Cons. Stato Sez. V, Sent., 14-02-2011, n. 943 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 582/2005 il Tar per la Puglia ha accolto il ricorso proposto da N.D.T., n.q. di legale rappresentante della D&D&C s.a.s., per l’annullamento di alcuni atti, adottati dal comune di Bisceglie per la rimozione di impianti pubblicitari e per il risarcimento del danno.

Il comune di Bisceglie ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

N.D.T. si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso e proponendo appello incidentale.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. In via preliminare, si rileva che non sussistono i presupposti per disporre l’interruzione del processo, in quanto lo scioglimento della s.a.s. ricorrente in primo grado e la sua cancellazione dal registro delle imprese non interegra i presupposti per l’interruzione, di cui all’art. 79, coma 2, cod. proc. amm., che rinvia alle disposizioni del c.p.c..

Infatti, la liquidazione di una società non comporta la sua estinzione, né fa venir meno la sua rappresentanza in giudizio, che è determinata invece soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti, che alla stessa facevano capo, e dalla definizione di tutte le controversie in corso con i terzi. Ne deriva che una società costituita in giudizio non perde la legittimazione processuale e che la rappresentanza sostanziale e processuale della stessa permane, per i rapporti rimasti in sospeso e non definiti, nei medesimi organi che la rappresentavano prima del disposto procedimento di liquidazione, restando esclusa l’interruzione dei processi pendenti (Cassazione civile, sez. III, 15 febbraio 2006, n. 3279).

3. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione da parte della ricorrente di primo grado di una serie di atti adottati dal comune di Bisceglie al fine di annullare d’ufficio alcune autorizzazioni rilasciate per l’installazione di impianti pubblicitari e rimuovere gli impianti stessi.

Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, rilevando che:

a) la mancanza del piano comunale degli impianti pubblicitari, previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 507/93, non è motivo idoneo a sorreggere il potere di annullamento in autotutela di autorizzazioni già rilasciate;

b) il potere di annullamento in autotutela presuppone la valutazione dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto che si assume illegittimo, nonché il raffronto tra l’interesse pubblico e l’interesse privato contrapposto (valutazioni mancanti nel caso di specie);

c) gli impianti in questione non potevano ritenersi privi di autorizzazione, essendo stata presentata istanza di rinnovo, non decisa dall’amministrazione e da ritenersi tacitamente assentita;

d) sussistono i presupposti per condannare il comune al risarcimento dei danni.

Il comune appellante ha in primo luogo sostenuto che la società ricorrente aveva in realtà installato solo quattro degli otto impianti autorizzati; i restanti quattro impianti non erano, invece, stati installati né entro l’anno dal rilascio dell’autorizzazione, né nel successivo triennio di durata dell’autorizzazione stessa.

Per questi quattro impianti si tratterebbe di una autorizzazione decaduta, e non scaduta.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte privo di fondamento.

L’inammissibilità deriva dal fatto che si tratta di una argomentazione nuova, non presente nella motivazione degli atti impugnati e, come tale, inidonea a dimostrare la legittimità degli stessi, oltre che inammissibile in sede di appello.

Peraltro, il comune ha annullato in autotutela la precedente autorizzazione, che ha quindi considerato valida, perché altrimenti avrebbe dovuto limitarsi, per i quattro impianti, ad accertare l’avvenuta decadenza dell’autorizzazione.

4. Chiarito tale profilo, i motivi di ricorso, concernenti l’annullamento d’ufficio anche degli altri impianti installati, sono pure privi di fondamento.

Il richiamo da parte del Comune della sentenza della Corte Costituzionale n. 355/2002 poteva essere utile se si fosse trattato di autorizzare per la prima volta gli impianti, mentre nel caso di specie si era in presenza di impianti già autorizzati e i principi affermati dalla Consulta (legittimità della disciplina che condiziona il rilascio delle autorizzazione all’approvazione del piano generale degli impianti) potevano al più costituire un elemento di valutazione nell’ambito dell’esercizio dei poteri di autotutela, il cui presupposto non è unicamente l’eventuale illegittimità dei provvedimenti da annullare d’ufficio.

Nel caso di specie, il Comune ha annullato d’ufficio le autorizzazione senza valutare in alcun modo l’affidamento riposto dal privato nei titoli abilitativi e la sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione di atti, la cui eventuale illegittimità sarebbe stata comunque connessa ad un ritardo della stessa p.a. ad adottare il presupposto piano generale degli impianti.

Deve, quindi, essere confermata l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’illegittimità dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte del comune, senza che possa assumere rilievo la questione della decadenza dell’autorizzazione per alcuni impianti per le ragioni, anche processuali, indicate in precedenza.

