Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 7112 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M. e M.D., con citazione del 9.12.98, convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Lagonegro il Comune di Roccanova esponendo: che il 7.2.83 l’ente territoriale convenuto aveva occupato d’urgenza, previa notifica del relativo decreto sindacale, un terreno di loro proprietà, esteso circa 10.000 mq.; che, tuttavia, il procedimento espropriativo, finalizzato alla costruzione di una circonvallazione al centro abitato, non si era mai perfezionato; che, sempre nel 1983, il Comune aveva occupato abusivamente un’altra porzione di terreno di loro proprietà, realizzandovi un parco ed un campo da tennis; che, malgrado l’irreversibile trasformazione del fondo a seguito dell’avvenuta esecuzione delle opere pubbliche, non era stato loro pagato indennizzo alcuno. Ciò premesso, chiesero che il giudice adito – determinata un’indennità di espropriazione commisurata al valore del suolo – condannasse il convenuto al suo pagamento, con gli interessi e la rivalutazione monetaria.

Il Comune di Roccanova, costituitosi in giudizio, eccepì la prescrizione quinquennale dei diritti, rilevando che per la prima porzione di terreno si versava in tema di c.d. occupazione appropriativa, in quanto al decreto di occupazione d’urgenza non aveva mai fatto seguito il decreto di esproprio, e per la seconda in una fattispecie di occupazione sine titulo (c.d. usurpativa); in subordine eccepì l’inammissibilità della domanda, perchè generica, e dedusse la sua infondatezza nel merito. Con memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5 (nella formulazione all’epoca vigente) gli attori chiesero che, dichiarata l’arbitrarietà dell’occupazione, il Comune venisse condannato a risarcirli di tutti i danni subiti, in un ammontare complessivo che rappresentasse il pagamento per il periodo di occupazione legittima, per l’indennizzo del valore venale del fondo occupato e per la diminuzione di valore subita dalle circostanti aree di loro proprietà, compromesse dall’opera pubblica realizzata.

Istruita la causa a mezzo ctu, il Tribunale adito, con sentenza del 24.10.03, dichiarò inammissibile la domanda risarcitoria, in quanto nuova rispetto a quella di pagamento dell’indennità di esproprio formulata dagli attori nell’atto di citazione. Nella parte motiva della sentenza il giudice aggiunse che, nel merito, la domanda risultava prescritta e rilevò, infine, la propria incompetenza a decidere su quella di pagamento dell’indennità di esproprio, peraltro anch’essa prescritta. Il gravame proposto dai M. contro la sentenza fu accolto dalla Corte d’Appello di Potenza che, con sentenza non definitiva 6.2.06, accertò il diritto degli appellanti ad ottenere il risarcimento dei danni da occupazione usurpativa dei suoli. A sostegno della decisione la Corte di merito, richiamati i principi giurisprudenziali costantemente enunciati dalla S.C. in tema di interpretazione delle domande e delle conclusioni delle parti, affermò, per ciò che nella presente sede interessa:

1) che, ad onta delle ripetute improprietà terminologiche della difesa dei M., doveva ritenersi che la domanda da essi proposta fosse ab origine intesa ad ottenere il ristoro economico di un’occupazione illecita, posto che:

a) nella causa petendi erano state allegate espressamente ed inequivocamente la mancata emissione del decreto di esproprio, l’illiceità dell’occupazione e l’irreversibile trasformazione delle aree occupale a seguito della realizzazione delle opere pubbliche;

b) la stessa amministrazione convenuta aveva percepito fin dalla propria comparsa di costituzione e risposta in primo grado che la domanda era di risarcimento del danno da fatto illecito, tanto che aveva eccepito la prescrizione quinquennale sia in relazione all’occupazione acquisitiva che a quella sine titulo e si era difesa anche in relazione al quantum di tale risarcimento, sostenendo la natura agricola e non edificatoria del suolo;

c) nel precisare la domanda ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5, gli appellanti avevano fatto subito riferimento, coerentemente alla causa petendi enunciata in citazione, al risarcimento dei danni pari al valore delle aree occupate ed irreversibilmente trasformate;

d) tanto la comune volontà delle parti, desumibile dalla loro condotta processuale, quanto il tenore complessivo dell’atto di citazione militavano nel senso di una controversia avente ad oggetto le conseguenze economiche di un’occupazione seguita da irreversibile trasformazione dei terreni ma non anche dal decreto di esproprio, sicchè il riferimento all’"indennità di espropriazione" costituiva elemento improprio e dissonante;

