T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 14-02-2011, n. 925 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente assume di essere proprietario dei locali in Casoria al vico II San Bendetto n. 4, siti al piano terra di un antico stabile (che risale al 1800 e sul quale non sarebbero state effettuate modifiche almeno sin dall’epoca dell’acquisto) giusta atto di acquisto a rogito notaio Di Zenzo del 25.7.1980.

Con l’atto gravato è stata ingiunta la demolizione di uno sgabuzzino con annesso soppalco ricavato da uno spazio intervallato dal pilone intermedio di una volta, per una superficie totale di 12,60 mq, ingiungendo l’eliminazione di un cancello in ferro a parziale chiusura di una arcata condominiale.

Il ricorso è affidato alle seguenti censure:

– eccesso di potere per travisamento e contraddittorietà vista la preesistenza dei volumi e delle opere contestate; in particolare lo sgabuzzino è contenuto all’interno di un perimetro murario esistente, non è chiuso da un cancello in ferro ma da una porta in ferro che da" sul cortile, i volumi esistevano e non vi è stata alcuna modifica di destinazione, il relativo regime autorizzatorio è la d.i.a. di cui all’art. 22 TU;

violazione artt. 31 e 37 TU, non trattandosi di nuova edificazione, ma di variazione minima rispetto al titolo, non incidendo sui parametri urbanistici e sulle volumetrie; la sanzione applicabile sarebbe solo quella pecuniaria ex art. 37 DPR 380/01. Non sarebbe stato valutato l’affidamento ingenerato, in ragione del notevole lasso di tempo trascorso tra la realizzazione della difformità ed il suo accertamento.

Il V. aggiunge di avere presentato istanza per DIA a sanatoria a febbraio 2010.

Si è costituto in giudizio il Comune intimato contestando la fondatezza della domanda. Si è costituita altresì la Regione Campania opponendosi all’accoglimento del gravame.

Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011 il ricorso è stato ritenuto in decisione.
Motivi della decisione

Si verte nel presente giudizio sulla legittimità dell’ordine di demolizione di un manufatto della superficie di circa 12 mq., realizzato a chiusura di uno spazio sito sotto l’arcata di un cortile condominiale,all’interno di un manufatto di vetusta realizzazione.

Il Collegio ritiene che le censure proposte, con le quali è stato dedotto difetto di istruttoria e di motivazione,debbano trovare accoglimento.

Al riguardo la giurisprudenza è concorde nell’affermare che l’ordine di demolizione non necessita di una specifica motivazione sulle ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, salvo che, per il lungo lasso di tempo trascorso, non si sia creata a favore del privato una situazione di fatto del tutto consolidata, per la cui modificazione l’autorità procedente è tenuta ad indicare le ragioni che, a distanza di tempo, giustificano l’adozione del provvedimento sanzionatorio (C.d.S., A.P., 19 maggio 1983, n. 12; Sez. II, 12 maggio 1999, n. 729; più di recente, Sez. V, 29 maggio 2006, n. 3270).

Nella specie, parte ricorrente invoca il principio dell’affidamento, facendo riferimento al lungo lasso di tempo decorso dalla realizzazione delle opere, come documentato dallo stato dei luoghi, nel quale il contestato manufatto non appare di recente realizzazione, e come attestato nella perizia giurata di parte allegata agli atti.

Mette conto evidenziare che, benché il decorso del tempo non sia elemento rilevante ai fini dell’estinzione del potere sanzionatorio dell’amministrazione in tema di illeciti edilizi, lo stesso può venire in rilievo unitamente ad altri fattori, che denotino indici positivi su cui possa fondarsi la buona fede del ricorrente.

Nella specie è stato rilevato come l’odierno ricorrente si è reso acquirente del cespite in questione nel lontano 1980, e che lo stabile è di vetusta realizzazione.

Se ne deduce che egli non era verosimilmente consapevole del contrasto delle opere eseguite rispetto alla licenza ottenuta: per l’effetto, è ipotizzabile in capo allo stesso la buona fede, o un affidamento meritevole di tutela.

