T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 11-02-2011, n. 142 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La società "P.R.E.A." s.r.l. (d’ora innanzi: PREA s.r.l.), che si occupa di attività commerciale avente ad oggetto – tra l’altro – la vendita di rimorchi per campeggio (roulottes), materiale per campeggio e per abitazioni prefabbricate, ha ottenuto, con provvedimento regionale n. 217 del 25 luglio 2001 (poi confermato, a seguito di riesame, con determina n. 45 del 4 marzo 2002), un "contributo a fondo perduto di Lire 470.000.000", ai sensi dell’art. 4bis del decretolegge n. 279 del 2000, convertito in legge n. 365 del 2000 (norma che ha previsto "Interventi urgenti a favore delle zone danneggiate dalle calamità idrogeologiche dell’ottobre e del novembre 2000").

L’azienda aveva, infatti, documentato di essere stata coinvolta dall’alluvione occorsa nei giorni 15 e 16 ottobre 2000 in Moncalieri (TO), con danni sia nei locali adibiti ad esposizione, vendita ed uffici, sia nei locali adibiti a magazzino. In particolare, come asseverato dalla perizia giurata redatta dai geometri Luca Mazzotti e Roberto Cantamutto in data 19 gennaio 2001, risultavano danneggiati non solo "le attrezzature, gli impianti e gli automezzi presenti" nei locali adibiti ad officina, ma anche "gli automezzi nuovi ed usati" collocati sui "piazzali" adibiti a deposito: aree che si trovano ubicate in Moncalieri, "Corso Trieste ndd".

2. Successivamente, con determinazione dirigenziale n. 22 del 13 febbraio 2004, la Regione Piemonte – Direzione Commercio e Artigianato ha disposto la revoca del contributo, con contestuale richiesta di "restituzione delle somme indebitamente percepite (…) pari a Lire 470.000.000 (euro 242.734,74), con l’aggiunta degli interessi previsti". La motivazione della revoca è stata che, a seguito di controlli effettuati, è risultato "che la ditta P.R.E.A. s.r.l. non è stata interessata dal citato fenomeno alluvionale e che, contrariamente a quanto dichiarato nella domanda di contributo sopra detta e nella relativa perizia asseverata, non ha pertanto subito gravi danni ai beni posseduti". Risultava, inoltre, che l’azienda, al momento dell’alluvione, "aveva la propria sede legale e operativa esclusivamente in Corso Trieste 128", sicché "non è possibile altresì ammettere la domanda di contributo e la relativa perizia asseverata nelle parti in cui fanno riferimento a ipotetici danni subiti in Corso Trieste n.d.d., in quanto qualunque occupazione di altri fabbricati ubicati in siti diversi da quello ufficiale di Corso Trieste 128 determina occupazione abusiva degli stessi in assenza delle previste autorizzazioni e in assenza di apposita denuncia dell’esistenza di altre unità operative presso gli enti competenti".

In data 25 marzo 2004, con determinazione dirigenziale n. 436, è intervenuto anche il Comune di Moncalieri il quale – previo richiamo al provvedimento regionale – ha disposto, a sua volta, la revoca del contributo concesso alla società PREA per la parte di competenza comunale, ossia per la somma di Lire 30.000.000 (euro 15.493,71).

2.1. A seguito di una memoria procedimentale presentata dalla società PREA (con la quale si chiedeva all’amministrazione di provvedere a ritirare, in autotutela, la precedente determinazione), la Regione Piemonte ha emesso una nota (prot. n. 3769/17, del 1° aprile 2004) con la quale ha comunicato che "rimane confermata la revoca del contributo predisposta con la d.d. n. 22 del 13/2/2004, così come rimane confermata la richiesta di restituzione delle somme indebitamente percepite, con l’aggiunta degli interessi legali".

In data 5 maggio 2004, poi, la medesima Regione ha indirizzato alla società PREA "atto di ingiunzione di pagamento", ai sensi del r.d. n. 639 del 1910, per la somma totale di euro 255.132,19.

