T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 11-02-2011, n. 263 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La signora L.S. ha acquistato nel 1990 in comproprietà per quota di metà e poi nel 1992 l’altra metà di un piccolo appartamento composto da due vani, bagno, ripostiglio e terrazzino a loggia, situato al quinto piano di un edificio condominiale costruito nel 1961 sulla base di licenza edilizia n.566 del 1956 e variante n.599/1960.

La ricorrente, volendo vendere l’immobile, ha appreso, dal geometra incaricato di predisporre la relazione tecnica per la compravendita, che vi era una leggera difformità dello stato di fatto della casa rispetto al progetto approvato. E’ risultato infatti che, per effetto dello slittamento di un muro dell’edificio, le due stanze di abitazione hanno acquistato una maggiore profondità di 22 centimetri (ovvero 3,59 mq. in più), a scapito della collocazione della loggia, profonda cm.80 anziché, come previsto nel progetto, cm.140. La casa risultante dalla licenza edilizia avrebbe dovuto avere una superficie di quasi mq.38, mentre invece è stata realizzata una superficie superiore a 41 metri quadrati.

Pertanto l’interessata ha presentato al Comune di Firenze domanda di sanatoria edilizia.

Il Comune ha rilasciato il titolo edilizio ma, al tempo stesso, con ordinanze n.417/2008 e n.418/2008, ha applicato rispettivamente la sanzione pecuniaria ai sensi dell’art.139, comma 2, e dell’art.140 della L.R. n.1/2005 (euro 20.954 più euro 516) e la sanzione di tutela paesaggistica ex art.167, comma 4, del d.lgs. n.42/2004 e punto 3.5 dell’allegato H al regolamento edilizio (euro 10.993, per aver realizzato l’intervento senza la preventiva, corrispondente autorizzazione paesaggistica).

Avverso tali ordinanze e gli atti connessi la ricorrente è insorta deducendo:

1) contrarietà ai principi di legalità e tipicità delle sanzioni (art.1 della legge n.689/1981); incompetenza;

2) contrarietà al principio della predeterminazione ed identificabilità della fattispecie sanzionata; violazione di legge per applicazione retroattiva di sanzioni amministrative (art.1 della legge n.689/1981); falsa applicazione dell’art.9 bis, comma 2, del regolamento edilizio;

3) indebita ed erronea applicazione dell’art.167 del d.lgs. n.42/2004 (in relazione all’art.149, lettera a, del d.lgs. n.42/2004);

4) violazione dell’art.139, comma 2, della L.R. n.1/2005; eccesso di potere per difetto di istruttoria ed illogicità manifesta; difetto di motivazione; violazione o falsa applicazione dei criteri di liquidazione delle sanzioni previsti dalla deliberazione del Consiglio comunale n.70/474 del 2005;

5) eccesso di potere: illogicità dei criteri di liquidazione individuati dalla deliberazione consiliare n.70/474 del 2005, allegato G al regolamento edilizio;

6) eccesso di potere per illogicità dei criteri di liquidazione del valore dell’immobile quali individuati dalla deliberazione consiliare n.70/474 del 2005, allegato G al regolamento edilizio; violazione dell’art.167, comma 5, del d.lgs. n.42/2004; eccesso di potere per contraddittorietà o falsa applicazione della deliberazione di determinazione dei criteri di liquidazione della sanzione;

7) falsa applicazione di legge: omessa applicazione dell’art.63 del regolamento edilizio.

Si è costituito in giudizio il Comune di Firenze.

In pendenza del gravame l’amministrazione si è pronunciata sulla richiesta della signora S. di correggere l’importo della sanzione addebitatale per mancanza della preventiva autorizzazione paesaggistica: il Comune, con ordinanza n.1034 del 24/10/2008, a parziale rettifica dell’ordinanza n.418/08, ha precisato che la sanzione applicata si fonda sul punto 3.3, e non sul punto 3.5, dell’allegato H del regolamento edilizio, in quanto le opere eseguite contrastano con l’art.29 delle N.T.A., sottozona B1, confermando l’importo precedentemente irrogato.

Avverso la sopraggiunta determinazione l’esponente è insorta con motivi aggiunti di gravame incentrati sulle seguenti doglianze:

8) violazione dell’art.10 bis della legge n.241/1990;

9) violazione dell’art.3 della legge n.241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria; illogicità manifesta;

10) falsa applicazione dell’art.29 delle N.T.A. del piano regolatore generale;

11) illegittimità derivata dalla precedente ordinanza n.418/08 (per i vizi rilevati con la prima, seconda, terza, quinta, sesta e settima delle censure dedotte col ricorso principale).

Il Comune ha replicato con memoria difensiva.