In riferimento a tale circostanza, appare pertanto individuabile un obbligo del Comune di motivare con ragioni di interesse pubblico prevalenti, ulteriori rispetto al solo interesse al ripristino della legalità violata, il sacrificio di un tale affidamento.

La repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato(TAR Campania – Napoli IV – n. 1890 del 09/04/2010 – id. 1636/2010; Consiglio di Stato, Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883).

Discende pertanto dalla entità e tipologia dell’abuso, di minore rilievo, la necessità di motivare specificamente in ordine all’affidamento del privato.

Sotto tale aspetto, si presenta fondato anche l’ulteriore motivo, nel quale si denuncia il difetto di motivazione in ordine alla scelta della sanzione demolitoria.

Sul punto, non può essere obliterato che il d.p.r. 380/2001, referente normativo anche in materia di vigilanza e repressione degli abusi edilizi, sanziona, sul piano amministrativo, la condotta di realizzazione di manufatti edilizi in difformità dal titolo di legittimazione in una pluralità di disposizioni incriminatici (art. 27, 31, 32 comma 3, 33, 34, 35, 37), ciascuna delle quali corrispondente ad un’autonoma fattispecie di illecito, caratterizzata da propri presupposti.

In siffatto contesto, appare di evidenza intuitiva come l’obbligo di motivazione – normalmente attenuato nei casi di atti dovuti ed a contenuto vincolato – si riespanda, occorrendo, in aggiunta ad una descrizione materiale delle difformità contestate, una qualificazione giuridica dell’intervento abusivo, onde consentirne la sussunzione in una delle diverse, e tra loro alternative, fattispecie incriminatici, non potendo evidentemente siffatta operazione avvenire ex post, tanto più nel corso del giudizio ed ad opera di soggetti diversi dall’Amministrazione procedente.

Né può essere trascurata la circostanza che la normativa di settore contempla forme di reazione differenziate, calibrando la risposta sanzionatoria, per tipologia ed entità, in relazione alla gravità dell’abuso perpetrato cui si riconnette evidentemente una diversa gravità anche del danno arrecato agli interessi urbanistici tutelati.

Ne discende, anche sotto tale profilo, che il provvedimento repressivo deve consentire al suo destinatario di comprendere il tipo di abuso consumato e, dunque, le ragioni dell’opzione sanzionatoria concretamente privilegiata dall’Amministrazione.

A tal riguardo, vale osservare in estrema sintesi che il richiamato testo unico, prevede, in relazione alla gravità dell’abuso, tipi diversi di sanzioni: segnatamente, per le opere che comportano un maggiore impatto sull’assetto del territorio, cui si correla in via ordinaria l’obbligo di subordinare l’esecuzione dell’intervento alla disponibilità del permesso di costruire, il regime sanzionatorio si risolve tendenzialmente nell’applicazione della più grave misura ripristinatoria dello status quo ante.

Peraltro, a norma dell’art. 34 del d.p.r. 380/2001, nei casi di difformità parziale, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

Qualora, viceversa, si tratti di trasformazioni abusive del territorio di minore impatto, soggette al regime abilitativo della d.i.a., la reazione sanzionatoria prevista dall’ordinamento si esaurisce nell’applicazione di una sanzione pecuniaria.

A fronte della mancata qualificazione giuridica dei contestati illeciti, appare il vizio di difetto di motivazione, essendosi proceduto alla adozione di una tra le possibili reazioni alle difformità contestate,senza previa qualificazione e giustificazione di tali difformità alla stregua della normativa urbanistica generale e particolare vigente.

La domanda va conclusivamente accolta.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. Contributo a carico del ricorrente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,accoglie la domanda e per l’effetto:

a) annulla l’ordine di demolizione n.96/2009 per opere edili realizzate in vico II San Benedetto n.4;

b) compensa integralmente le spese di lite tra le parti. Contributo unificato a carico del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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