Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 18-02-2011, n. 6160 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22.1.10 la Corte di Appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’incidente di esecuzione proposto da R.S., concernente una pretesa erronea applicazione della norma di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, con riferimento a due sentenze poste in continuazione, come da provvedimento di cumulo adottato dal P.G. di Napoli, sentenze entrambe emesse dalla Corte di Appello di Napoli, di cui la prima il 26.11.08, irrevocabile il 11 aprile 2009; la seconda il 4.12.01, irrevocabile il 18 febbraio 2002, sentenze entrambe aventi ad oggetto la condanna del R. per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., reato ritenuto in entrambi i processi con condotta perdurante e quindi cessato, quanto al secondo processo, alla data di emissione della sentenza di primo grado e cioè al 27.3.2001. 2. Per il reato giudicato con la seconda sentenza, di cui sopra, il R. aveva subito una custodia cautelare che risultava superiore alla pena inflittagli per tale reato in continuazione, ex art. 81 c.p., a seguito di determinazione della pena effettuata dalla prima sentenza, sopra citata, la quale aveva appunto riconosciuto la continuazione con i fatti giudicati con la seconda sentenza sopra citata, ponendo a base del calcolo della pena quella infittagli con tale ultima sentenza, avendo ritenuto il fatto dalla medesima giudicato come più grave. Il condannato ha chiesto pertanto che la custodia cautelare da lui patita "in eccesso" in relazione al fatto giudicato con la seconda sentenza di cui sopra fosse imputata, come presofferto, alla pena complessivamente inflittagli. Secondo l’ordinanza impugnata invece nella specie era stato correttamente applicato il principio di diritto, secondo il quale anche in caso di riconoscimento della continuazione doveva essere computata solo la custodia cautelare subita, ovvero le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale doveva essere determinata la pena da eseguire.

3. Avverso detta ordinanza della Corte di Appello di Napoli propone ricorso per cassazione R.S. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto violazione di legge e motivazione illogica.

Ha fatto presente che le due sentenze di condanna di cui sopra, indicate sub 1) e sub 2), concernevano due procedimenti penali, entrambi con condotta perdurante, relativi ad un identico reato di associazione camorristica; e sia nella prima che nella seconda sentenza si era trattato del medesimo reato, sì che nella specie la questione non concerneva l’applicazione della norma di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, in quanto non si era in presenza di due distinti reati di associazione camorristica unificati dal vincolo della continuazione, bensì di un unico reato associativo, avente ad oggetto i medesimi fatti, atteso che, nella vigenza del reato più remoto, prima ancora che la relativa sentenza passasse in cosa giudicata formale o sostanziale, era iniziata l’operatività del secondo reato associativo contestatogli, la cui pendenza era stata ritenuta coeva rispetto al primo reato associativo; pertanto il tutto non poteva ricondursi all’applicazione della norma relativa alla fungibilità della pena, dovendosi quest’ultima ritenersi esclusa proprio in virtù di quanto aveva ritenuto la seconda sentenza della Corte d’Appello nell’applicare l’istituto della continuazione, avendo essa ritenuto di erogare la pena complessiva di anni 8 e mesi 2 di reclusione, in tal modo statuendo che non si era trattato di un nuovo reato successivo all’esecuzione del primo, ma di un unico reato commesso senza soluzione di continuità e ciò nonostante che esso fosse stato accertato con due distinti procedimenti giudiziari, si che non avrebbe dovuto procedersi alla determinazione del cumulo, così come disposto dal P.G., in quanto la pena avrebbero dovuto essere computata come un’unica pena complessiva.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da R.S. è fondato, anche se per ragioni in larga parte diverse da quelle dedotte.

2. E’ principio consolidato che la sentenza di condanna per un reato associativo interrompe giuridicamente la permanenza del medesimo, sicchè il successivo tratto di condotta partecipativa può essere valutato solo a titolo di continuazione con quello oggetto della precedente condanna (cfr. Cass. 1, n. 15133 del 3.3.2009, rv.

243789).

3. E’ tuttavia noto che, in materia di esecuzione di pene detentive, in caso di condanna per un reato associativo contestato, come nel caso in esame, senza l’indicazione della data di ritenuta cessazione della condotta criminosa, l’esclusione del computo del periodo di pena espiata inutilmente per altro reato non deve prescindere, qualora la sentenza di condanna di primo grado per il reato associativo sia successiva al periodo di detenzione subito in relazione all’altro reato, dalla verifica circa la sussistenza della prova dell’effettiva permanenza della condotta fino alla data di pronuncia della sentenza, non potendosi presumere, in forza della regola giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di contestazione "aperta" del fatto associativo, è possibile affermare la penale responsabilità dell’imputato anche con riferimento ad un periodo successivo alla data di accertamento, che il momento consumativo della condotta criminosa coincida con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (cf., in termini, Cass. 1, 22.3.07 n. 20238, rv. 236664; Cass. 5, 15.5.07 n. 25578, rv. 237707).

4. Applicando tali principi giurisprudenziali alla specie in esame, si rileva come i due reati giudicati dalla Corte d’Appello di Napoli con le due sentenze descritte in narrativa sembrano avere ad oggetto lo stesso comportamento e cioè la partecipazione ad una medesima associazione criminosa di stampo camorristico (art. 416 bis c.p.), contestata in entrambi i casi con condotta perdurante, la seconda accertata con sentenza di primo grado emessa il 27 marzo 2001; la prima riferita ad un periodo apparentemente in parte precedente, siccome decorrente dal febbraio del 2001; e tali partecipazioni risultano essere state collegate fra di loro col vincolo della continuazione.

5. Tanto premesso, va rilevato che, ai fini della valutazione dell’anteriorità delle condotte rispetto alla custodia cautelare sofferta e risultante ex post senza titolo, non è sufficiente far riferimento alle contestazioni formulate in forma "aperta"; occorre invece verifica re, sulla base delle motivazioni addotte dalle due sentenze sopra indicate, la durata, in concreto, delle condotte accertate ed alle quali si sono riferiti i due giudicati di condanna, sopra indicati, ritenendo il Collegio di aderire ai principi affermati da questa Corte sia con la sentenza in precedenza citata (Cass. 1, 3.3.2009 n. 15133 rv. 243789), sia con la sentenza della 1, 12.6.2008 n. 25735, rv. 240475. 6. Da quanto sopra consegue l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio degli atti alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione affinchè, in piena autonomia di giudizio, esamini nuovamente l’incidente proposto da R.S., tenendo presenti i principi di diritto sopra richiamati, al fine di valutare la fungibilità del presofferto.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame ala Corte d’Appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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