3. Avverso tutti i descritti atti la società PREA, in persona del proprio amministratore unico, ha proposto impugnazione dinnanzi a questo TAR, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare.

Il ricorso principale, diretto contro le determinazioni regionale e comunale di revoca, dopo essersi soffermato sulla ritenuta giurisdizione del giudice amministrativo, ha sollevato le seguenti censure:

– mancata comunicazione di avvio del procedimento;

– difetto di istruttoria, posto che, "in presenza di elementi non univoci circa la sussistenza dei danni lamentati, l’Amministrazione avrebbe dovuto disporre (quantomeno dopo la presentazione della memoria 1622004) accertamenti tecnici ulteriori". Qui la ricorrente riferisce che, già in due precedenti occasioni (sia nel 2001 che, con atto di conferma, nel 2002), la Regione le aveva riconosciuto le provvidenze de quibus, seppure non come soggetto "bialluvionato" (nonostante la richiesta, in tal senso, avanzata dalla società PREA), sicché il difetto di motivazione della revoca del 2004 si apprezzerebbe anche lungo il versante della mancata indicazione delle "ragioni o (degli) elementi istruttori che hanno indotto l’Ente a mutare avviso dopo 2 provvedimenti favorevoli";

– violazione degli artt. 4 e 4bis del decretolegge n. 279 del 2000, convertito in legge n. 365 del 2000 (ciò, con riferimento alla revoca dei contributi per la perdita degli automezzi), asserendo che, in base alla legge, il "presupposto sostanziale per ottenere la provvidenza economica è (…) il danno "all’attività produttiva" essendo irrilevante la circostanza che il danneggiamento (dei beni mobili aziendali e delle scorte) sia intervenuto nella sede, in una unità operativa, ovvero altrove";

– violazione degli artt. 4 e 4bis citt. (con riferimento alla perdita di altri beni mobili, quali ricambi, accessori, arredi, ecc.), precisando che "P.R.E.A. s.r.l. ha titolo al contributo se dimostra che i beni in questione erano di sua proprietà. Ciò anche se tali beni erano collocati in sedi per le quali non era stata ottenuta l’autorizzazione commerciale", sull’assunto che le richiamate norme del decretolegge n. 279 del 2000 "non escludono dal contributo le imprese che violano la disciplina sul commercio".

Con specifico riferimento, poi, all’atto comunale di revoca, la ricorrente ne contesta l’"illegittimità derivata" (trattandosi di "atto dovuto a seguito della revoca disposta dalla Regione Piemonte"), in una con la mancanza di un’adeguata ed autonoma istruttoria.

3.1. Con atto di motivi aggiunti, depositato il 1° giugno 2004, la ricorrente ha impugnato anche l’ingiunzione di pagamento adottata dalla Regione in data 5 maggio 2004, contestandola per illegittimità derivata dai precedenti atti, non senza aver prima sostenuto la giurisdizione del giudice amministrativo anche in ordine al sindacato su detto atto.

4. Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, depositando documenti e concludendo per il rigetto del ricorso.

La Regione eccepisce preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, posto che "nessuna attività discrezionale ha esercitato nel caso in questione l’Amministrazione, essendo l’atto di revoca doveroso a seguito delle note vicende penali che hanno coinvolto il titolare dell’Autovallere S.p.A. A. Tocci e i figli titolari delle Società collegate".

5. Si è costituito in giudizio il Comune di Moncalieri, in persona del Sindaco pro tempore, depositando documenti e chiedendo il rigetto del ricorso.

Anche il Comune eccepisce, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, posto che, a seguito della concessione del contributo, la ricorrente "era divenuta titolare di una posizione giuridica con valenza di diritto soggettivo perfetto, che nel caso in oggetto non degrada ad interesse legittimo. I motivi che hanno spinto la P.A. a revocare il contributo, sono legati al fatto che il ricorrente non fosse in possesso dei requisiti necessari richiesti dalla legge".

Il Comune eccepisce anche il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che la propria determinazione "è un atto vincolato e consequenziale della determinazione dirigenziale regionale 13.02.2004 n. 22".