All’udienza del 16 dicembre 2010 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

Con la prima censura la ricorrente deduce che il contestato regolamento edilizio, nel disciplinare la sanatoria giurisprudenziale, ha istituito una sanzione amministrativa non prevista dal legislatore, in contrasto con i principi di legalità e tipicità delle sanzioni; la stessa osserva al riguardo che la sanatoria giurisprudenziale non è un condono edilizio, ma un’attestazione di non contrasto con i valori attualmente tutelati, alla quale non è riconducibile alcuna sanzione prevista per legge.

Il rilievo è infondato.

L’art.13 della legge n.47/1985, l’art.36 del D.P.R. n.380/2001 e l’art.140 della L.R. n.1/2005 abilitano al rilascio della concessione edilizia in sanatoria quando l’intervento è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

Secondo l’ormai costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, in presenza del chiaro disposto legislativo non trova spazio la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, che ricorrerebbe allorquando la conformità dell’opera abusiva sussista rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del rilascio del titolo sanante, ma non anche rispetto a quella del tempo in cui l’opera è stata realizzata; quest’ultimo istituto, infatti, elaborato dalla giurisprudenza quando era in vigore la legge n.10/1977, in mancanza di una regolamentazione legislativa della sanatoria degli interventi abusivi, non ha più ragione di esistere nel vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina puntuale ed esaustiva delle ipotesi di condono e sanatoria edilizia (Cons.Stato, IV, 26/4/2006, n.2306; TAR Lombardia, Milano, II, 2/5/1989, n.193; TAR Lombardia, Brescia, 23/6/2003, n.873; TAR Toscana, III, 15/4/2002, n.724; si veda anche Cons.Stato, IV, ordinanza cautelare, 6/11/2010, n.5046).

Nel caso di specie, tuttavia, il Comune di Firenze, con l’art.9 bis del regolamento edilizio, ha aderito all’orientamento minoritario che riconosce l’istituto in questione sulla base dell’art.97 della Costituzione (sull’assunto che sarebbe contrario al buon andamento demolire un’opera che può essere nuovamente assentita sulla base della differente disciplina urbanistica attualmente in vigore: Cass.pen., III, 26/11/2003, n.291).

Tuttavia, concedere la sanatoria in questione senza applicare alcuna sanzione amministrativa significherebbe creare una disparità di trattamento rispetto a chi ottiene la sanatoria, ai sensi dell’art.13 della legge n.47/1985, e a chi, in caso di difformità parziale dalla concessione edilizia, conserva l’opera abusiva per impossibilità della demolizione ex art.139, comma 2, della L.R. n.1/2005.

Invero le opere abusive conformi sia alla disciplina urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’intervento, sia a quella vigente al momento del rilascio del titolo sanante, e quindi rientranti nella sanatoria ordinaria, sono connotate da un minor disvalore rispetto a quelle assentibili con la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce che è indimostrata la difformità dalla normativa urbanistico edilizia vigente al momento della costruzione; aggiunge che le contestate ordinanze applicano sanzioni previste da leggi per illeciti relativi ai permessi di costruire propri del nuovo regime giuridico, e non per difformità relative alle vecchie licenze edilizie e conclude che, poiché le normative vigenti al momento della costruzione non prevedevano sanzioni del tipo di quelle impugnate, nel caso di specie il Comune avrebbe violato il principio di irretroattività di cui all’art.1 della legge n.689/1981.

L’assunto non è condivisibile.

L’istanza presentata dalla deducente (documento n.7 depositato in giudizio) non reca alcuna indicazione in ordine alla conformità dell’intervento rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della costruzione, né sotto forma di allegazione, né sotto forma di attestazione del tecnico incaricato; inoltre, nessuna specificazione di tale conformità risulta formulata con il ricorso.

Ne deriva che non risultano sussistere i presupposti della cosiddetta doppia conformità, propri della sanatoria ex art.140 della L.R. n.1/2005.

L’abuso edilizio in questione è stato portato a conoscenza del Comune, con la suddetta istanza, solo nel marzo 2008, cosicchè quest’ultimo ha dovuto applicare le sanzioni previste dalla L.R.n.1/2005, e cioè vigenti al momento della scelta tra sanzione demolitoria e sanzione pecuniaria, trattandosi di illecito permanente.

Con il terzo motivo l’esponente deduce che la sanzione prevista dall’art.167, comma 5, del d.lgs. n.42/2004 non è applicabile alle modifiche che non alterano l’aspetto esteriore degli edifici, e quindi non sottoposte ad autorizzazione paesaggistica.

La doglianza non può essere accolta.