2) che, così qualificata la domanda, andava rilevata d’ufficio la nullità del decreto di occupazione d’urgenza del 19.1.83, privo dei termini di inizio e di fine dei lavori;

3) che era pertanto configurabile il risarcimento dei danni da occupazione usurpativa non solo per il suolo occupato sine titulo, ma anche per quello occupato in virtù del citato decreto;

4) che il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria non era spirato, in quanto era iniziato a decorrere solo dalla data della notifica della citazione, attesa la natura di illecito permanente dell’occupazione usurpativa, che cessa solo quando il proprietario sceglie di abbandonare all’amministrazione occupante l’immobile ed ottenere in cambio il ristoro della perdita del bene.

Con separata ordinanza, la Corte dispose ctu per determinare il valore del suolo; quindi, con sentenza definitiva del 17.5.07, condannò il Comune di Roccanova a pagare agli appellanti: la somma di Euro 188.680,51 a titolo di risarcimento del danno da costoro subito per la perdita del suolo; gli interessi al tasso legale dal 7.2.83 al 9.12.98 sulla somma di Euro 81.445,51, dapprima devalutata al 7.2.83 e poi via via rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT – costo della vita, a titolo di risarcimento del danno da mancato godimento del terreno; la rivalutazione monetaria, sull’importo risultante dalla somma delle due distinte voci così quantificate, dal 9.12.98 alla data di pubblicazione della sentenza;

le spese del doppio grado del giudizio.

Il Comune di Roccanova ha proposto separati ricorsi per la cassazione della sentenza parziale e di quella definitiva, cui i M. hanno resistito con controricorsi.
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei due ricorsi. Sempre in via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di tardività del primo ricorso, sollevata dai M. (che hanno ricevuto la notifica dell’atto, eseguita a mezzo posta, il 10.5.06) sul rilievo che il termine di impugnazione della sentenza non definitiva scadeva l’8.5.2006.

Il Comune di Roccanova ha infatti provveduto alla consegna del plico all’U.G. il 5.5.06, sicchè, come riconosciuto dagli stessi controricorrenti, è da tale data che, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., comma 3, la notifica deve intendersi perfezionata per il ricorrente.

Palesemente infondata è l’eccezione, pure sollevata dai M., di illegittimità costituzionale della norma predetta, introdotta proprio a fine di recepire il principio della scissione della data di perfezionamento della notifica, ripetutamele enunciato dal Giudice delle leggi: l’applicazione di tale principio non può infatti comportare alcuna lesione del diritto di difesa del destinatario, per il quale gli effetti della notifica decorrono dal ricevimento dell’atto.

Palesemente infondata è anche l’ulteriore eccezione svolta dai M., di inammissibilità del ricorso per la mancata enunciazione dei quesiti di diritto: l’art. 366 bis c.p.c. introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, si applica infatti ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze, e gli altri provvedimenti, pubblicati a decorrere da 2.3.06. La sentenza non definitiva del 6.2.06 è stata impugnata dal Comune di Roccanova sulla base di sei motivi.

1) Con il primo motivo, il Comune denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 112 c.p.c., error in procedendo e vizio di motivazione.

