associazione per delinquere, nonostante l’ambiguità dei dati probatori, l’esito assolutamente negativo delle numerose perquisizioni effettuate in suo danno, l’incertezza della sua identificazione come la persona indicata nelle intercettazioni come "(OMISSIS)" o " E." o "Zio V.".

Deduce inoltre il mancato riconoscimento, ad onta della sua incensuratezza ed immunità anche da precedenti giudiziari, di attenuanti generiche prevalenti, la cui concessione gli avrebbe consentito di fruire della prescrizione.

Lamenta infine di avere patito trattamento sanzionatorio nettamente deteriore rispetto ai correi, e perciò stesso iniquo.

2.f Pr.Sa. deduce difetto di motivazione in ordine ai punti concernenti l’esistenza dell’associazione di tipo mafioso e la sua asserita identità con quella ritenuta sussistente dalle sentenze passate in giudicato nei procedimenti penali "(OMISSIS)", "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", nonchè la sua partecipazione al sodalizio, questioni tutte proposte con l’appello ed a suo avviso non scrutinate dalla corte territoriale.

Lamenta infine l’irritualità della rinuncia ad alcuni motivi di appello, fatta dal T. a dibattimento ormai inoltrato, che aveva consentito al predetto di fruire di un trattamento sanzionatorio più favorevole, ma aveva impedito agli altri difensori, che avevano già concluso, di adottare analoga scelta processuale, cui avevano diritto, dovendo considerarsi la suddetta rinuncia alla stregua di prova sopravvenuta.

2.g T.F. deduce difetto assoluto di motivazione per l’omesso scrutinio dei motivi di appello con cui era stato eccepito che a suo carico e per gli stessi reati era stata già pronunciata condanna passata in giudicato, ed a suo dire non v’era prova alcuna che l’attività illecita allora valutata si fosse protratta, nè che le armi, il cui porto e detenzione gli era stato contestato, fossero diverse ed ulteriori rispetto a quelle considerate dalla sentenza passata in giudicato.

Deduce inoltre la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, che per un verso da atto del suo leale comportamento processuale e della sua rinuncia a motivi di gravame espressamente riconosciuti come non peregrini, per l’altro nega immotivatamente la concessione delle attenuanti generiche. Infine deduce l’errore in cui a suo giudizio erano incorsi i giudici del merito, irrogando un aumento in continuazione della pena infettagli per il reato, ritenuto più grave, giudicato con la sentenza di questa Corte del 3 ottobre 1999, determinando la frazione di pena in questione da una base aumentata per la recidiva, diminuita poi per il rito. Chiede pertanto l’annullamento senza rinvio con l’eliminazione dell’aumento praticato per la recidiva. Fa comunque propri tutti i motivi di ricorso proposti dai correi, in quanto estensibili.
Motivi della decisione

1.- Vanno innanzitutto esaminate le censure proposte dalla difesa del D.R. e del P. in ordine alla questione dell’utilizzabilità delle captazioni ambientali eseguite a Palermo nella Casa Circondariale "(OMISSIS)".

Entrambi i ricorrenti con l’appello avevano sostenuto che le suddette captazione erano inutilizzabili ai sensi dell’art. 271 c.p.p. per la violazione delle prescrizioni dettate dagli artt. 267 e 268 c.p.p..

La corte territoriale ha ritenuto l’infondatezza del suddetto motivo di gravame, sostenendo che la scelta del rito abbreviato aveva precluso l’eccezione, dovendo qualificarsi le difformità rispetto al modello legale, come eccepite, alla stregua di ipotesi di inutilizzabilità fisiologica.

Deducono i ricorrenti l’erroneità dell’assunto, dovendo ritenersi che nella specie si versasse invece in ipotesi di inutilizzabilità patologica, atteso che la riservatezza delle comunicazioni, la cui tutela è di rango costituzionale, può essere derogata solo nei modi e nelle forme previste dalla legge, in particolare in virtù di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.

Nella specie il decreto del P.M. che aveva autorizzato le captazioni ambientali, ancorchè ritualmente convalidato, era a loro avviso privo di adeguata motivazione sia in relazione alla sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza che all’uso di impianti di intercettazione esterni agli uffici della Procura.

Le censure sono prive di fondamento.