6. Con ordinanza n. 733/i/2004, questo TAR ha ordinato alla Regione Piemonte di "fornire chiarimenti, anche relativamente allo stato delle indagini, in merito all’inchiesta giudiziaria tendente ad accertare la veridicità dei danni lamentati e dichiarati a causa delle alluvioni del novembre 1994 ed ottobre 2000 dalla ditta PREA, di cui si fa menzione nelle premesse dell’impugnato provvedimento".

La Regione ha ottemperato depositando in giudizio copia della richiesta di rinvio a giudizio emessa, in data 21 giugno 2004, dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torino nei confronti – tra gli altri – di A. Tocci, quale "amministratore di fatto" della PREA s.r.l., e di S.T., quale amministratore unico della PREA s.r.l., per avere essi presentato domanda di contributi a fondo perduto nonostante che la predetta società non fosse stata danneggiata dall’evento alluvionale dell’ottobre 2000 e per aver, altresì, chiesto "il risarcimento di somme non corrispondenti ai danni subiti". Il reato ipotizzato era quello ex art. 640bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche).

7. Alla camera di consiglio del 20 ottobre 2004 la società ricorrente ha rinunciato alla domanda di sospensiva.

8. In applicazione dell’art. 9, comma 2, della legge n. 205 del 2000, a seguito di avviso notificato a cura della Segreteria del TAR, in data 24 marzo 2010 la società ricorrente ha presentato nuova istanza di fissazione di udienza di discussione.

9. Con memoria depositata il 18 maggio 2010 la Regione Piemonte ha eccepito il "ne bis in idem" riferendo che, con riferimento all’ingiunzione di pagamento datata 5 maggio 2004, "la soc. ricorrente ha provveduto ad impugnare il medesimo atto dinanzi al Tribunale Civile di Torino il quale, con sentenza n. 7537 del 29.11.2007 (…) ha respinto tutte le domande di parte attrice". Avverso tale sentenza, in ogni caso, "pende appello" dinnanzi alla Corte d’Appello di Torino.

L’amministrazione, inoltre, riferisce che il legale rappresentante della società PREA (nonché il suo "amministratore di fatto") sono stati condannati, sia in primo grado che in appello, per il reato di truffa aggravata nei confronti della Regione Piemonte, "non essendo risultata detta impresa colpita e danneggiata né in occasione dell’evento alluvionale del 1994 né in quello del 2000".

9.1. Il Comune di Moncalieri, per parte sua, con memoria depositata il 29 maggio 2010, ha insistito in ordine all’eccezione di difetto di giurisdizione, richiamando un precedente di questa Sezione (TAR Piemonte, sez. II, nn. 3312 e 3313 del 2007).

10. Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Dopo aver ottenuto i contributi di cui al decretolegge n. 279 del 2000 (recante "Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonché a favore di zone colpite da calamità naturali"), convertito in legge n. 365 del 2000, in quanto soggetto vittima dell’alluvione dell’ottobre 2000, la società ricorrente si è vista revocare il beneficio dalla Regione Piemonte (nonché dal Comune di Moncalieri) con i provvedimenti in questa sede impugnati.

La revoca è stata disposta perché, in sostanza, secondo la Regione, non corrisponde affatto a verità che la società abbia subito danni dall’alluvione. La sede legale (situata in Mocalieri, corso Trieste n. 128) è risultata non essere stata colpita dall’esondazione; né potrebbero trovare ristoro i danni denunciati in Corso Trieste n.d.d. (dove si trova un locale multipiano), non essendo mai la società stata autorizzata ad occupare locali per la vendita diversi da quelli corrispondenti alla sede legale.