Le considerazioni svolte dal Comune appellante in relazione alla data di adozione delle misure cautelari da parte del Tar, posteriore rispetto alla scadenza delle autorizzazioni, sono del tutto irrilevanti, in quanto l’ordinanza cautelare andava comunque eseguita e ogni questione avrebbe dovuto essere fatta valere in sede di appello cautelare (peraltro, le autorizzazioni sono state annullate prima ancora della loro scadenza e l’illegittimità di tale atto non può che ripercuotersi su quanto successivamente avvenuto).

5. Premesso che il ricorso in appello non contesta la statuizione con cui il Tar ha ritenuto illegittimo anche l’ordine di rimozione degli impianti (limitandosi l’appellante ad alcune considerazioni sulla competenza del comune a procedere alla rimozione), si osserva che la questione del mancato rinnovo delle autorizzazioni risulta in parte definita in altro giudizio proposto dalla stessa società ricorrente in primo grado avverso il silenzio formatosi sulla domanda di rinnovo.

Tale ricorso è stato respinto dal Tar con sentenza n. 3471/2004. confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 1535/2006, con cui il giudice di appello ha anche affermato che la mancanza del piano precludeva il rinnovo.

La motivazione dell’impugnata sentenza deve, quindi, essere corretta nella parte in cui è affermata la formazione di un tacito assenso sulla domanda di rinnovo.

6. La precedente statuizione non ha tuttavia un effetto risolutivo con riguardo alla domanda di risarcimento del danno, accolta dal Tar, in quanto il comune aveva deliberato la permanenza in via transitoria – fino alla approvazione del piano generale – degli impianti pubblicitari già autorizzati e la continuità delle affissioni dei privati (delibera G.M. 158 del 24.7.2003).

Pertanto, anche a prescindere dall’accoglimento dell’istanza di rinnovo, al pari di ogni altro impianto autorizzato, anche quelli della società ricorrente dovevano essere inclusi nella prosecuzione transitoria fino all’approvazione del piano, poi avvenuta il

Tali impianti non sono stati, invece, considerati dal Comune perché annullati prima di tale delibera, quando le autorizzazioni non erano ancora venute a scadenza e tale elemento è sufficiente per ritenere che l’illegittimità del disposto annullamento d’ufficio non può che riverberarsi sull’illegittimità della pretesa del comune di considerare tali impianti non autorizzati e, quindi, non ammessi alla prosecuzione (tale affermazione prescinde dalla necessità di accertare la data di scadenza delle autorizzazioni dei singoli impianti, su cui anche andrebbe comunque considerato l’effetto dell’annullamento dell’atto di autotutela).

7 Si può, quindi, passare ad esaminare il ricorso in appello nella parte relativa al risarcimento del danno.

Il giudice di primo grado ha disposto il risarcimento del danno, rilevando che a causa della rimozione autoritativa degli impianti pubblicitari, la D.& D. & C. s.a.s. ha subito danni sia in termini di danno emergente che di lucro cessante per l’interruzione dei contratti in corso, per l’impossibilità di far fronte agli impegni contrattuali già assunti a partire dal mese di giugno 2004, nonché per l’impossibilità di conseguire il reddito di impresa per il quale aveva affrontato notevoli investimenti.

Il Tar ha anche ritenuto non possibile la reintegrazione in forma specifica, atteso che la approvazione a far data dal 30.7.2004 del Piano Generale degli impianti, "comporta che la installazione dei cartelli pubblicitari dovrà conformarsi alle nuove prescrizioni".

Il risarcimento del danno per equivalente è stato disposto secondo i seguenti criteri:

a) spese di prelievo degli impianti dal deposito (comprensive di trasporto, noleggio autogrù, smontaggio e manodopera), pari a euro 4.380,00 giusto preventivo della ditta "Media Sistemi" s.r.l. del 25.6.2004;

b) spese per il rifacimento di pali danneggiati pari a euro 2.200,00 +IVA (preventivo della Media Sistemi del 25.6.2004);

c) spese di custodia degli impianti rimossi e depositati presso la ditta Ferrucci Giuseppe di Bisceglie pari a euro 10,00 + IVA al 20% per ogni giorno di deposito a partire dal 26.5.2004 fino al prelievo;

d) spese di installazione degli impianti pari a euro 7.000,00 (preventivo della Media Sistemi del 25.6.2004);

e) corrispettivo dei contratti risolti per un totale di euro 5.544,00;

f) perdita del fatturato mensile pari a euro 3.019,60;

g) importo di euro 2.604,53 pagato a titolo di imposta sulla pubblicità per il periodo luglio- dicembre 2004;

h) danno all’immagine, liquidato nella misura del 10% del fatturato annuale della ricorrente.

Il Comune appellante contesta in radice la sussistenza del danno, affermando che nessun danno può essere riconosciuto, in quanto la rimozione degli impianti pubblicitari costituisce atto dovuto e legittimo; tale censura cade ovviamente a seguito della conferma della illegittimità degli atti impugnati.

Il Comune passa poi a confutare nel dettaglio alcune delle voci di danno, riconosciute dal Tar.