Va innanzitutto notato che nella specie i ricorrenti deducono non l’assenza di motivazione, bensì la sua inadeguatezza, che se sussistente integrerebbe un’ipotesi di inutilizzabilità fisiologica, come ha ritenuto la corte territoriale.

Va premesso allora che, come ha chiarito questa Corte con la sentenza di questa stessa Quinta Sezione n. 26358 del 10.7.2006 Rv. 234526 – Cristaldi -, costituendo l’inutilizzabilità dell’intercettazione un’invalidità processuale, i suoi presupposti di fatto possono essere direttamente accertati dalla Corte di cassazione, che è giudice anche del fatto rispetto alle questioni concernenti la validità degli atti del procedimento.

Deve pertanto questa Corte verificare se il provvedimento autorizzativo di cui s’è detto dia sufficiente contezza delle ragioni che fondavano il giustificato timore di pregiudizio per le indagini, ove le captazioni fossero state ritardate, ed imponevano altresì l’uso di impianti diversi da quelli di cui disponeva la Procura della Repubblica.

Nel caso di specie, come gli stessi ricorrenti riconoscono (pag. 2 del ricorso dell’avv. Pellegrini per D.R.F. e pag. 2 del ricorso dell’avv. Ponzano per P.A.V.), le captazioni erano state autorizzate con decreto del Pubblico Ministero del 24 dicembre 2009, che motivava sia in ordine alla necessità ed urgenza che all’uso di impianti della Polizia Giudiziaria.

Quanto al primo punto, l’urgenza e necessità delle captazioni era costituita dalla ragionevole possibilità di acquisire dai colloqui che si sarebbero svolti in carcere tra il coimputato T. F. ed i suoi congiunti, notizie utili in ordine al duplice omicidio di tali L.B. e Pa., consumato tre giorni prima, a seguito di azione omicidiaria che aveva coinvolto anche il D. R., che era rimasto ferito.

L’aspettativa dell’acquisizione di informazioni utili sul delitto si fondava sulla circostanza che il D.R. era allora fidanzato con una nipote del T. (si apprende dalla sentenza impugnata che la stessa è poi divenuta sua moglie), di modo che era ragionevole ipotizzare che per tal motivo i colloquianti avrebbero parlato anche del tragico evento.

Quanto all’utilizzazione di impianti della P.G., osservava il P.M. che le conversazione da intercettare si sarebbero svolte nel carcere (OMISSIS) di Palermo, ed era perciò necessario l’impiego di apparecchiature vicine.

Le motivazione sono congrue, e ciò stesso rende le captazioni pienamente utilizzabili.

Può allora passarsi all’esame dettagliato dei singoli ricorsi.

2. Fondato è il ricorso del M., atteso che la corte territoriale ha rigettato le censure prospettate nell’atto di appello originario, rifacendosi alla motivazione della sentenza di primo grado, che trascrive sul punto interamente.

Ha omesso poi di delibare la successiva memoria difensiva, depositata tempestivamente ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4, sostenendo che la stessa conterrebbe motivi di appello del tutto nuovi, perciò inammissibili.

Deve allora osservarsi che è certamente esatto che sono inammissibili nuovi motivi di appello, proposti per la prima volta ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4 con una memoria difensiva.

Il principio, frutto di un orientamento costante ed ampiamente consolidato di questa Corte (S.U. n. 4683 del 25 febbraio 1998 Rv.

210259), è stato ribadito dalla Sez. 6 con la sentenza n. 27325 del 20.5.08 Rv. 240357, che anche la corte territoriale cita.

Non è invece puntuale la citazione delle sentenze della Sezione 6 n. 47414 del 30.10.2008 – Rv. 242129, e della Sez. 1 n. 33662 del 9.5.05 Rv 232406, che si riferiscono all’ipotesi affatto diversa di un’impugnazione inammissibile perchè generica, che non può recuperare ammissibilità con il deposito successivo, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4, di motivi nuovi, principio del resto espressamente dettato dall’ultima parte dell’art. 585 c.p.p., comma 4.

Nel caso di specie, premesso che la corte territoriale, sia pure con incertezze ed ambiguità, ha ritenuto l’ammissibilità dell’appello, tanto che procede alla disamina critica dei motivi proposti, va pertanto verificato se la memoria difensiva sia stata depositata a chiarimento ed integrazione dei motivi già prospettati con l’atto di appello originario, come sostiene il ricorrente, ovvero contenga effettivamente temi di censura nuovi e diversi da quelli oggetto dell’atto di gravame principale.