Resistono le amministrazioni intimate, le quali sollevano – anzitutto – l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

2. L’eccezione non è fondata.

Il Collegio ritiene di fare proprie, sul punto, le conclusioni rassegnate dalla prevalente (ed ormai costante) giurisprudenza amministrativa, in ordine al riparto di giurisdizione sulle controversie afferenti alla concessione di contributi pubblici. Come ha ribadito, anche di recente, il Consiglio di Stato, alla giurisdizione amministrativa appartengono quelle controversie che concernono provvedimenti, comunque denominati (revoca, decadenza), di ritiro del contributo, anche susseguenti all’erogazione, ove essi costituiscano manifestazione del potere di autotutela amministrativa. Viceversa, ogni altra fattispecie, concernente le modalità di utilizzazione del contributo e il rispetto degli impegni assunti, involge posizioni di diritto soggettivo relative alla conservazione del finanziamento, spettanti come tali alla giurisdizione ordinaria (fra le più recenti: Consiglio Stato, sez. V, nn. 884, 7316 e 7994 del 2010; sez. VI, n. 7596 del 2009).

Nel caso di specie, non è dubbio che si rientra nella prima delle due opzioni: la revoca dei contributi già erogati alla società ricorrente è stata, infatti, motivata in base all’originaria assenza, in capo alla beneficiaria, dei requisiti previsti dalla legge per ottenere la concessione.

Del resto, il provvedimento con il quale la competente autorità decide di rilasciare, o meno, le provvidenze de quibus si caratterizza per l’ampia valutazione tecnicodiscrezionale che l’amministrazione è chiamata a compiere. Contrariamente a quanto ritenuto dal precedente di questo TAR, segnalato dalla difesa comunale (sentt. nn. 3312 e 3313 del 2007), va infatti evidenziato che, in base alle norme che disciplinano specificamente questo tipo di contributo (artt. 4bis e 4 del decretolegge n. 279 del 2000, convertito in legge n. 365 del 2000; direttiva ministeriale del 30 gennaio 2001, par. n. 2), l’amministrazione deve anzitutto valutare la "gravità" dei danni riportati dal richiedente (art. 4, comma 4, della legge), in una con "la priorità per gli interventi di immediato ripristino" ed "il limite di danno rapportato al valore del bene" (così come richiesto dall’art. 3, comma 6, dell’ ordinanza ministeriale n. 3090 del 18 ottobre 2000, richiamata dall’art. 4bis, comma 2, del decretolegge n. 279 del 2000), dovendo quindi discrezionalmente stabilire non solo l’an ma anche il quantum da erogare, mantenendosi nell’ambito del tetto massimo prefissato dall’art. 4 del medesimo decretolegge.

Di conseguenza, non può ritenersi che nella fase procedimentale preordinata alla concessione del contributo l’amministrazione disponga di meri poteri di certazione circa condizioni predeterminate dalla legge: al contrario, l’indagine che essa è chiamata a compiere è senz’altro arricchita di profili tecnicodiscrezionali, attinenti sia all’an sia al quantum dell’erogazione, con conseguente radicamento della giurisdizione in capo al giudice amministrativo in base ai principi già elaborati dalla giurisprudenza della Corte regolatrice (cfr. Cassaz., sez. un., n. 18844 del 2004; Cons. Stato, sez. V, n. 1603 del 2008; TAR Piemonte, sez. II, n. 1679 del 2009 e n. 2706 del 2010).

3. La Regione Piemonte, nella memoria depositata il 18 maggio 2010, ha altresì eccepito la sopravvenienza della sentenza civile n. 7537, del 29 novembre 2007, emessa dal Tribunale ordinario di Torino, la quale si è pronunciata (in modo sfavorevole per la società ricorrente) sulla legittimità dell’atto di ingiunzione di pagamento (recante la data del 5 maggio 2004), impugnato anche in questo giudizio. Secondo la Regione, quella decisione determinerebbe un effetto di ne bis in idem, con conseguente inammissibilità dell’odierno gravame nella parte in cui è diretto avverso il medesimo atto.

L’eccezione va immediatamente esaminata, per esigenze logiche e sistematiche, posto che essa coinvolge – come si vedrà – anche l’aspetto della giurisdizione sull’atto di ingiunzione.

L’eccezione non è fondata. Non è dato conoscere se quella decisione resa dal Tribunale civile sia, o meno, passata in giudicato. In proposito, la Regione ha riferito che la sentenza è stata appellata dinnanzi alla Corte d’Appello di Torino, ma allo stato non si conosce l’esito del giudizio di impugnazione. Ne consegue che non può dirsi sussistente, nella specie, il requisito del giudicato, senza il quale non si può porre alcuna problematica di ne bis in idem (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 907 del 1994; TAR Abruzzo, L’Aquila, n. 618 del 2006).