Tale censura è solo parzialmente fondata.

In primo luogo, va evidenziato come a fronte dei documenti probatori prodotti in primo grado dalla ricorrente, il Comune si sia in parte limitato a contestarli, senza fornire una adeguata prova contraria e formulando richieste istruttorie non compatibili con il limite dell’acquisizione di prove in appello.

Tale prova contraria non può certamente essere costituita dalla mera constatazione che il preventivo, prodotto dalla ricorrente di primo grado e richiamato dal Tar, farebbe riferimento ad un importo superiore a quello di alcune voci di danno, riconosciute in sentenza; infatti, la ricorrente di primo grado potrebbe dolersi della riduzione di alcune voci, non potendo tale riduzione costituire indice dell’inattendibilità della quantificazione effettuata dal Tar.

Pertanto, l’impugnata sentenza va confermata con riferimento al danno riconosciuto sub a) in relazione alle spese di prelievo degli impianti dal deposito e sub b) con riguardo alle spese per il rifacimento di pali, trattandosi di spese documentate, che la ricorrente non avrebbe sostenuto in assenza dei provvedimenti annullati.

Nè può essere sostenuto che il giudice avrebbe dovuto ordinare all’amministrazione di provvedere alla riapposizone degli impianti, restando nella facoltà dell’amministrazione procedere ad ogni attività idonea a ridurre il danno causato e non dovendo certo la p.a. attendere un ordine del giudice, che nel caso concreto esulerebbe dalle domande proposte dalle parti.

Con riguardo alle spese di custodia degli impianti rimossi (sub c), l’importo di euro 10,00 + IVA al 20% per ogni giorno di deposito a partire dal 26.5.2004 va comunque riconosciuto fino all’effettivo prelievo, come disposto dal Tar, trattandosi anche in questo caso di una spesa direttamente conseguente dagli annullati provvedimenti e dalla illegittima rimozione degli impianti.

Non possono, invece, essere riconosciute le spese di installazione degli impianti pari a euro 7.000,00 (sub d), in quanto la tesi del Tar si fonda sulla quantificazione del risarcimento per equivalente in alternativa all’esecuzione in forma specifica del giudicato di annullamento e presuppone, quindi, che tale reinstallazione non sia una conseguenza del giudicato di annullamento, a nulla rilevando che il nuovo posizionamento degli impianti sia successivamente comunque avvenuto sulla base di sopravvenuti atti amministrativi (non essendo invocabile la continuità rispetto alle autorizzazioni annullate a causa del già richiamato giudicato sul silenzio serbato dalla p.a. sull’istanza di rinnovo).

Va confermata la voce di danno sub e), inerente il corrispettivo dei contratti risolti per un totale di euro 5.544,00, in quanto, in assenza dei provvedimenti annullati, l’impresa avrebbe percepito tale corrispettivo per ordinativi comunque relativi al 2004 e non incisi, se non per un non apprezzabile periodo temporale, dalla approvazione del Piano generale degli impianti del 30.7.2004, che entr comunque in vigore il 1 gennaio successivo, come chiarito oltre.

Deve, di conseguenza, essere esclusa la voce di danno sub f), relativa alla perdita del fatturato mensile pari a euro 3.019,60, trattandosi di una evidente duplicazione della voce precedentemente esaminata.

Per l’importo sub g) di euro 2.604,53 pagato a titolo di imposta sulla pubblicità per il periodo luglio- dicembre 2004, la condanna al risarcimento del danno va confermata, in quanto l’imposta sulla pubblicità è stata richiesta dal Comune e il limite del 30.7.2004, invocato dallo stesso comune, va valutato con riguardo all’effettiva entrata in vigore del nuovo piano degli impianti, fissata al 1 gennaio 2005 (ai sensi dell’art. 3, comma 4, d. lgs. n. 507/1993).

Non sono stati, infine, mossi rilievi dal comune appellante alla voce sub h), inerente il danno all’immagine liquidato nella misura del 10% del fatturato annuale della ricorrente.

8. In conclusione, il ricorso in appello va solo in parte accolto e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado deve essere in parte accolto, sulla base di una motivazione differente con riferimento alla questione del mancato rinnovo delle autorizzazioni e con le limitazioni del risarcimento del danno, indicate in precedenza.

Il ricorso in appello incidentale, proposto dalla N.D.T., deve essere dichiarato improcedibile, avendo quest’ultimo rappresentato di non avere più interesse alla decisione di tale profilo.

La reciproca soccombenza costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese del solo grado di appello.

Non sussistono, infine, i presupposti per procedere alla cancellazione di alcune frasi dagli atti difensivi, come chiesto dalla parte appellata, trattandosi di espressioni che non esorbitano dall’esercizio delle facoltà difensive.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso proposto in primo grado nei limiti indicati in parte motiva.

Dichiara improcedibile il ricorso in appello incidentale, proposto da N.D.T..

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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