Osserva il ricorrente che con l’atto di citazione i M. avevano chiesto al Tribunale di "stabilire un’indennità di espropriazione adeguata al valore del terreno … e di, condannare l’ente comune al pagamento di tale somma, oltre interessi e rivalutazione" e che invece, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5 – dopo aver affermato: "il fondamento del diritto all’indennizzo (previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 46) poggia sul principio pubblicistico di giustizia distributiva, per cui non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo, senza che quest’ultimo sia indennizzato; esso si distingue dal diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. che presuppone il fatto doloso o colposo della P.A.) – avevano domandato al giudice adito di "dichiarare l’arbitrarietà dell’occupazione del fondo per cui è causa e per l’effetto … di condannare il Comune di Roccanova al risarcimento di tutti i danni subiti, stabilendo una cifra che rappresenti il pagamento per il periodo di occupazione legittima, per l’indennizzo del valore venale del fondo occupato e per la rifusione dei danni arrecati alle aree limitrofe …"., così confondendo, ritenendoli in qualche modo assimilabili o comunque omologhi, istituti fra loro assolutamente diversi quali l’indennità di espropriazione, il risarcimento dei danni da accessione invertita, l’indennità di occupazione legittima e l’indennità L. n. 2359 del 1865, ex art. 46. Rileva poi che la Corte d’Appello, nell’esaminare ed accogliere il motivo di gravame con il quale i M. contestavano la statuizione della sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria, aveva comunque premesso che "per costante giurisprudenza le domande di corresponsione dell’indennità di esproprio e quella di risarcimento danni da c.d. accessione invertita sono differenti per petitum e per causa petendi… di guisa che, chiesta con l’atto introduttivo la condanna al pagamento dell’indennità, la successiva proposizione della domanda risarcitoria non da luogo ad una mera diversa qualificazione giuridica della domanda originaria, ma integra una domanda nuova" e deduce che la conclusione tratta dalla Corte, circa la proposizione ab origine della domanda risarcitoria, è contraddittoria ed illogica rispetto a tale premessa, in quanto, pur costantemente enunciando i principi in tema di interpretazione della domanda giudiziale richiamati nella sentenza, la Cassazione non ha mai mancato di sottolineare che tale interpretazione può estendersi alle sole richieste che si trovino in rapporto di connessione necessaria con il petitum e la causa petendi della domanda originaria, senza possibilità di estenderne l’ambito di riferimento.

Sotto altro profilo, il Comune sostiene che la sentenza ha violato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alterando uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (e precisamente il petitum) e finendo con l’attribuire ai M. un bene della vita diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente, nell’originaria domanda. Ricorda a tale proposito che, se è vero che nell’esercizio del potere di interpretazione e di qualificazione della domanda il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, tale operazione esegetica trova un limite invalicabile nel rispetto del principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta, senza possibilità di sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta, e che il giudice d’appello può a sua volta procedere ad una nuova qualificazione giuridica del petitum e della causa petendi, ma lasciandoli immutati, e sempre entro i limiti di fatto originariamente prospettati dalla parte. A dire del ricorrente, dunque, il dato formale non può essere totalmente pretermesso, così come ha invece fatto la Corte laddove ha affermato che il riferimento all’indennità di espropriazione (che, a dire del Comune, rappresenta l’unica domanda formulata in citazione) "costituisce elemento improprio e dissonante, originato dalle ripetute incongruità terminologiche della difesa dei M.".

Osserva ancora il Comune che l’assunto della Corte risulta smentito dagli argomenti addotti dai M. a fondamento del primo motivo d’appello, che costituiscono riconoscimento della novità della domanda proposta nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5. Rileva al riguardo che gli appellanti, nell’impugnare la sentenza di primo grado per arbitraria ed erronea applicazione della norma in questione, avevano sostenuto, da un lato, che la domanda aveva ad oggetto un diritto autodeterminato, il che avrebbe consentito loro di mutare il titolo della pretesa senza incorrere nelle preclusioni della modifica della causa petendi e permesso al giudice di accogliere il petitum in base ad un titolo di diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda, e, dall’altro, che il divieto di introdurre domande nuove nel corso del giudizio di primo grado attiene ad un mero interesse privato, derogabile dalle parti e perciò non sanzionabile nella specie, stante il comportamento non oppositorio del Comune, che aveva eccepito la tardività della nuova domanda all’udienza di precisazione delle conclusioni; che inoltre gli appellanti avevano posto l’accento sul fatto che la domanda proposta nella memoria integrava una mera emendatio libelli e che solo nella chiosa finale, ad illustrazione del motivo, avevano osservato "che il giudice di merito è libero di dare al rapporto controverso una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti, con la sola limitazione che non può porre a base della decisione fatti diversi da quelli allegati".