L’intervento in questione, seppur modesto e interno ad una terrazza a loggia, è visibile all’esterno e richiede quindi l’autorizzazione paesaggistica. Non risulta infatti, dalla documentazione fotografica depositata in giudizio, che la parete interessata dall’abuso edilizio sia visibile soltanto da affacci dell’edificio, come avviene per i chiostri e i cortili circondati da mura condominiali, esentati dall’autorizzazione paesaggistica in forza della deliberazione consiliare n.70 del 2005 (punto 2, ultimo comma).

Il quarto e quinto rilievo possono essere trattati congiuntamente, costituendo profili diversi di una stessa censura; con essi l’istante osserva che l’Ufficio tecnico ha fatto un’applicazione meccanica e immotivata dei criteri di calcolo stabiliti con deliberazione consiliare n.74 del 2005, applicando valori massimi di mercato in violazione dell’art.139, comma 2, della L.R. n.1/2005; aggiunge che il Comune ha assunto a parametri di stima, con detta deliberazione, i valori indicati dall’Agenzia del Territorio, non riferibili però alle difformità edilizie; la deducente conclude la censura lamentando la sproporzione della sanzione, essendo stati applicati i valori di mercato dell’Osservatorio Immobiliare nella misura massima, in violazione dell’art.139, comma 2, della L.R. n.1/2005.

Le doglianze sono condivisibili nel senso appresso indicato.

L’art.139, comma 2, della L.R. n.1/2005 stabilisce, in caso di parziale difformità dal permesso di costruire, una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione dell’abuso edilizio.

Nel caso di specie l’amministrazione ha considerato il massimo aumento possibile del valore di mercato relativo alla zona e alla tipologia di riferimento, calcolato sulla base della differenza tra il prezzo massimo attuale di stima a metro quadrato e il prezzo minimo precedente all’abuso (si vedano i prospetti allegati all’ordinanza n.418 del 7/5/2008, costituente il documento n.2 depositato in giudizio), stabilendo così un apprezzamento dell’immobile nella misura massima possibile, senza alcuna motivazione o specifica attività istruttoria riferita all’unità abitativa in questione.

L’indiscriminata applicazione del valore massimo, o comunque di un valore superiore al valore medio di mercato, non trova riscontro nel citato art.139, il quale può giustificare prezzi di stima vicini a quelli massimi sulla base di accertate particolarità o caratteristiche di pregio dell’immobile, caratteristiche che non emergono né dall’istruttoria condotta dal Comune, né dai documenti depositati in giudizio (tra i quali la documentazione fotografica dell’esterno dell’immobile).

Ne discende l’illegittimità dell’ordinanza n.417/2008 (documento n.1), dell’allegato G del regolamento edilizio (documento n.5 depositato in giudizio) e della relativa relazione tecnica illustrativa (documento n.3), laddove prevedono in via generale e indifferenziata la stima sulla base di valori attuali massimi e valori iniziali minimi.

Priva di pregio è invece la parte delle censure in esame tesa a contestare la validità dei valori applicati in quanto coincidenti con quelli utilizzati dall’Agenzia del Territorio.

La fonte dei prezzi assunti a riferimento per il calcolo della sanzione proviene dall’Osservatorio del mercato immobiliare, il quale identifica, sulla base delle operazioni di compravendita concluse nel periodo di riferimento, la stima per fasce di prezzo a metro quadrato distinte per zona e tipologia di edificio.

Orbene, appare logico e coerente con l’art.139, comma 2, della L.R.n.1/2005 (laddove impone di considerare l’incremento di valore venale dell’immobile) prendere a parametro base di raffronto gli intervalli di prezzo stabiliti da tale ente, trattandosi di soggetto istituzionalmente preposto a raccogliere ed elaborare le informazioni tecnico economiche relative ai valori immobiliari.

Con la sesta censura la ricorrente lamenta che, non sussistendo incompatibilità paesaggistica e danno ambientale per ammissione stessa del Comune, è stato applicato in modo non corretto l’art.3.5 dell’allegato H del regolamento edilizio, richiamato nella gravata ordinanza n.418/08.

Il rilievo è fondato.

Con la suddetta ordinanza l’amministrazione dà atto che la commissione comunale per il paesaggio ha giudicato l’opera de qua coerente con la disciplina paesaggistica, premette che trova applicazione la sanzione prevista dall’allegato H del vigente regolamento edilizio (riguardante gli interventi eseguiti senza previa autorizzazione ma compatibili col vincolo paesaggistico) e tuttavia applica una sanzione superiore a quella ivi prevista (euro 10.993 anziché euro 1.033).

Con il settimo motivo l’istante deduce la violazione dell’art.63 del regolamento edilizio, in quanto le contestate sanzioni si basano sul calcolo di una superficie che non tiene conto del criterio di tolleranza stabilito nella norma.

La doglianza è infondata.