In ogni caso, allorché con l’eccezione in esame la Regione abbia inteso denunciare una mera situazione di litispendenza (posto che la causa civile non risulta ancora decisa in via definitiva), si devono ribadire le seguenti considerazioni, già fatte proprie dalla giurisprudenza. Una situazione di "litispendenza" di fronte a Giudici appartenenti a diverse giurisdizioni – fermo comunque restando, eventualmente, lo strumento del conflitto positivo di giurisdizione sollevabile in ogni tempo, dalle parti interessate, dinnanzi alla Corte di cassazione, ex art. 362, comma 2, n. 1, c.p.c., una volta che la causa sia stata già decisa, nel merito, in primo grado – si risolve in base alle ordinarie regole di riparto di giurisdizione, in forza del principio sotteso alla regola della perpetuatio iurisdictionis, ossia facendo riferimento alla legge in vigore al momento della prima azione processuale, che segna in concreto la nascita della lite, laddove la successiva reiterazione dell’iniziativa non è idonea ad incardinare la cognizione di un giudice diverso sulla stessa domanda (cfr. Cassaz, sez. un., n. 1734 del 2002; TAR Campania, Napoli, sez. V, n. 13483 del 2003 e n. 9356 del 2004; TAR Toscana, sez. II, n. 669 del 2009).

Nel caso di specie, la regola di riparto di giurisdizione è da rinvenire nella norma di cui la Regione si è servita ai fini dell’ingiunzione, ossia l’art. 2 del r.d. n. 639 del 1910. In proposito, come affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni unite (che il Collegio condivide), rientra comunque nella giurisdizione del giudice amministrativo l’opposizione con cui l’interessato (ai sensi dell’art. 3 del citato r.d.) non contesti la legittimità del ricorso al procedimento di ingiunzione né denunci vizi del medesimo, ma contesti la revoca per essere – a suo dire – sussistenti i presupposti della concessione del contributo: in tal caso, infatti, è messo in discussione il momento autoritario del rapporto p.a.privato, in quanto si chiede di valutare la ricorrenza o meno dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento di ingiunzione, e cioè i vizi di legittimità del provvedimento amministrativo che ne costituisce la fonte genetica (così Cassaz., sez. un., n. 29529 del 2008). La giurisdizione, invece, è mantenuta nel giudice ordinario laddove sia contestata l’esperibilità dell’azione di recupero del credito, ovvero la legittimità dei singoli atti del relativo procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 279 del 1995). Non vi è dubbio che, nell’odierna impugnazione, oggetto di gravame è proprio la revoca dei contributi, rispetto alla quale l’atto di ingiunzione si presenta come strumentale (ed è stato, in quanto tale, impugnato dalla società ricorrente).

Dal che, anche per l’atto del 5 maggio 2004, discende la giurisdizione del giudice amministrativo, in una con la conferma della reiezione anche dell’eccezione di ne bis inidem, non spettando la controversia, sin dall’origine, al giudice ordinario.

4. Così risolte tutte le questioni di giurisdizione in ordine alla presente controversia, si deve affrontare l’ulteriore eccezione preliminare, sollevata dal Comune di Moncalieri, in ordine al presunto difetto di legittimazione passiva di tale amministrazione.

L’eccezione non è fondata.