La complessa censura sin qui sintetizzata è infondata e deve essere respinta. Va premesso che, poichè il ricorrente ha dedotto la sussistenza di errores in procedendo, risolventisi nella violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto è pronunciato, questa Corte ha il potere- dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari (Cass. n. 3349/010, 20373/08, 24742/07).

Ebbene contrariamente a quanto sostenuto nel motivo, i M., sin dall’atto di citazione, hanno dedotto: il mancato espletamento da parte del Comune delle pratiche necessarie all’emissione del provvedimento di esproprio relativo alle aree occupate in forza del decreto 19.1.83 (punto sub. 3); l’occupazione abusiva di un ulteriore porzione del terreno di loro proprietà (punto sub. 4); l’obbligo del convenuto di risarcire il danno (punto sub. 7).

Risultando tempestivamente allegati tutti i fatti costitutivi della domanda risarcitoria ed espressamente enunciata la natura extra – contrattuale dell’obbligazione di pagamento dedotta in giudizio, deve allora, in primo luogo, ritenersi insussistente il denunciato vizio di ultrapetizione della sentenza.

Il dato formale invocato dal Comune a sostegno del proprio assunto (costituito dal fatto che, nelle conclusioni precisate in citazione, i M. hanno chiesto al giudice adito di determinare "un’indennità di espropriazione") non può infatti assurgere ad unico e decisivo elemento di interpretazione della domanda, tanto più che la richiesta di riconoscimento dell’indennità non solo si pone in netto contrasto con le sopra elencate causae petendi, ma risulta contraddittoria rispetto all’ulteriore enunciato del petitum, laddove è specificato che l’indennità va commisurata "al valore venale dei terreni, maggiorato degli interessi e della rivalutazione" (ovvero determinata sulla scorta dei criteri di liquidazione tipici di una fattispecie risarcitoria). Una volta escluso che la Corte di merito, nell’interpretare la domanda, abbia violato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, risulta palese l’infondatezza dell’ulteriore doglianza con la quale il Comune deduce la contraddittorietà della motivazione assunta, sul punto, nella sentenza impugnata: il giudice dell’appello si è infatti attenuto ai principi costantemente affermati in materia da questa Corte, esercitando il dovere – potere, di cui era investito, di qualificare la domanda non solo sulla base della sua analisi letterale, ma anche, e, soprattutto, sulla scorta del suo contenuto sostanziale, come era desumibile dalla natura delle vicende rappresentate dai M. e dalle successive precisazioni dai medesimi fornite nel corso de giudizio.

Tale operazione ermeneutica, compiuta sulla scorta di una logica ed approfondita analisi di tutti gli elementi qui considerati, sfugge al sindacato di legittimità. E’, infine, appena il caso di rilevare che le conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta non risultano smentite dal contenuto dell’atto d’appello, nel quale i M. hanno correttamente dedotto che la richiesta da essi esplicitata nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., u.c. di "dichiarare l’arbitrarietà dell’occupazione del fondo per cui è causa e per l’effetto … di condannare il Comune di Roccanova al risarcimento di tutti i danni subiti, stabilendo una cifra che rappresenti il pagamento per il periodo di occupazione legittima, per l’indennizzo del valore venale del fondo occupato e per la rifusione dei danni arrecati alle aree limitrofe …" costituiva una mera emendatio libelli, ovvero precisazione della domanda risarcitoria già formulata in citazione.

2) Con il secondo motivo di ricorso, denunciando ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 112 c.p.c. nonchè dell’art. 345 c.p.c., error in procedendo e vizio di motivazione, il Comune rileva che la Corte di merito ha arbitrariamente sostituito all’azione risarcitoria da occupazione acquisitiva proposta dai M., la diversa azione risarcitoria derivante dall’occupazione usurpativa, così pronunciando su una domanda mai formulata dagli appellanti e, conseguentemente, errando nell’affermare che il diritto di costoro non era prescritto.

3) Con il terzo motivo, il Comune deduce, in subordine, che la sentenza non si sottrarrebbe alle censure illustrate nel secondo motivo anche nel caso in cui si dovesse ritenere che la Corte non abbia pronunciato ultra petita, ma abbia accolto la domanda tardivamente ed inammissibilmente proposta per la prima volta dai M. nella comparsa conclusionale d’appello, laddove, seppure incidentalmente, si afferma che "qualora la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica non indichi i termini iniziali e finali ed il compimento della procedura, l’occupazione è ab origine illecita, di talchè, sussistendo un illecito permanente, non può decorrere il termine quinquennale per l’azione di risarcimento dei danni ed, altresì, che "..nell’accaduto per cui è causa, giacchè si versa nella fattispecie giuridica di occupazione usurpativa, si configura una mera occupazione – detenzione illegittima dell’immobile…". Aggiunge a riguardo che, trattandosi di domanda nuova, la Corte avrebbe dovuto d’ufficio dichiararne l’inammissibilità sia ai sensi dell’art. 345 c.p.c., sia perchè svolta solo nella comparsa conclusionale.

Anche i predetti motivi, che sono fra loro collegati e che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti. Questa Corte, con la recente sentenza n. 16750/010, ha infatti affermato che nel giudizio di risarcimento del danno conseguente all’occupazione ed alla trasformazione irreversibile di un fondo, la prospettazione del fatto storico compiuta dalla parte non vincola l’interprete ad una particolare fattispecie genetica del credito (ovvero a stabilire se esso derivi da occupazione usurpativa od acquisitiva), tanto più che la differenza pratica fra le due forme di illecito si è pressochè dissolta dopo la dichiarazione di incostituzionalità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis.

Ad ogni buon conto, non appare superfluo rilevare che il contenuto dell’atto di citazione (in cui i M. hanno allegato l’occupazione abusiva quantomeno di una porzione del fondo di loro proprietà),- ove correlato alla memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., u.c., (con la quale gli odierni controricorrenti hanno chiesto di dichiarare "l’arbitrarietà" tout court dell’occupazione), depone in favore di un’interpretazione della domanda volta ab origine ad ottenere il ristoro dei danni da occupazione usurpativa. Ne consegue che, per le ragioni già enunciate sub. 1, deve escludersi che la Corte di merito, in tali sensi qualificando la pretesa, sia incorsa in un vizio di ultra – petizione o di errata e/o contraddittoria motivazione.

4) Con il quarto motivo, il Comune, denunciando vizio di omessa e insufficiente motivazione, nonchè violazione dell’art. 2943 c.c., rileva che, qualora nel periodo "….a prescindere dall’interruzione della prescrizione eccepita dai M., resta il rilievo che l’occupazione usurpativa costituisce un’ipotesi di illecito permanente…", contenuto nella motivazione della sentenza impugnata, dovesse ravvisarsi una " pronuncia positiva della Corte di merito in ordine all’intervenuta interruzione della prescrizione quinquennale, la decisione risulterebbe viziata sia perchè non sarebbe dato comprendere il percorso logico -giuridico che ha condotto il giudice ad assumerla, sia perchè al documento allegato dai M. quale atto interruttivo non potrebbe essere attribuita tale valenza.

Il motivo è inammissibile, in quanto non attinente alla decisione.

L’espressione "a prescindere" sta infatti inequivocamente a significare che la Corte territoriale non ha inteso pronunciare sull’eccezione di interruzione della prescrizione sollevata dai M., ritenendola superata dal rilievo che si versava in tema di occupazione usurpativa.

5) Con il quinto motivo, il Comune, denunciando ulteriore error in procedendo, violazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c., vizio di ultra petizione e violazione del giudicato, rileva che la Corte di merito ha qualificato la domanda da occupazione usurpativa in assenza di un espresso motivo d’appello dei M. volto a contestare il vero e proprio accertamento sulla natura acquisitiva dell’occupazione compiuto dal primo giudice, accertamento che doveva pertanto ritenersi coperto da giudicato interno.

Anche questo motivo è infondato.

Il primo giudice, infatti, non ha compiuto alcuna indagine al fine di qualificare l’occupazione come acquisitiva od usurpativa, ma si è limitato a rilevare che l’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria svolta dal convenuto era fondata, in quanto l’atto di citazione era stato notificato allorchè era abbondantemente decorso un quinquennio sia dalla data di occupazione di fatto di una porzione dei terreni dei M. sia dall’irreversibile trasformazione dell’altra porzione.

Il motivo, peraltro, andrebbe respinto anche nel caso in cui dovesse ritenersi che l’uso dell’espressione "irreversibile trasformazione" abbia necessariamente implicato il previo accertamento di merito, da parte del Tribunale, della natura acquisitiva dell’occupazione eseguita in forza del decreto del 19.1.83, dichiarato nullo dalla Corte d’Appello perchè privo delle date di inizio e di compimento dei lavori.

La giurisprudenza di questa Corte (fra molte, Cass. SS.UU. nn. 2078/90, 5794/92 e, da ultimo, 3840/07) è infatti consolidata nell’affermare che il giudice, dichiarando inammissibile la domanda, definisce e chiude il giudizio e non può esaminare domande ed eccezioni che non solo sono diverse da quella delibata in via principale, ma delle quali gli è precluso l’esame proprio in ragione della natura della questione (di rito) ritenuta dirimente per le decisione della causa.

In tale ipotesi, le eventuali argomentazioni di merito contenute nella sentenza risultano ultronee, ovvero superflue ed ininfluenti sul dispositivo, e, muovendosi su un piano meramente virtuale, non entrano ne circuito delle statuizioni propriamente giurisdizionali (Cass. SS.UU. n. 3840/07), con la conseguenza che la parte soccombente non è tenuta ad impugnarle.

Tanto è accaduto nel caso di specie, in quanto il Tribunale ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria proposta dai M., ritenendola "nuova" rispetto alla domanda di determinazione delle indennità di esproprio asseritamene formulata dagli stessi in citazione. Deve escludersi, pertanto, che le considerazioni svolte dallo stesso giudice in sentenza "ad ulteriore conforto del rigetto in senso lato della pretesa attorea", ivi compresa l’illustrazione delle ragioni di fondatezza dell’eccezione di prescrizione, formassero capi della decisione suscettibili di passare in giudicato ove non impugnati in sede di appello.

6.1.2) Con il sesto motivo, il Comune deduce un ulteriore vizio di ultra – petizione della sentenza non definitiva, per avere questa riconosciuto il diritto dei M. ad essere risarciti anche per il deprezzamento delle aree limitrofe, da essi mai richiesto, e denuncia contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte- dopo aver affermato che gli appellanti avevano qualificato l’occupazione come acquisitiva ha proceduto alla liquidazione dei danni secondo il valore venale dei beni anzichè ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis.

Il motivo si compone di due distinte censure, la prima delle quali è inammissibile e a seconda infondata.

6.1) Il giudice dell’appello ha rilevato, richiamando giurisprudenza di questa Corte, che il danno da occupazione c.d. usurpativa va liquidato nella sua integrità, in ragione del valore venale dei suoli occupati e dell’eventuale deprezzamento delle aree residue, in tal modo implicitamente affermando che non v’è necessità che la relativa domanda contenga l’espressa indicazione di tutte le voci che lo compongono: l’eventuale erroneità di tale affermazione avrebbe dovuto pertanto essere fatta valere dal Comune sotto il profilo della violazione del (supposto) diverso principio di diritto applicabile alla fattispecie e non certo attraverso la denuncia di un insussistente vizio di ultra – petizione della sentenza.

