Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 7113 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto in data 7/9 novembre 2007 la Corte d’appello di Catania condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di O.G. e B., nella qualità di eredi di A.N. della somma complessiva di Euro 10729,50, a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un giudizio dalla de cuius nel settembre del 1985 e non ancora conclusosi alla data della domanda (essendo l’attrice deceduta nell’agosto 2006) ed avente ad oggetto un’azione di riduzione ereditaria previa accertamento del carattere simulato di una donazione.

1.1 – La Corte di merito determinava, sulla base del concreto svolgimento del menzionato procedimento, il periodo di durata non ragionevole in anni 14, mesi tre e giorni venti. Il danno non patrimoniale veniva quindi liquidato mediante attribuzione della somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo, compensandosi per un terzo le spese processuali.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorrono le O., sulla base di due motivi, concernenti il quantum della liquidazione e il regolamento delle spese di lite.

Il Ministero della Giustizia non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

2. Con il primo motivo si deduce violazione della L. n 89 del 2001, art. 2 nonchè vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censurandosi l’incongrua (per difetto) determinazione del periodo di non ragionevole durata del processo.

Viene al riguardo formulato il seguente quesito: "Se, nella ragionevole durata del processo, ed in assenza di comportamenti dilatori delle parti – non considerandosi tali quelli conseguenti alla fisiologia del processo – il giudice debba considerare o meno quella parte dei rinvii di udienza dovuti a carenza nell’organizzazione giudiziaria". 2.1 Con il secondo motivo si deduce violazione della. L. n. 89 del 2001, art. 2 nonchè degli artt. 2056 e 1226 c.c. con omessa e insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censurandosi la determinazione dell’entità della somma liquidata a titolo di equo indennizzo.

Viene formulato il seguente quesito: "Se sia conforme a legge o meno che il giudice di merito debba determinare l’equa riparazione adeguandosi ai criteri adottati in casi simili dalla Cedu, anche se con un margine di valutazione ragionevole e adeguatamente motivato". 3. Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel novembre 2007, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6 che ha introdotto l’art. 366 bis nel c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 3.1 – Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, atteso che i quesiti proposti, del tutto generici, all’evidenza si risolvono nella mera prospettazione di questioni giuridiche del tutto avulse dal procedimento logico – giuridico seguito dalla Corte territoriale per escludere la sussistenza del pregiudizio.

Mancano, invero, qualsiasi esposizione riassuntiva degli elementi di fatto, così come i riferimenti alla regola di diritto applicata dal giudice di secondo grado ed a quella diversa regola iuris che, a giudizio dei ricorrenti, avrebbe dovuto essere applicata (Cass., Sez. Un, 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 25 luglio 2008, n. 20454).

Quanto al dedotto vizio motivazionale, poi, manca del tutto quel momento di sintesi omologo del quesito di diritto, a tacere del fatto che un motivo che prospetti una pluralità di vizi, per altro di diversa natura, debba considerarsi intrinsecamente inammissibile.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 600,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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