Il rapporto tra atto di appello e memoria difensiva può essere verificato agevolmente con la mera lettura della sentenza impugnata, ove gli atti sono stati integralmente trascritti.

Orbene, nell’atto di appello erano proposti i seguenti motivi di impugnazione:

– erronea valutazione del valore probatorio del giudicato costituito nel processo "(OMISSIS)" in ordine al reato di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, ritenuto nonostante il dato contraddittorio costituito dal giudicato del processo " (OMISSIS)", nel quale il M. era stato assolto dal delitto associativo;

– inadeguatezza probatoria in ordine allo stesso reato di "un paio" di conversazioni telefoniche intercorse tra il M. ed il correo S.F. e dell’amicizia vecchia di quarant’anni tra il ricorrente ed il correo T., perchè dati smentiti dalla disistima dichiarata dai coimputati nei confronti del M., sospettato addirittura di collusione con la polizia giudiziaria;

– in subordine omessa valutazione della grave situazione personale del M., che avrebbe dovuto indurre il primo giudice a concedere le attenuanti generiche e comunque ad irrogare pena meno severa.

Con la memoria difensiva successiva l’appellante specificava più dettagliatamente le intercettazioni il cui valore probatorio intendeva contestare: si trattava di sei intercettazioni telefoniche e due captazioni ambientali, che nella memoria illustrava diffusamente allo scopo di dimostrarne l’irrilevanza in relazione alla ipotesi di accusa.

E’ allora agevole osservare come la memoria non contenesse motivi nuovi, diversi da quelli prospettati con l’atto di appello, atteso che il suo scopo era quello di una migliore illustrazione delle censure mosse alla valutazione degli elementi di prova considerati dal primo giudice, ed in particolare delle intercettazioni telefoniche e captazioni ambientali.

Nè può ritenersi che la disamina dettagliata dei colloqui intercettati, telefonici e non, costituisse motivo nuovo, autonomo e diverso, rispetto al "paio di telefonate" di cui nell’atto di appello si sosteneva l’irrilevanza, trattandosi comunque di censure mosse al valore dimostrativo degli elementi di prova desunti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali.

Del resto la locuzione "un paio" è espressione generica di uso comune, equivalente a "qualche", e si riferisce alle non numerose intercettazioni valutate dalla sentenza di primo grado, indicate prima genericamente, poi dettagliatamente nella memoria difensiva; la corte territoriale aveva pertanto l’obbligo di delibare compiutamente il contenuto di detta memoria, il cui omesso esame comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per il completo scrutinio dei motivi di appello, come integrati dalla memoria di cui s’è detto.

2.a Fondato è anche il ricorso proposto dal Pr.. Con l’appello la difesa del predetto aveva contestato dettagliatamente gli elementi fattuali cui la sentenza di primo grado aveva attribuito valenza dimostrativa e probatoria in ordine all’esistenza e persistente attività nella città di Foggia della stessa associazione per delinquere di tipo mafioso, che le sentenze passate in giudicato pronunciate nei procedimenti (OMISSIS) avevano accertato sussistente fino al 1994, osservando che i fatti accertati dalle tre sentenze di cui s’è detto, non potevano valere a dimostrare che lo stesso sodalizio criminale allora operante fosse ancora attivo nel periodo intercorrente tra il 1998 ed il 2004, e che ad esso aderisse il ricorrente. Quanto al primo punto, osservava l’appellante, le differenze notevoli tra quanto accertato in ordine alla vecchia associazione e le caratteristiche della nuova, che aveva un numero di associati di gran lunga inferiore ed un programma sociale ed una struttura organizzativa diverse, dimostravano come non vi potesse essere continuità tra i due sodalizi, di modo che sarebbe stato necessario dimostrare la costituzione di una nuova e diversa associazione illecita, costituita tra le persone degli attuali ricorrenti. Quanto alla sua partecipazione al sodalizio, aveva contestato la valenza probatoria del tentativo di omicidio di cui era stato vittima, dei suoi rapporti di amicizia con M.M., T.F. e S.F. e delle captazioni ambientali effettuate nella Casa Circondariale (OMISSIS). Alle suddette osservazioni critiche la corte territoriale non ha dato sostanzialmente risposta, limitandosi a riportare (per la seconda volta) ampi tratti della sentenza di primo grado, per concludere genericamente che dalle argomentazioni del primo giudice scaturiva la dimostrazione della responsabilità dell’imputato in ordine al reato associativo.

