Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-11-2010) 18-02-2011, n. 6194 Aggravanti comuni aggravamento delle conseguenze del delitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di quella stessa città del 17 luglio 2008, che aveva dichiarato B.F. colpevole del reato di lesioni aggravate, ai sensi dell’art. 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2 in danno di D.F., che aveva colpito con un pugno procurandogli la frattura della mandibola, con conseguente invalidità temporanea durata oltre 40 giorni ed indebolimento permanente dell’organo della masticazione; e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia nonchè al risarcimento dei danni in favore della persona offesa costituitasi parte civile.

Avverso la pronuncia anzidetta il difensore ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ai motivi alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo del ricorso deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 192, 507 e 599 c.p.p. per erronea applicazione della legge penale nonchè per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione a sostegno del diniego di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d) per mancata assunzione di una prova decisiva, ossia il riesame del teste di difesa C., espressamente richiesto perchè il testimone rivelasse il nome del cliente abituale della discoteca (OMISSIS) (presso la quale il B. lavorava come addetto alla sicurezza) che aveva assistito ai fatti. Il terzo motivo deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 192, 582 e 583 c.p. nonchè difetto di motivazione, con riferimento alla valutazione delle risultanze processuali.

2. – La prima ragione di doglianza, relativa al diniego dell’integrazione probatoria in appello, è manifestamente infondata, in quanto il giudice a quo ha compiutamente spiegato i motivi della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, non ritenendo sussistente la condizione della non decidibilità allo stato degli atti alla cui sussistenza, come è noto, l’art. 603 c.p.p., comma 1, subordina la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello. Si tratta, dunque, di motivato esercizio di potere discrezionale del giudice di merito, posto che la prova offerta non era certamente sopravvenuta o scoperta dopo la sentenza di primo grado. Il relativo apprezzamento, proprio in quanto adeguatamente motivato, è insindacabile in questa sede di legittimità.

Palesemente infondato è anche il secondo motivo che ripropone la censura sotto la diversa angolazione prospettica della mancata assunzione di prova decisiva. Ed invero, il giudice di appello – ancora una volta con motivazione congrua e pertinente -ha compitamente spiegato i motivi per il quali la testimonianza del C., proprietario della discoteca presso la quale l’imputato svolgeva servizio di buttafuori, non avrebbe potuto ritenersi decisiva. Infatti, il teste era stato addotto affinchè facesse il nome di un cliente dal quale avrebbe appreso la colluttazione per cui è processo ed a fronte di siffatta indicazione il giudice di appello ha ragionevolmente escluso che – anche ad ammettere che il testimone fosse in grado di ricordare le generalità di un ex cliente di una discoteca oramai chiusa da tempo – quest’ultimo, ove identificato, potesse serbare, a distanza di tanto tempo, un ricordo nitido dei fatti, comunque utile alla ricostruzione della vicenda più di quanto non fosse allo stato possibile sulla scorta di risultanze probatorie giudicate attendibili e pienamente affidabili. La terza doglianza censura proprio la valutazione di tali emergenze, ma lo fa del tutto infondatamente, in quanto l’apprezzamento delle risultanze di causa, compiutamente espresso dalla motivazione resa dalla Corte distrettuale, è ineccepibile e formalmente corretto, nell’esame critico delle parole di accusa della persona offesa, ritenute intrinsecamente attendibili, e dei significativi momenti di conferma rivenienti dal certificato sanitario in atti e dalle raccolte testimonianze.

3. – Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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