6.2) Quanto alla seconda ragione di doglianza, è sufficiente osservare che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non v’è alcun passo della sentenza d’appello dal quale possa desumersi che la Corte di merito abbia sostenuto che la domanda dei M. era volta ad ottenere il risarcimento dei danni da occupazione acquisitiva: la censura, del resto, è in palese contraddizione con quella illustrata nel secondo motivo, con il quale il Comune ha denunciato lo specifico vizio di ultra – petizione della decisione derivante dall’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da occupazione usurpativa.

Può passarsi, a questo punto, all’esame del ricorso proposto dal Comune di Roccanova contro la sentenza definitiva, impugnata sulla base di cinque motivi.

7) Con il primo motivo, il ricorrente osserva che, nonostante la precedente sentenza parziale i M., nella seconda comparsa conclusionale del giudizio d’appello, hanno continuato a qualificare l’occupazione come acquisitiva ed assume che, alla luce delle difese degli appellanti, liquidando il danno in misura corrispondente al valore venale dei beni, la Corte avrebbe ancora una volta violato l’art. 112 c.p.c..

8) Con il secondo motivo, denunciando vizio di omessa motivazione della sentenza, il ricorrente lamenta che la Corte non abbia tenuto conto delle sue argomentazioni difensive, volte, per l’appunto, a far rilevare che i M. avevano proposto una domanda diversa da quella accolta nella sentenza non definitiva. I motivi che possono essere congiuntamente esaminati, vanno dichiarati entrambi inammissibili, in quanto non contestano sotto alcun profilo la statuizione, posta a premessa della motivazione della sentenza definitiva, con la quale la Corte territoriale, dopo aver ricordato che "la causa prosegue … solo sul quantum del risarcimento dei danni dovuto agli appellanti", ha "osservato in rito che le conclusioni dei M. sono solo quelle di cui all’atto d’impugnazione, espressamente richiamate all’udienza del 16.1.07, e non quelle formulate nella successiva comparsa conclusionale, in cui, com’è noto, non possono avanzarsi nuove conclusioni". Va, per completezza, rilevato che la statuizione della Corte è ineccepibile, in quanto nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell’art. 279 c.p.c., commi 2 e 4, e di prosecuzione del giudizio per l’ulteriore istruzione della controversia, il giudice resta da questa vincolato (anche se non passata in giudicato) sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle da queste dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base dell’intervenuta pronuncia e non può risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva (cfr., fra molte, Cass. n. 18519/2004).

9) Ugualmente inammissibili sono il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con i quali il Comune di Roccanova, denunciando ulteriori violazioni dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la Corte territoriale abbia liquidato voci di danno (da mancato godimento delle aree e da deprezzamento della superficie residua) mai domandate dai M.:

sul punto vanno integralmente richiamate le considerazioni svolte sub. 6.1.) e va aggiunto che le censure, in ossequio al principio giurisprudenziale appena enunciato sub. 8) avrebbero dovuto essere fatte valere in sede di impugnazione della sentenza non definitiva.

10) Va, infine, dichiarato inammissibile anche il quinto motivo di ricorso, con il quale il Comune si è limitato a dedurre che la Corte territoriale ha liquidato i danno da deprezzamento in misura maggiore rispetto a quella domandata dai M. nell’atto di appello ma non ha censurato la decisione nella parte in cui afferma che gli importi come sopra determinati non eccedono il petitum, tenuto conto che esso era stato formulato in Euro 375.498,62 oltre rivalutazione ed interessi dal 19.1.83 al soddisfo. Costituisce, del resto, principio costantemente affermato da questa Corte (Cass. nn. 26505/09, 17873/07) che, in caso di domanda di risarcimento "di tutti i danni, la quale è indicativa della volontà di conseguire l’integrale risarcimento di tutte le voci di danno legittimamente ricollegabili all’evento lesivo, la successiva specificazione dei singoli danni di cui si invochi la liquidazione ha valore meramente esemplificativo e non può essere interpretata come volontà di delimitare il "petitum". Le spese del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 4.500,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; condanna il Comune di Roccanova al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del grado, liquidate in Euro 4.500,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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