La sentenza sul punto dovrà pertanto essere annullata con rinvio, per specifico e dettagliato esame dei motivi di appello, che non può consistere nell’incorporazione nella motivazione della parte corrispondente della sentenza di primo grado, dovendo invece il giudice del rinvio dar conto della disamina fatta delle censure mosse dall’appellante, e della loro fondatezza o infondatezza, desunta dalle risultanze processuali e non dal richiamo alle argomentazioni del primo giudice.

Quanto precede assorbe la disamina del motivo di ricorso concernente l’abnormità della rinuncia parziale ai motivi di appello, fatta dal T., da cui il ricorrente sostiene di aver patito pregiudizio sia per la conseguente conferma indiretta della ipotesi di accusa in ordine al reato associativo, che per la indotta disparità del trattamento sanzionatorio.

2.b Fondato è anche il ricorso del D.R. limitatamente al capo della sentenza impugnata che ha disconosciuto la sussistenza dell’esimente della legittima difesa, sia pure a livello putativo, in relazione al delitto di detenzione di una pistola. Con i motivi di appello era stato dedotto come fin dalle indagini preliminari il GIP avesse ritenuto per certo che il ricorrente si era procurato Parma al solo fine di proteggere la propria incolumità personale per l’ipotesi, tutt’altro che remota, dato l’ambiente e le circostanze, di un nuovo attentato in suo danno, subito dopo quello a seguito del quale L. e Pa. avevano perso la vita e lui stesso era rimasto ferito; era stato perciò chiesto, in riforma della sentenza di primo grado, il riconoscimento dell’esimente, almeno a livello putativo.

La sentenza impugnata ha ritenuto l’infondatezza del suddetto motivo, adducendo a sostegno della decisione solo la citazione di una sentenza di questa Corte (Sez. 2 n. 17329 del 29.2.2008 Rv 239770), secondo la quale nè la legittima difesa nè lo stato di necessità varrebbero a giustificare la detenzione abusiva di un’arma.

Rilevato allora che la stessa sentenza impugnata, come del resto quella di primo grado, aveva ritenuto per certo che la pistola costituiva una cautela a garanzia dell’incolumità personale, cautela che l’imputato percepiva come necessaria ed impellente dopo l’attentato al quale era scampato, restando tuttavia ferito, sarebbe stata necessaria più puntuale indagine intesa a verificare in fatto l’intensità ed attualità del pericolo grave paventato dal D. R., sondando nei fatti la possibilità che la detenzione dell’arma potesse ritenersi scriminata dall’esimente.

La motivazione della corte territoriale appare infatti evidentemente inadeguata per la sua apodittica assertività, fondata sul principio dettato dalla sentenza su citata, che ha un solo precedente remoto, risalente al lontano 1984 (Sez. 1 n. 9176 del 10 maggio 1984 Rv 166320) del quale è nota e disponibile solo la massima, e che non pare condivisibile.

Osservare infatti, come fa la sentenza 17329/2008, che la detenzione abusiva di armi non può essere scriminata nè dalla legittima difesa nè dallo stato di necessità sia al livello reale che putativo, perchè la detenzione abusiva di armi costituisce delitto autonomamente connotato dalla volontà del legislatore di impedire la circolazione di tali mezzi di offesa alla persona, è affermazione di assoluta ovvietà, atteso che qualsivoglia condotta sanzionata dall’Ordinamento come illecita ha una sua autonomia concettuale, ed è sanzionata proprio perchè il legislatore intende impedire l’aggressione dei beni giuridici tutelati.

Tale tautologica considerazione infatti non spiega perchè le esimenti suddette possono scriminare un omicidio, che è in assoluto il più grave dei reati, ma non una detenzione abusiva di pistola che prescinda dall’uso dell’arma, e potrebbe essere giustificata dall’incombere di un pericolo grave ed imminente: basti considerare che un’arma può essere usata anche come strumento di deterrenza, di modo che in determinati casi può bastare mostrarla per sortire efficace dissuasione di eventuali aggressori.

