Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-11-2010) 15-02-2011, n. 5745 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la decisione sopra indicata, la Corte d’appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina – che aveva condannato T. L. per i reati previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (detenzione illecita a scopo di vendita di hashish e di cocaina) e dalla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14 (detenzione illegale di armi e munizioni) – escludendo l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 e riducendo la pena a quattro anni di reclusione e 36.000 Euro di multa.

2. Contro la sentenza ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, e deduce, con il primo motivo, nullità della sentenza "per violazione art. 125 c.p.p., n. 3, art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) per erronea e mancata applicazione della norma e per difetti di motivazione, illogica apparente e contraddittoria in relazione alla pena irrogata".

Al di là delle non chiare espressioni con cui le censure sono sintetizzate, il ricorrente si duole della misura della pena base (8 anni, identica a quella ritenuta dal primo giudice) su cui è stata calcolata la sanzione, pur avendo il giudice d’appello escluso l’aggravante dell’ingente quantità.

Il motivo è manifestamente infondato, giacchè l’esclusione dell’aggravante in appello comporta il venir meno dell’aumento di pena applicato dal primo giudice per effetto della circostanza esclusa ovvero, come nel caso di specie, il venir meno della neutralizzazione delle circostanze diminuenti, ma ciò non implica affatto che il giudice d’appello abbia l’obbligo di abbassare anche la pena base, su cui ha poi operato la diminuzione per effetto delle circostanze attenuanti generiche.

2.1. Fondato è invece il secondo motivo, avendo il giudice d’appello erroneamente disposto un aumento di pena per la continuazione di un anno di reclusione e 6.000 Euro di multa, in mancanza d’impugnazione del Pubblico Ministero, così violando il divieto di reformatio in pejus dell’aumento determinato dal primo giudice in un anno di reclusione e 5.000 Euro di multa.

A tale illegittimità si può porre rimedio, così come richiesto dal Procuratore generale, direttamente in questa sede, a norma dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), rideterminando la pena pecuniaria in 5.000 Euro.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena pecuniaria, che ridetermina in 5.000. Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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