Non può validamente sostenersi, come fa la resistente, che – nell’adottare il proprio atto di revoca dei contributi già erogati – il Comune costituisca una sorta di "strumento" della Regione, limitandosi esso a fare da "tramite" (come, peraltro, espressamente affermato dall’art. 1, comma 4, della direttiva ministeriale del 30 gennaio 2001) per la concessione dei benefici disposta dalla Regione: e che, per tale ragione, il Comune non avrebbe le vesti per partecipare al giudizio introdotto avverso la revoca dei contributi. Se è vero, infatti, che spetta alla Regione il governo complessivo del procedimento volto all’erogazione del contributo (ivi compresa, in particolar modo, l’istruttoria sulla ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge), è pur vero, però, che una parte del contributo viene concretamente erogato dal Comune (sia pure, eventualmente, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte della Regione, ai sensi dell’art. 2.2 della direttiva ministeriale 30 gennaio 2001) con uno specifico atto, in questo caso costituito dalla determinazione n. 125 del 9 febbraio 2001 del Comune di Moncalieri. E’ evidente, pertanto, che il procedimento volto alla revoca di tutti i contributi deve necessariamente passare attraverso un apposito atto di revoca adottato dalla medesima autorità (quindi, anche dal Comune) che aveva previamente rilasciato la parte dei contributi di propria competenza. Ed è, altresì, evidente che un’eventuale contestazione, in sede giurisdizionale, avverso la complessiva revoca dei contributi deve essere diretta avverso tutti gli atti che hanno, in concreto, determinato il ritorno delle risorse alla mano pubblica, ivi compreso l’atto di revoca emesso, in parte qua, dal Comune: pena, altrimenti, la formazione dell’effetto di inoppugnabilità limitatamente alla parte di contributo revocata e non contestata.

Ne deriva che è preciso onere, per colui che intende mantenere i contributi già erogati, coinvolgere in giudizio tutte le autorità amministrative che quei contributi hanno dapprima erogato e poi revocato, ivi compresa l’amministrazione comunale, la quale mantiene sicuramente l’interesse a non vedere rimessa in discussione la propria determinazione di revoca.

5. Nel merito, il ricorso non è comunque fondato.

5.1. Non può trovare accoglimento, anzitutto, il primo motivo di gravame, mediante il quale la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, essendo mancata la comunicazione di avvio del procedimento.

Deve notarsi, sul punto, che la partecipazione al procedimento da parte della società PREA si è sostanzialmente realizzata, allorché essa ha fatto presenti all’amministrazione le proprie argomentazioni con la memoria del 16 febbraio 2004 (doc. n. 8). E’ pur vero che quella memoria è stata inoltrata all’amministrazione in data successiva all’adozione dell’atto di revoca, ma è anche vero che, comunque, l’amministrazione le ha prese in considerazione allorché si è pronunciata nuovamente sulla fattispecie (determinazione del 1° aprile 2004, con la quale è stata confermata la revoca dei contributi). In sostanza, quindi, anche in considerazione di quanto appresso si dirà (par. n. 5.2), si ha la prova che, qualora l’interessata fosse stata messa in condizione di partecipare al procedimento conclusosi con l’atto di revoca, le sue argomentazioni difensive non sarebbero state accolte dall’amministrazione procedente e non avrebbero, quindi, potuto comportare un esito diverso del procedimento. In base all’art. 21octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, non può quindi addivenirsi all’annullamento dell’atto, nonostante la commessa violazione dell’art. 7 della medesima legge.

5.2. Ciò premesso, si può passare ora a sindacare gli ulteriori motivi di gravame, i quali tutti (ivi compreso quello di difetto di istruttoria) revocano in dubbio, nella sostanza, la ricostruzione dei fatti operata dalla Regione, contrapponendovi quella propria della società ricorrente: i danni si sarebbero effettivamente verificati sia con riferimento agli automezzi "posteggiati sui piazzali – di proprietà aziendale – immediatamente retrostanti l’area in cui è ubicata la sede legale", sia con riferimento agli altri beni mobili (ricambi, accessori, arredi, ecc.) di proprietà della società che erano stati depositati (come si dice nel ricorso) in locali di proprietà di terzi.

Sul punto è di assoluta rilevanza la sopravvenuta (in corso di causa) sentenza della Corte d’Appello di Torino, n. 3023 del 2008, con la quale i signori A. e S.T. (nella qualità, rispettivamente, di "amministratore di fatto" e di amministratore unico della società PREA) sono stati riconosciuti colpevoli del reato di truffa aggravata commesso ai danno della Regione Piemonte (costituitasi, in quel processo, come parte civile), proprio sulla base dell’assunto secondo il quale la società non aveva, in realtà, subìto alcun danno dall’alluvione dell’ottobre 2000.