Non appare poi decisivo il richiamo all’art. 52 c.p., comma 2, introdotto nell’ordinamento dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1, comma 1, che la sentenza 17329/08 fa a conferma dell’assunto della inapplicabilità delle cause di giustificazione al reato di detenzione abusiva di arma.

La norma detta testualmente "nei casi previsti dall’art. 614, commi 1 e 2, sussiste il rapporto di proporzione di cui al comma 1 del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità, b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione".

Pare allora chiaro che la norma ha il solo scopo di stabilire una presunzione assoluta di proporzionalità tra offesa e difesa nel caso in cui un’arma fosse utilizzata per fronteggiare una intrusione invito domino di estranei nel proprio domicilio o dimora, affrancando il titolare del legittimo jus excludendi dall’onere di provare l’adeguatezza della reazione all’aggressione patita, mentre ove in ipotesi fosse utilizzata arma detenuta abusivamente, la proporzionalità dovrà essere oggetto di attenta valutazione in concreto, e chi intendesse addurre a giustificazione del reato eventualmente commesso la legittima difesa, dovrà dimostrare la proporzionalità all’offesa dell’azione di contrasto attuata per fronteggiarla.

Del resto ritenere che il D.R., per avvalersi dell’esimente, avrebbe dovuto conseguire l’autorizzazione prevista dalla legge per la detenzione della pistola, cosa per lui impossibile, varrebbe a sostenere che hanno diritto a cautelare la propria incolumità personale con un’arma solo gli incensurati e le persone dabbene, mentre tale possibilità verrebbe preclusa a chi si trovasse in condizioni di marginalità sociale, anche quando si trattasse di mera detenzione, come nel caso di specie, nonostante nell’ambiente al margine della legalità in cui il ricorrente viveva l’omicidio con armi da fuoco costituisse regola sociale di costante applicazione.

Nel caso di specie andava dunque verificato innanzitutto se effettivamente fosse sussistente ed attuale il pericolo grave ed imminente di danno grave alla persona, e di poi se, attese le circostanze ed il contesto, la detenzione dell’arma potesse ritenersi in qualche modo giustificata.

La sentenza impugnata dovrà essere perciò annullata sul punto, con rinvio ad altra sezione della stessa corte territoriale, cui si demanda il compito di verificare la sussistenza in concreto dei presupposti della legittima difesa, reale o putativa, o dello stato di necessità, dando conto delle ragioni che consentano o meno il riconoscimento di talune delle suddette scriminanti. Il ricorso va rigettato nel resto, attesa l’ampia motivazione con cui sono stati illustrati gli elementi fattuali dimostrativi della partecipazione del D.R. all’associazione per delinquere di tipo mafioso, elementi tratti dalle captazioni interamente trascritte in sentenza.

Non può infatti sostenersi, come si fa nei motivi di ricorso, che il " F." di cui si parlava nelle conversazioni captate non poteva essere l’attuale ricorrente perchè il suo stretto rapporto di parentela con i coniugi T. – R., avrebbe dovuto indurre i predetti ad indicarlo come nipote (acquisito) o come il marito di R. (nipote del T.), essendo invece evidente che proprio per i suddetti rapporti l’indicazione " F." bastava ampiamente ai colloquianti per identificare senza equivoci il D. R., ed ove un altro F. vi fosse stato, i colloquianti avrebbero avuto cura di chiarire che non si trattava del marito di R.. Ogni diversa interpretazione è congetturale.

2.c E’ fondato il ricorso del T. limitatamente alla determinazione della frazione di pena applicata in aumento, a titolo di continuazione, di quella quantificata in virtù della sentenza di questa Corte del 31 ottobre 1999.

La corte territoriale ha quantificato la frazione suddetta partendo dalla base di anni due di reclusione per il reato associativo, che ha aumentato di ulteriori mesi sei per il reato di porto e detenzione di armi ai sensi dell’art. 81 c.p., applicando poi ulteriore aumento per la recidiva.

Come ha esattamente rilevato il ricorrente, non poteva tenersi conto della recidiva una volta che era stata ritenuta la continuazione tra il reato per cui era stata pronunciata la sentenza passata in giudicato, valutato come più grave, quindi considerato reato base, e quello oggetto del presente giudizio, atteso che tra recidiva e continuazione c’è una sostanziale differenza strutturale e concettuale, di modo che se si ritiene la continuazione tra reati, in quanto momenti di un’unica condotta illecita caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di medesimo disegno criminoso, non può ritenersi contemporaneamente la recidiva per gli episodi successivi al primo, essendo i due istituti in assoluta antitesi in quanto la recidiva valorizza la speciale proclività a delinquere espressa dalla reiterazione di reati consumati in piena autonomia rispetto a vicende pregresse, mentre la continuazione elide proprio la suddetta autonomia, collegando con il suo peculiare nesso ed unificandoli i diversi episodi criminosi.

Va pertanto sottratto dalla pena determinata dalla corte territoriale l’aumento per la recidiva, di modo che essa va rideterminata nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione (anni due e mesi sei diminuiti di un terzo per il rito).

Il ricorso è infondato nel resto, attesa la rinuncia fatta dall’imputato dinanzi alla corte territoriale a tutti i motivi di appello diversi da quelli concernenti la determinazione della pena, la cui quantificazione, a prescindere da quanto s’è detto a proposito dell’aumento per la recidiva, è stata adeguatamente e specificamente motivata dalla sentenza impugnata.

2.d Infondati sono i ricorsi del Me., del P. e del Ma..

Quanto al Me., deduce il predetto che le intercettazioni in atti non costituirebbero prova dei reati contestatigli, atteso che in generale al più le stesse sono strumenti di ricerca della prova, ed avrebbero necessità di concreti riscontri per assurgere alla dignità di prova.

L’assunto è infondato se interpretato come principio generale, atteso che è vero che le intercettazioni sono strumenti di ricerca della prova, ma se dalle stesse emergono elementi indiziari significativi se non direttamente probatori, la distinzione terminologica, più che concettuale, appare pretestuosa.

Nel caso di specie dalle captazioni, integralmente trascritte in sentenza, risulta con chiarezza come il Me. fosse il depositario delle armi del sodalizio illecito, e non è vero che il mancato reperimento delle stesse ad onta di reiterate perquisizioni costituisca smentita dell’ipotesi di accusa e della valenza probatoria delle conversazione intercettate, atteso che invece, come ha esattamente rilevato la corte territoriale, la preoccupazione dei sodali e la loro soddisfazione per l’esito negativo delle perquisizioni, costituisce riscontro adeguato a quanto era stato acquisito con le captazioni, nè valgono in contrario, le dichiarazione sul punto delle R.E., secondo la quale il Me. non era depositario delle armi, perchè la predetta è direttamente interessata a sostenere la tesi suddetta, quantomeno perchè il Me. è suo cognato, avendo sposato la sorella del T.F..

Infine smentito dalle intercettazioni è il motivo con cui si sostiene che non può ritenersi per certo che il "(OMISSIS)" di cui parlavano il T. e la R. nel corso del colloquio intercettato nel carcere (OMISSIS) il 17 febbraio 2000, indicandolo come depositario delle armi, fosse da identificare proprio nell’imputato, atteso che il predetto lavora come macellaio al macello comunale e nel corso della conversazione la R. comunica al marito che "(OMISSIS)" aveva nascosto le armi nel posto dove mette la carne, riferimento univoco di identificazione.

Valga osservare che la sentenza impugnata da conto dell’infondatezza degli analoghi motivi di appello proposti sul punto.

Inammissibili sono poi le censure con cui il ricorrente deduce l’omessa specifica disamina delle ragioni del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, atteso che la sentenza impugnata (ed anche quella di primo grado, la cui motivazione deve intendersi integrativa di quella data dal giudice del secondo grado) ha motivato adeguatamente sul punto. Inammissibile per manifesta infondatezza è anche il motivo con cui il ricorrente deduce l’illegittimità della rinuncia parziale ai motivi di appello concernenti l’affermazione di responsabilità fatta, a suo dire tardivamente, dal T., atteso che non è legittimato a dolersi della scelta processuale fatta dal coimputato, nè può ritenersi tale considerando che detta scelta del correo è stata in concreto per lui pregiudizievole, in quanto comportante a suo avviso l’ammissione della esistenza ed attività della associazione per delinquere di stampo mafioso nota come "Società"; del resto ben avrebbe potuto rinunciare a sua volta in tutto o in parte ai motivi di appello.

Infondato è anche nel complesso il ricorso del P..

Dell’infondatezza dell’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni s’è già detto.

Inammissibili sono invece i motivi con cui il ricorrente deduce sostanzialmente l’erronea valutazione dei fatti e delle prove in ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione per delinquere ed alla sua partecipazione al sodalizio illecito, ancorchè in una batteria antagonista a quella che faceva capo al gruppo Trisciuglio- Mansueto-Prencipe, in quanto sostanzialmente intesi a prospettare il riesame del merito, che in questa sede di legittimità è precluso se la sentenza impugnata abbia dato conto delle ragioni della decisione con motivazione ragionevole, comunque immune da vizi logici o contraddizioni, come nel caso di specie. Quanto all’asserita erroneità in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 416 bis c.p., comma 4, sostiene il ricorrente che la corte territoriale aveva ritenuto imputabile anche a lui l’aggravante in questione, in violazione dell’art. 59 c.p., comma 2, che nella specie non era a suo avviso applicabile perchè nulla sapeva delle armi in quanto i correi gli avevano tenuta ben nascosta la circostanza che il gruppo ne disponeva.

Valga osservare che la sentenza impugnata ha esaustivamente delibato la questione, che era stata già prospettata con i motivi di appello, dando conto delle ragioni che imponevano di ascrivere anche al P. la disponibilità di armi da parte del sodalizio illecito; ciò stesso rende il motivo relativo inammissibile, non essendo state mosse censure specifiche alla motivazione della corte territoriale, limitandosi il ricorso a riprospettare la questione più o meno negli stessi termini già esposti con l’appello.

Inammissibili sono anche i motivi rivolti a censurare fa gracilità della motivazione con cui gli era stata negata la concessione delle attenuanti genetiche e giustificata l’irrogazione di una pena di eccessiva severità, in quanto intesi a proporre il riesame del merito, che, come s’è detto, in questa sede di legittimità è precluso se la sentenza impugnata abbia dato conto, come nel caso di specie, delle ragioni della decisione con argomentazione ragionevole, comunque immune da vizi logici o contraddizioni. Nel complesso Infondato è anche il ricorso proposto nell’interesse del Ma..

Le censure relative all’asserita inadeguatezza della valutazione dei fatti e delle prove, in virtù della quale era stata affermata la sua responsabilità in ordine al delitto di procurata inosservanza di pena in favore del P., sanzionato dall’art. 390 c.p., sono inammissibili perchè propongono il riesame del merito, che in questa sede di legittimità non è consentito, e del resto la sentenza impugnata da conto del convincimento della corte territoriale con argomentazione ragionevole e condivisibile, immune da vizi logici o contraddizioni.

Infondato è invece il motivo con cui il ricorrente deduce la prescrizione del reato, che risulta consumato nel 1999. Essendo stata pronunciata la sentenza di primo grado il 5 aprile 2004, alla data di entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251, e cioè l’8 dicembre 2005, il reato era pendente in gradò ai appello, di modo che ai sensi dell’art. 10, comma 3 della norma menzionata era soggetto al regime prescrizionale previgente, di modo che il termine prescrizionale ai sensi dell’art. 157, comma 1, n. 3 all’epoca vigente è ben lungi dalla prescrizione.

Quanto all’asserita illegittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 6, non ne è possibile la delibazione perchè, come può rilevarsi dalla penultima pagina del ricorso, n. 5 in fine, l’argomentazione che il ricorrente intendeva addurre a chiarimento e motivazione dell’eccezione è rimasta incompiuta, e non se ne coglie il senso.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di M. M., Pr.Sa. e, limitatamente alla ricorrenza dell’esimente ex art. 52 c.p., nei confronti del D.R.F., con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso del D.R..

Annulla senza rinvio fa sentenza impugnata nei confronti di T.F. limitatamente all’aumento per la recidiva che elimina e ridetermina la pena in anni uno e mesi otto di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso del T..

Rigetta i ricorsi di Me.Vi., P.A. V. e Ma.Lu. e condanna ciascuno di essi al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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