La prescrizione di una percentuale di tolleranza, entro la quale la difformità progettuale è scusabile e non dà luogo ad abuso edilizio, costituisce una cautela riguardante i frequenti casi di costruzione non pienamente coincidente con il dato progettuale a causa di modesti sfasamenti nella realizzazione dell’opera.

L’incremento di superficie maggiore di quello ammesso come limite di tolleranza non realizza un’ipotesi fisiologica di imperfetta osservanza della perimetrazione progettuale, ma oltrepassa la soglia di esiguità entro la quale l’opera, pur difforme, è ritenuta lecita.

Orbene, il superamento di tale soglia connota l’opera come abusiva nella sua interezza, e non nella sola parte eccedente il limite di tolleranza, in quanto essa, presa nel suo insieme, non può qualificarsi come oggettivamente esigua e priva di offensività rispetto all’interesse pubblico tutelato.

Pertanto il ricorso principale è fondato in relazione alla quarta, quinta e sesta doglianza, nei sensi sopra esposti.

I motivi aggiunti hanno ad oggetto il sopravvenuto provvedimento con cui il Comune, nel confermare l’importo già determinato, ha precisato, a rettifica della sopra citata ordinanza n.418/08, che la sanzione pecuniaria ex art.167 del d.lgs. n.42/2004 è disciplinata, per il caso di specie, dal punto 3.3., anziché dal punto 3.5 dell’allegato H del regolamento edilizio precedentemente richiamato, in quanto le opere eseguite contrastano con l’art.29 delle N.T.A., sottozona B1.

Per ragioni di priorità logica il Collegio ritiene di soffermarsi sulla seconda censura aggiunta, con la quale la deducente osserva che il Comune ha spostato la sanzionata difformità dalla classe degli interventi compatibili con il profilo ambientale e paesaggistico alla classe delle opere incompatibili ma non dannose per il paesaggio, senza compiere una valutazione circa la consistenza e la natura dell’intervento e fornendo l’unico argomento del rilevato contrasto con l’art.29 delle N.T.A., sottozona B1, che però non regolamenta gli aspetti paesaggistici, con conseguente illogicità dell’azione amministrativa, nonché difetto di motivazione e di istruttoria.

Il rilievo è fondato.

Il Comune, con l’impugnata ordinanza n.1034 del 24/10/2008, motiva l’applicazione del punto 3.3 dell’allegato H del regolamento edilizio, relativo agli interventi incompatibili con la disciplina ambientale, adducendo la non conformità all’art.29 delle N.T.A., sottozona B1, il quale disciplina gli interventi edilizi nelle sottozone sature.

Quest’ultima disposizione, tuttavia, riguarda l’aspetto urbanistico, e non quello paesaggistico, cosicchè il richiamo alla stessa non può fondare alcun giudizio di incompatibilità ambientale: nessun legame risulta possibile tra il punto 3.3 dell’allegato H, in dichiarata applicazione del quale si pone la gravata ordinanza, e l’art.29 delle N.T.A..

Anche l’art.167 del d.lgs. n.42/2004, al quale pure si richiama la contestata ordinanza, impone una verifica di compatibilità paesaggistica, e non di compatibilità urbanistica ed edilizia.

In conclusione, il ricorso principale va in parte accolto relativamente alla domanda di annullamento (in relazione alle impugnate ordinanze e, in parte qua, all’allegato G costituente il regolamento di applicazione delle sanzioni), nei sensi sopra esposti, e in parte respinto (quanto all’art.9 bis del regolamento edilizio); i motivi aggiunti devono essere accolti in relazione alla domanda di annullamento e ai fini del riesame, restando assorbite le censure non esaminate. Non può invece allo stato trovare accoglimento la richiesta di condanna a restituire le somme pagate, in quanto la restituzione della parte eventualmente eccedente quella dovuta è subordinata alla rideterminazione del Comune, il quale è chiamato a ripetere l’istruttoria e a concludere il procedimento celermente e in conformità alle considerazioni espresse dal Collegio.

Le spese giudiziali, inclusi gli onorari difensivi, sono determinate in euro 2.000 (duemila) oltre IVA e CPA, da porre a carico del Comune resistente.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, definitivamente pronunciando, dispone quanto appresso:

quanto alla domanda di annullamento introdotta col ricorso principale, in parte la accoglie (relativamente alle impugnate ordinanze e all’allegato G del regolamento comunale laddove fa riferimento ai valori di mercato iniziale minimo e attuale massimo) e in parte la respinge (relativamente all’art.9 bis del regolamento edilizio);

accoglie la domanda di annullamento introdotta con i motivi aggiunti;

respinge la richiesta di condanna alla immediata restituzione delle somme pagate.

Per l’effetto annulla, ai fini del riesame, le impugnate ordinanze; annulla altresì, in parte qua, l’allegato G del regolamento edilizio, nei sensi di cui in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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