Così si è espressa la Corte d’Appello: "l’esame della documentazione planimetrica in atti (…) conferma che l’area utilizzata da Prea, sita al civico 128 di corso Trieste, pur trovandosi più vicina al torrente Sangone, è posta a quota 224,0 ed è quindi sopraelevata sia rispetto al corso d’acqua, sia rispetto alle aree in cui operavano le altre imprese del gruppo Tocci; inoltre il fabbricato in cui aveva sede la Prea non risulta avere (a differenza di quello di Autovallere) vani interrati. // E ancora la prima delle fotografie allegate alla relazione (…) redatta in data 6.11.2000 dall’ing. Roberto Soave, nell’interesse della Toro Assicurazioni, attesta che il piazzale utilizzato da Prea, nell’ottobre 2000, non venne raggiunto dalle acque (…). Va poi ricordato che la polizia giudiziaria (…) ha verificato che, nella perizia relativa ai danni asseritamente subiti da impianti e beni appartenenti a Prea, compaiono una serie di beni indicati anche nelle perizie relative ad altre società e che nel bilancio della Prea, successivo all’asserito evento alluvionale, non vennero azzerate le voci relative ai cespiti indicati come distrutti nelle perizie" (pag. 103 s. della sentenza, doc. n. 11 della Regione). La sentenza ha anche riconosciuto la falsità della perizia giurata prodotta dalla società PREA in sede di domanda di contributi ("… producendo una falsa documentazione (…) costituita dalla perizia asseverata redatta dallo studio Cantamutto & Mazzotti, sulla base di dati e notizie non veritieri forniti dagli amministratori della società": pag. 102).

La sentenza della Corte d’Appello – come ha riferito la Regione, non smentita dalla ricorrente – è stata poi confermata dalla Corte di cassazione, sicché essa è ormai passata in giudicato ed è irrevocabile. Ricorrono, peraltro, tutte le condizioni di cui all’art. 654 c.p.p. affinché essa possa dispiegare efficacia di giudicato anche nel presente processo amministrativo, in quanto: a) essa può valere nei confronti sia della società ricorrente, sia della Regione Piemonte, posto che quest’ultima era costituita nel giudizio penale come parte civile; b) essa è stata resa a seguito di dibattimento; c) il riconoscimento dell’interesse legittimo fatto valere nel presente giudizio dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del processo penale, i quali sono stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione; d) non risultano sussistere limitazioni, poste dalla legge civile, alla prova della posizione soggettiva controversa.

In particolare, quanto al requisito sub c), va precisato che il fatto materiale determinante, sia per il giudizio penale che per quello odierno, è l’avvenuto riconoscimento della falsità della perizia Cantamutto & Mazzotti: una volta provato che questa ha falsamente attestato la produzione di danni a seguito dell’alluvione, risulta di conseguenza accertato che la società ricorrente non subì quei danni e che corrisponde al vero la versione dei fatti sostenuta dalla Regione Piemonte nel provvedimento di revoca dei contributi.

Ne consegue l’infondatezza delle ulteriori censure argomentate dalla ricorrente, non potendosi ravvisare, nella fattispecie, né una carenza di istruttoria, né un difetto di motivazione (nonostante i due provvedimenti favorevoli precedentemente rilasciati alla PREA), né alcuna violazione degli artt. 4 e 4bis del decretolegge n. 279 del 2000, convertito in legge n. 365 del 2000.

Ne consegue, altresì, la non fondatezza sia dell’ultimo motivo di gravame – volto contro il provvedimento di revoca disposto dal Comune di Moncalieri, non potendosi far valere alcuna illegittimità derivata – sia dei motivi aggiunti, proposti avverso l’atto di ingiunzione (anch’esso unicamente denunciato per illegittimità derivata).

6. Il ricorso ed i motivi aggiunti devono, pertanto, essere respinti.

Il Collegio rinviene, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

Respinge

il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *